Drei Orchesterstücke, op. 6


Musica: Alban Berg (1885 - 1935)
  1. Präludium - Langsam
  2. Reigen - Anfangs etwas zögernd, Leicht beschwingt
  3. Marsch - Mäßiges Marschtempo
Organico: 4 flauti (anche ottavini), 4 oboi (4 anche corno inglese), 4 clarinetti (3 anche clarinetto piccolo), clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 6 corni, 4 trombe, 4 tromboni, tuba contrabbassa, timpani, grancassa, rullante, tamburo, piatti, tam-tam grande e piccolo, triangolo, gran martello, glockenspiel, xilofono, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: 1914 - 1915
Prima esecuzione parziale: Berlino, Singakademie, 5 giugno 1923 (numeri 1 e 2)
Prima esecuzione completa: Oldenburg, 14 aprile 1930
Edizione: Universal Edition, Vien­na, 1923
Dedica: Arnold Schönberg
Guida all'ascolto (nota 1)

Niente di meglio dell'epigrafe apposta da Theodor W. Adorno in testa alla sua analisi vale a indicare la novità dei Drei Orchesterstücke di Alban Berg: «Capita che si abbia un certo carattere, una certa struttura». Composti tra l'estate 1913 e l'estate 1914 (il primo e il terzo) e l'estate 1915 (il secondo), i Tre pezzi per orchestra op. 6 costituiscono non soltanto il primo incontro di Berg con la grande orchestra, ma anche il passo decisivo verso l'indipendenza, se non psicologica, almeno artistica dal suo maestro Arnold Schönberg. I lavori precedenti, nella loro sistematicità (prima la Sonata per pianoforte op. 1, poi un Quartetto per archi, infine il ritorno al Lied frequentato assiduamente in gioventù e alla musica da camera), erano nati da una oculata e progressiva espansione verso il dominio della forma, della tecnica e dello stile compositivo. Tutto ciò era avvenuto sotto la guida insieme incalzante e ingombrante di Schönberg. Dopo quelle importanti esperienze, era stato proprio Schönberg a consigliare Berg  di non affrontare ancora una Sinfonia, come egli desiderava fare forse sotto la spinta interiore di Mahler, ma di scegliere la via di mezzo di una suite orchestrale con "pezzi caratteristici", prendendo a riferimento i Cinque pezzi per orchestra op. 16 (1909) di Schönberg stesso. Berg, dopo aver valutato attentamente il suggerimento, rimase fedele alla propria idea originaria, modificandone però il piano: non più una Sinfonia in un solo movimento con l'aggiunta di una voce, ma una serie di tre pezzi nei quali, all'iniziale Preludio già composto, seguissero uno Scherzo e un Finale concepiti con un respiro sinfonico più ampio. I Tre pezzi op. 6 furono dedicati a Schönberg in occasione del suo quarantesimo compleanno (8 settembre 1914). Il gesto fu apprezzato assai più del contenuto in sé, e Schönberg non mancò di farglielo notare: Berg dovette scusarsi, riconfermando la sua devozione al maestro ma ribadendo nel contempo con orgoglio di «aver cercato di fare del suo meglio» e di credere fermamente nel suo lavoro. Di fatto, quello era un modo per affermare il proprio carattere e la propria struttura.

Dove sta la novità della partitura? Essenzialmente nella tendenza a liberare e a far esplodere il principio dell'anti-forma, impegnando al massimo grado la capacità formativa per organizzare il caos. In altri termini, essa consiste nella densità "anarchica" di un linguaggio la cui estrema complessità si sviluppa fino a prefigurare una violenza eversiva spinta alle soglie dell'informale e al tempo stesso ricondotta a relazioni organiche da un senso quasi classico delle proporzioni. Nelle prospettive apocalittiche dei Tre pezzi op. 6 l'abisso si spalanca a inghiottire il mondo con furore espressionistico, ma si arresta sul ciglio del baratro a contemplare le macerie, per scoprire che in esse resistono valori costruttivi riconquistati dalla lucidità e dalla sofferenza. Schönberg aveva già superato questa fase, ed era logico che intravedesse implicitamente nella ostinata determinazione retrospettiva di Berg una risposta critica alla sua utopia di una rifondazione radicale del linguaggio. Forse, da questo punto di vista, i Tre pezzi erano proprio l'opera che Schönberg non avrebbe voluto che Berg scrivesse.

Il primo pezzo, Präludium, è non soltanto il più breve in assoluto (appena 56 battute in tempo lento per una durata di cinque minuti scarsi), ma anche il più immediatamente afferrabile nella sua struttura. Esso inizia da un caos inarticolato, al limite del rumore, dal quale emerge faticosamente, con un graduale crescendo dell'intensità, la figura tematica principale. Questa figura viene costruita per successiva espansione: dapprima due sole note, poi enunciazioni sempre più ampie e articolate, che conducono, mediante ripetizioni variate ed elaborazioni, al culmine dello sviluppo (a circa due terzi del pezzo), per ritornare infine, disegnando un percorso a ritroso, al caos indistinto dell'inizio. In questo percorso chiaramente individuato si inseriscono episodi statici, momenti bloccati che danno al movimento l'idea di una polidirezionalità. Il pezzo si estingue nei sommessi rumori in pianissimo della percussione, là da dove era partito.

Il titolo del secondo brano, Reigen, significa alla lettera "ronda". Il principio della danza si combina con la forma di uno Scherzo stilizzato: episodio introduttivo, sezione centrale con carattere contrastante, ripresa. Anche le danze hanno il carattere di valzer stilizzati. Vi è prefigurato lo scenario stravolto, allusivo e realistico insieme, del Wozzeck (Berg stesso considerava questo pezzo come uno studio preparatorio dell'opera), ma con un tratto orchestrale più sinfonico e astratto. Nell'andamento all'inizio un poco esitante (Anfangs etwas zögern), poi decisamente estroso e pieno di slancio nella leggerezza (Leicht heschwingt), si insinuano come da una dolorosa lontananza oscure rimembranze di momenti intensamente lirici, echi di suoni spettrali e demoniaci. All'arco circolare del primo pezzo è subentrato un tracciato segmentato e a sbalzi, di carattere onirico, visionario.

Il terzo pezzo, Marsch, è il più ampio, compatto e sconvolgente dei tre: quasi un blocco incandescente che si contrappone, uguagliandone la durata complessiva, agli altri due. Il carattere di marcia (in tempo moderato Mässiges Marschtempo) è dato subito all'inizio dal ritmo puntato, ma è presto travolto dalla fiumana alluvionale di materiali (piccoli frammenti, nuclei in espansione, proliferazione di figure) che si addensano in un magma straniato, vorticoso. Il flusso della composizione ha il carattere di uno sviluppo continuo, nel quale è l'impulso verso una profondità senza spazio e senza tempo a determinare l'articolazione e a raffigurare il disumano e l'orribile in forma necessariamente rigorosa. I riferimenti a Mahler (soprattutto alla sua Sinfonia più tragica, la Sesta), sono espliciti nel tono svilito e sfigurato di marce che furono un tempo eroiche e ora sono solo oggettive. Questi riferimenti vanno ben oltre la presenza in organico di un grande martello "dal suono non metallico", che interviene con tre colpi nel punto culminante della marcia e ne scandisce l'inesorabile conclusione con un colpo definitivo nell'ultima battuta. Essi sono piuttosto segnali accatastati, che diffondono angoscia: un modo di presagire la catastrofe e di dare all'apocalisse il suo significato originario di "rivelazione".

Sergio Sablich


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 26 novembre 2000

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Ultimo aggiornamento 24 gennaio 2016