Capriccio italiano in la maggiore, op. 45


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
Organico: ottavino, 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 cornette, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, triangolo, tamburo basco, piatti, grancassa, arpa, archi
Composizione: Roma, 16 gennaio - San Pietroburgo, 27 maggio 1880
Prima esecuzione: Mosca, Società Musicale Russa, 18 dicembre 1880
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1880
Dedica: Karl Juliovic Davydov
Guida all'ascolto (nota 1)

La fine del suo matrimonio con Antonina Ivanovna Miljakova e il profondo rapporto che nacque con la ricca vedova Nadezda von Meck, segnarono in maniera decisiva la vita artistica di Pètr Il'ic Cajkovskij. La rendita annua che la von Meck garantì al compositore gli permise di abbandonare la cattedra al Conservatorio, di dedicarsi a tempo pieno alla composizione nell'ultimo quindicennio della sua vita, di viaggiare molto anche all'estero, mietendo ovunque grandi successi.

Il 1880, che il compositore trascorse tra Mosca, Pietroburgo, Parigi e Roma, e per il resto ospite in residenze di campagna, si rivelò un anno particolarmente prolifico: nacquero infatti pagine orchestrali destinate a diventare assai popolari, come la Serenata per archi op. 48, l'Ouverture 1812 e il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra.

Il 16 gennaio di quell'anno Cajkovskij cominciò anche a comporre - a Roma dove risiedeva in quel periodo - la partitura del Capriccio italiano op. 45, che poi completò a San Pietroburgo il 27 maggio, con dedica al compositore Karl Jul'evic' Davydov. L'idea di trarre ispirazione da musiche popolari italiane gli era venuta dopo avere assistito ai festeggiamenti per il carnevale proprio tra le vie di Roma. Ne parlò in alcune lettere alla von Meck: «Stiamo assistendo all'acme del carnevale [...]. Naturalmente il carattere di questa festa è determinato dal clima e dalle antiche usanze [...]. Se si osserva bene il pubblico che si accalca in modo così selvaggio sul Corso, ci si convince che l'allegria di questa folla, per quanto possa assumere aspetti davvero singolari, in fondo è sincera e naturale. Non ha bisogno né di grappa né di vino, si inebria con l'aria del posto, con questa carezzevole calura».

Inizialmente Cajkovskij aveva pensato di scrivere qualcosa di simile ai lavori di Glinka ispirati alla Spagna, cioè alle due Ouvertures intitolate Caprìccio brillante sulla Jota Aragonese e Ricordo di una notte estiva a Madrid (in una lettera a Taneev del gennaio del 1880 scriveva infatti che doveva essere una «Suite italiana su melodie popolari, sul modello delle fantasie spagnole di Glinka»). Non a caso la libera giustapposizione di motivi diversi, la successione di episodi collegati da parentele timbriche e ritmiche più che tematiche, sembra ricalcare la libera successione dei temi popolari che caratterizza Ricordo di Glinka.

Cajkovskij abbozzò l'intera composizione in meno di una settimana, utilizzando alcuni canti che aveva ascoltato personalmente per le strade di Roma, altri presi da alcune antologie, e mirando non tanto all'elaborazione tematica quanto alla ricerca dell'effetto, alla massima brillantezza della scrittura orchestrale, come scrisse alla von Meck in una lettera del 12 maggio 1880: «Non so che valore musicale possa avere quest'opera, ma sono già da ora convinto che avrà una bella sonorità, che l'orchestra sarà brillante e piena di effetto». La progressione degli strati di colore, di movimento e di tempo, la sapiente orchestrazione, che sfrutta gli ottoni al completo e un nutrito set di percussioni, permettono a Cajkovskij di ottenere una partitura luminosa e vitale, piena di atmosfera, di verve, come un vorticoso girotondo. Ma senza grandi pretese. Alla sua prima esecuzione (che ebbe luogo a Mosca il 18 dicembre 1880, sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein) il Capriccio italiano fu infatti criticato per una certa superficialità, e come esempio negativo di occidentalizzazione e di cosmopolitismo, in un periodo in cui la Russia stava riscoprendo con orgoglio il valore artistico delle proprie radici musicali.

Il lavoro si apre con un richiamo delle due trombe (Andante un poco rubato), un segnale militare usato dai soldati della cavalleria italiana che Cajkovskij - secondo la testimonianza di suo fratello Modest - aveva udito provenire da una caserma vicina alla sua abitazione romana. Dopo le fanfare degli ottoni si leva negli archi, all'unisono, una melodia dal carattere mesto, che ha l'incedere di una marcia funebre punteggiata dagli accordi ribattuti dei fiati. Lo stesso tema è poi ripreso dai legni in forma imitativa, e accelerato, su un tappeto di tremoli degli archi. Le due parti seguenti (Pochissimo più mosso e Allegro moderato) si basano su canzoni popolari, molto orecchiabili e piene di humour. la prima è un temine semplice e pimpante (in 6/8), "molto dolce, espressivo", affidato ai due oboi che si muovono per terze parallele sul pizzicato di violoncelli e contrabbassi (questo motivo viene ripetuto da vari strumenti, variato, accompagnato da una girandola di disegni e controvoci, fino a espandersi su tutta l'orchestra, in un vero e proprio sfoggio di virtuosismo timbrico); la seconda è uno stornello romanesco (in 4/4), pieno di slancio, accompagnato dagli accordi ribattuti degli archi (come una cavalcata), esposto prima da violini e flauto, poi ribadito dalla cornetta a pistoni, con una frase intermedia, leggera e danzante, punteggiata dal tamburello. Raggiunto il suo culmine, questa esplosione di gioia sonora lascia poi spazio alla ripresa dell'Andante, col suo triste melodizzare.

Ma poi la festa riprende: un'incalzante concatenazione di terzine dà avvio a una trascinante tarantella di archi e legni (Presto) - e non poteva mancare in una pagina dedicata all'Italia! Poi una ripresa della prima canzone popolare (ma in una diversa tonalità e con i valori dilatati su un tempo di 3/4) cantata a squarciagola da tutta l'orchestra ("fff largamentissimo", Allegro moderato). E alla fine ancora gli echi della tarantella che innescano l'ultimo grande crescendo, culminante in un Prestissimo impetuoso, pirotecnico, un vero tripudio di colori orchestrali.

Gianluigi Mattietti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 15 gennaio 2011

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Ultimo aggiornamento 3 maggio 2012