Non sono passati nemmeno duecent'anni dal momento in cui, grazie all'iniziativa di Zelter e del suo allievo Felix Mendelssohn, la Passione secondo Matteo di Bach venne tratta fuori dall'oblio in cui era caduta e riconsegnata al patrimonio della nostra cultura musicale. Dal giorno della sua esecuzione a Berlino, 11 marzo 1829, essa è diventata l'opera forse più amata e celebrata fra quelle di Bach che ci sono pervenute. Non è solo una questione di qualità musicale: vi sono infatti Cantate nelle quali l'inventiva e il coraggio sperimentale dell'autore sono di gran lunga superiore. E non è neppure un problema di aderenza fra l'espressione musicale e il contenuto teologico del racconto cristiano: la Passione secondo Giovanni è da questo punto di vista più rigorosa e sottile. Ciò che le ha conferito un innegabile primato è piuttosto la sua evidenza espressiva, come pure la piena visibilità di quelle corrispondenze fra testo e musica che altrove vengono sublimate sotto una superficie di simbolismi difficili da decifrare. Spesso il linguaggio della Passione secondo Matteo è stato definito "teatrale". Si è sottolineato ad esempio come nell'alternanza fra corali e arie, cori e recitativi, essa introduca nel racconto evangelico le pieghe emotive di un dramma barocco, dando evidenza rappresentativa ai gesti che la musica accompagna: la concitazione della folla, le lacrime dei fedeli nelle arie di preghiera sui versi liberi del canto da chiesa (Kirchen-lied), il pentimento di Pietro, il lutto di Giuseppe di Arimatea. In primo piano, come si vede, sarebbero quei sentimenti umani che il racconto sacro lascia relativamente ai margini e che la musica richiama invece al centro della scena facendone occasione di meditazione.
La forza espressiva della Passione
secondo Matteo sta dunque in un rovesciamento di
prospettiva rispetto alla tradizionale narrazione della storia sacra.
La voce dell'Evangelista racconta gli eventi in modo apparentemente
distaccato, ma le arie, i corali e i cori manifestano meglio il
coinvolgimento dei fedeli nel pieno di una vicenda nella quale
compaiono sia come vittime che come carnefici. Più che la
dimensione teologica legata alla questione del "sacrificio", a toccarci
è piuttosto quella umana e troppo umana della "ingiuria",
centro focale della composizione bachiana. Il sacrificio, insegna la
teologia, non contraddice l'onnipotenza divina, ma è
necessario al disegno della salvezza. D'altra parte, per un'epoca dalla
coscienza religiosa così radicata com'era quella di Bach, il
racconto di un Dio ingiuriato, flagellato, crocifisso, abbandonato
persinO dal Padre, rappresentava un autentico rovello tragico. La
vicenda che Bach racconta nella Passione
secondo Matteo si concentra su questa componente umana ed
è perciò la storia di un Dio indebolito e deriso,
è la storia di un naufragio che ci comprende tutti,
perché l'intenzione divina viene messa a morte per colpa di
quello stesso mondo che essa intende salvare. All'altro capo
dell'esperienza dell'ingiuria e della colpa sta la virtù
redentrice della pietà, sentimento che nella Passione secondo Matteo
è ben più importante di quanto non sia nelle
altre Passioni bachiane: è una pietà vista come
virtù reattiva, come un bisogno di preghiera che segue alla
meraviglia per questo Dio dei naufraghi che non salva se stesso dalla
Croce, ma chiede di essere salvato dal cuore stesso dei fedeli davanti
ai quali si immola. Quando provò a interpretare il contrasto
tra l'onnipotenza divina e la sua sconfitta con la crocifissione,
Dostoevskij disse che il sacrificio di Cristo aveva restituito all'uomo
il più pericoloso dei suoi beni, la libertà, e
insieme ad esso il più ampio dei suoi doveri, la
responsabilità. Ora, se nel disegno divino vi fosse solo
necessità, come insegna la teologia della croce e come
conferma la Passione
secondo Giovanni, non vi sarebbe alcuna
responsabilità nell'ingiuria, nella libertà
esercitata contro Dio. Ma se una responsabilità
c'è, come Bach indica evidentemente nella Passione secondo Matteo,
vuol dire che anche il disegno divino non è del tutto
costrittivo, che l'uomo può evitare il peccato e fare del
suo cuore un luogo capace di accogliere Dio. La letteratura mistica
tedesca avrebbe protestato contro questa volontà,
tacciandola ancora di ambizione. Più semplicemente, Bach si
rifà alla tradizione protestante che fa del cuore del fedele
il luogo in cui Dio deve essere salvaguardato e della musica fa
l'esempio della comunicazione "da cuore a cuore", come appunto vuole
essere la Passione
secondo Matteo.
I mezzi musicali e letterari con i quali Bach procede in questo caso non sono a rigore molto diversi da quelli con i quali aveva operato nelle sue varie Passionsmusiken. Cinque ce ne sono state tramandate, sia pure in forme a volte frammentarie. La Passione secondo Matteo BWV 244 è l'unica di queste che prevede un doppio coro e venne più volte rielaborata a partire dalla prima versione, realizzata verosimilmente per la Pasqua del 1727. La Passione secondo Giovanni BWV 245 è l'altra che conosciamo in forma integrale e della quale anzi sono pervenute anche significative varianti. Le altre tre, la Passione secondo Marco BWV 247, quella Secondo Luca BWV 246 e un'altra sul testo di Matteo, riutilizzano invece ampiamente musica già scritta da Bach per altre Cantate o sono oggi ritenute apocrife. In tutti questi casi, il lavoro di Bach sembra rispondere in primo luogo alla preoccupazione di semplificare i mezzi espressivi rispetto a quanto avveniva nelle Cantate e di dare maggiore plasticità espressiva al tessuto musicale nel suo insieme.
La figura dell'Evangelista è da questo punto di
vista cruciale: egli non ha solo il compito di narrare gli eventi e di
introdurre i personaggi che parlano in prima persona, ma anche quello
di anticipare la meditazione e il commento delle arie. La sua guida
consente di spostare la capacità di immedesimazione della
musica dal piano della ricostruzione operistica dei personaggi, come
avviene in Händel, a quello di una mediazione interpretativa
che offre costantemente ai fedeli la chiave giusta per cogliere il
senso della Passione.
Rispetto al racconto di Giovanni, quello di Matteo è molto
più ricco di circostanze e annuncia lentamente il martirio
di Cristo attraverso il susseguirsi di episodi che lo preparano in un
crescendo di drammaticità. La sua traduzione in musica
richiede un potenziamento del carattere espressivo della musica e
contemporaneamente l'aumento degli interventi di meditazione
intercalati nella vicenda attraverso arie e cori su testi
madrigalistici per la scelta dei quali Bach fu in questo caso
particolarmente esigente.
Il testo della Passione secondo Matteo venne preparato da Picander (pseudonimo del poeta Christian Friedrich Henrici, 1700-1764) sulla base della trama evangelica e della rielaborazione di altre fonti della poesia madrigalistica tradizionalmente in uso negli oratori di Passione. Da questi, Picander aveva tratto per esempio la caratterizzazione di un personaggio, la Figlia di Sion, rappresentata dal coro come allegoria dell'umanità sgomenta e pentita davanti al martirio di Gesù. Grazie all'uso del doppio coro, per tradizione funzionale a una forma di scrittura dialogica per blocchi contrapposti, Bach introduce un supporto drammatico anche in alcune delle più efficaci pause di meditazione inserite nel racconto. La maggiore consistenza drammaturgica del testo comporta infine la rappresentazione di un elevato numero di personaggi. Se nella Passione secondo Giovanni troviamo l'Evangelista (tenore), Gesù, Pietro e Pilato (bassi), l'ancella (soprano) e il servo (tenore), nella Passione secondo Matteo vengono aggiunti Giuda (basso), un'altra ancella (soprano), tre sacerdoti (bassi), la moglie di Pilato (soprano), Giuseppe di Arimatea (basso), due testimoni (contralto e tenore), oltre ai sacerdoti, alla Figlia di Sion, alla folla e ai soldati, tutti impersonati dai cori.
L'Evangelista e GesùLa presenza di questa molteplicità di voci ha un evidente riscontro nella forma e nella varietà del recitativo. Il valore espressivo della declamazione dell'Evangelista è molto accentuato: la scrittura procede in questo caso attraverso intervalli molto ampi o è portata ai limiti dell'arioso, mentre l'accompagnamento del continuo non manca di proporre alcune efficaci associazioni descrittive (come nel caso del terremoto sulle parole «Und siehe da» dell'Evangelista).
La voce di Gesù è sempre accompagnata da
sequenze di accordi o da brevi figure degli archi. Il modulo del
recitativo accompagnato e la linea spesso ariosa del suo canto
divengono in questo caso il segno che distingue con immediata evidenza
l'unicità della natura divina del Cristo. Alla forma libera
del recitativo sono consegnati alcuni dei momenti più
interessanti dell'intera Passione
secondo Matteo, poiché attraverso la sua
elaborazione musicale Bach trasferisce le scene della vicenda narrata
sul piano simbolico di un'atemporale universalità, di un
più alto livello di preghiera. Basterà segnalare
la scena dell'ultima cena, quando Gesù pronuncia le parole
della consacrazione del pane e del vino in un arioso sorretto da
quattro parti degli archi, oppure il momento del primo interrogatorio,
quando le risposte di Gesù assumono un tono marcatamente
profetico («Ihr werdet sehen») e l'accompagnamento
accordale assume una configurazione quasi tematica. Solo sulle ultime
parole di Gesù crocifisso («Eli, Eli, lama
sabacthani!») gli archi tacciono. La scelta di servirsi in
questo caso del recitativo secco potenzia un momento di intensa
concentrazione religiosa, ma al tempo stesso riveste una funzione
drammatica, sottolineata dalla linea arcaica della declamazione e
dall'indicazione Adagio
in partitura.
Le parti del coro sono distribuite in modo tale da sostenere
l'impatto emotivo del racconto o da sospenderne la tensione in un
afflato meditativo a seconda dei casi. Gli interventi della turba sono
generalmente brevi, talvolta un semplice grido, come avviene per
l'invocazione di Barabba che i due cori pronunciano in un accordo di
settima diminuita, oppure rendono il fanatismo della folla attraverso
un contrappunto che simbolicamente descrive un movimento convulso
(«Lasst ihn kreuzigen»). Proprio l'essenziale
incisività di questi passaggi è tuttavia
ciò che si staglia di fronte ai corali e ai testi
madrigalistici di più ampio disegno. L'uso del doppio coro
consente spesso una complessa scrittura dialogica, come avviene nel
canone «Ja nicht auf das Fest» o in
«Weissage uns». Questa idea del dialogo incide
però su tutta la dinamica espressiva della Passione secondo Matteo
ed è a volte estesa da Bach anche ai brani scritti per un
solo coro («Herr, bin ichs») o alle arie nelle
quali il doppio coro interviene insieme alle voci soliste. Il tema del
corale «O Haupt voli Blut und Wunden» guida la
scena della Crocifissione e fornisce il disegno melodico di altri
momenti della Passione, dalla scena del Getsemani all'interrogatorio di
Pilato, fino al corale «Wenn ich einmal soll
scheiden».
Come si è detto, il momento di più alta concentrazione della scrittura bachiana è nel grande prologo per doppio coro, «Kommt, ihr Töchter». L'atteggiamento religioso di tutto il lavoro, la sua tensione verso i sentimenti di colpa e di pietà, viene alla luce proprio nella composizione di questo prologo e determina un'impronta che si distingue dalla natura più schiettamente tragica della Passione secondo Giovanni: proiettando le sue speranze sull'evento della resurrezione, la Figlia di Sion trova rimedio alla stringente necessità del sacrificio e riafferma la potenza del volere divino. Inoltre, proprio perché sposta il centro focale della vicenda dalla morte di Gesù alla prospettiva della resurrezione, il carattere del coro fornisce ai successivi momenti di meditazione un orientamento spirituale che li colloca a un livello diverso rispetto al decorso drammatico degli episodi. La flessuosa cantabilità delle arie e la scrittura di molte pagine corali della Passione secondo Matteo è largamente debitrice dell'impostazione data da Bach alla pagina di apertura.
Nel prologo, dopo una lunga introduzione dell'orchestra piena,
il coro che rappresenta la Figlia di Sion chiama le sue compagne alla
contemplazione del sacrificio e alla pietà davanti al
cammino della croce. Al suo tema, svolto secondo una densa condotta
contrappuntistica, fa eco il secondo coro con brevi domande, con lo
sgomento di una folla che non ha più punti di riferimento.
In seguito, la Figlia di Sion comparirà sempre nei momenti
nei quali sarà più intensa la pietas
per la Passione di
Cristo.
Ma sull'ampio disegno polifonico del coro iniziale si inserisce in un
nuovo intreccio la voce degli angeli (destinata a un coro di voci
bianche) che intona il corale «O Lamm Gottes
unschuldig». La melodia del corale si alza luminosa come un
solenne cantus
fìrmus sullo scompiglio cromatico delle voci
sottostanti, come la guida offerta dalla fede che conosce la via della
verità e prefigura, con il sacrificio, la resurrezione di
Gesù e la sua ascesa alla destra del padre. Ma le voci
bianche intervengono come un'interpolazione: sembrano un'aggiunta che
in qualche modo offre una guida "esterna", la voce del dettato sacro
che alimenta la speranza nel momento in cui i protagonisti della Passione si perdono
nella dialettica dell'umiliazione e della pietà.
La maggior parte delle arie della Passione secondo Matteo è generata proprio dal riferimento ideale ai tre sentimenti dominanti della colpa, della pietà e della speranza. L'evidenza della linea del canto è posta in ulteriore risalto dal prosciugamento dell'orchestra oppure dal dialogo cui essa è costretta con alcuni strumenti "obbligati", cioè quasi concertanti, come avviene in «Aus Liebe will mein Heiland sterben» per soprano, flauto e due oboi da caccia, o ancora nella celebre aria del pentimento di Pietro, «Erbame dich, mein Gott», per contralto, violino solo e archi.
Nei pezzi solistici della Passione secondo Matteo la vocalità conserva uno stile melodrammatico e una sintassi distesa, non troppo carica di complicazione né dal punto di vista melodico, né da quello armonico.
Come abbiamo visto, esso corrisponde bene alla lettura del testo sacro che Bach propone in questo lavoro. In quanto elementi di supporto di un'interpretazione già stabilita, le arie e gli ariosi si subordinano però nel loro senso espressivo alla guida offerta dai testi madrigalistici, elementi portanti di questa grande partitura.
Stefano Catucci
A partire dalla riscoperta avvenuta in epoca romantica, quando Felix Mendelssohn-Bartholdy ne diresse a Berlino una prima e in realtà piuttosto ridotta esecuzione "moderna" (1829), la Passione secondo Matteo è stata di fatto innalzata a simbolo dell'intera produzione sacra di Bach, generando una prospettiva che ha per molto tempo lasciato in ombra gli altri grandi capolavori bachiani. Il consolidamento di questo prestigio deriva in primo luogo dalla forte carica di originalità drammatica della Passione secondo Matteo, da una decisa teatralizzazione della sequenza coro-recitativo-arioso, dalla chiara riconoscibilità degli intermezzi di commento spirituale (corali, arie etc), ovvero da una più diretta evidenza comunicativa che questo lavoro possiede rispetto alle altre opere sacre di Bach. Nella Passione secondo Matteo (e almeno in parte anche nella Passione secondo Giovanni) Bach abbandona il duro linguaggio seicentesco delle sue Cantate e adotta invece uno stile più disteso, dotato di un'espressività più popolare, capace di suscitare in tutti i fedeli l'atteggiamento di dolorosa immedesimazione richiesto dalla liturgia del Venerdì Santo. Bach si avvicina così al gusto "moderno" che ormai si era affermato a Lipsia e nelle maggiori città tedesche: un gusto profondamente influenzato dalla sintassi del melodramma italiano e da quello stile concertante a cui già Händel e Telemann avevano ispirato le loro composizioni sacre. Nonostante la sua riconosciuta esemplarità, la Passione secondo Matteo non è dunque da intendere come il monumento sommo dell'arte bachiana, ma come il più riuscito adattamento fra il linguaggio arcaico cui Bach era più profondamente legato e le istanze innovative dell'epoca nella quale viveva. Per questo, la Passione secondo Matteo non deve essere neppure giudicata come il risultato di un progetto calcolato fin dall'inizio in ogni sua parte, come forse siamo portati a credere sulla scorta di un'idea ottocentesca dell'opera d'arte. Essa nasce piuttosto dalla necessità di aderire a una specifica pratica di culto, alla sua tradizione e al suo effettivo percorso nella liturgia. La differenziazione espressiva e poetica tra implorazione (il coro iniziale e quello finale), narrazione (i recitativi e le parti figurate del coro), meditazione e preghiera (arie e corali) può essere correttamente intesa solo ove si tenga presente la sua originaria destinazione, ovvero il suo legame con la partecipazione dei fedeli ai riti di preparazione della Pasqua.
Fin dalla fine del Cinquecento la liturgia luterana della Settimana Santa prevedeva la possibilità di eseguire una Passionsmusik nella forma per coro a cappella (cioè senza accompagnamento strumentale), con parti polifoniche più o meno ampie. A partire dalla prima metà del secolo successivo si era poi diffusa la pratica della passione oratoriale, ovvero una costruzione musicale che integrava la narrazione canonica del Vangelo con testi poetici tratti dalle Sacre Scritture oppure di varia elaborazione, secondo l'impianto della cosiddetta poesia madrigalistica. Già a partire dalle prime Passioni di questo tipo si era affermata con chiarezza una ripartizione di ruoli che sarebbe stata conservata nella sostanza anche da Bach e che imprime una forte connotazione drammatica alla narrazione: il racconto vero e proprio viene esposto in forma di recitativo da un personaggio specifico, l'Evangelista, mentre le arie solistiche intonano i testi poetici liberi, ai quali è riservata di solito una parte di commento o di meditazione. Il coro svolge funzioni differenti e può intervenire sia per dar voce alla turba, cioè al popolo ebraico che partecipa direttamente alla vicenda, sia per ricoprire il ruolo tradizionale della comunità dei fedeli che intona il corale o, più in generale, dell'umanità che esprime il suo sentimento attraverso i testi madrigalistici. A Lipsia, l'uso della Passionsmusik si era affermato con una procedura sistematica solo intorno al 1720, dopo che le maggiori chiese cittadine avevano disposto l'esecuzione al Venerdì Santo, durante il Vespro, di una Passione in stile polifonico basata sul testo di uno dei quattro Vangeli. In precedenza era invece consuetudine l'intonazione in stile monodico della versione di Matteo la Domenica delle Palme, e di quella di Giovanni il Venerdì successivo.
Secondo quanto è riferito dal figlio Carl Philipp Emanuel e dal compositore Johann Friedrich Agricola nel Necrologio compilato in morte di Johann Sebastian, Bach avrebbe composto cinque diverse Passionsmusiken per la liturgia pasquale: la Passione secondo Matteo (BWV 244), l'unica a doppio coro, rielaborata più volte a partire da una versione realizzata probabilmente nel 1727; la Passione secondo Giovanni (BWV 245), ugualmente conosciuta in differenti versioni; quindi una Passione secondo Marco (BWV 247) che sarebbe stata composta riutilizzando brani già realizzati da Bach per le sue Cantate, una secondo Luca (BWV 246) oggi ritenuta apocrifa; infine un'altra composizione non meglio identificata sul testo di san Matteo, forse testimonianza dell'impegno di Bach nel genere della Passionsmusik anche prima del suo trasferimento a Lipsia. In ogni caso, in tutti i lavori che conosciamo, Bach tende a rendere coerente il disegno delle Passioni, raccogliendo in un tessuto unitario tanto i caratteri drammatici, quanto quelli religiosi e contemplativi richiesti dall'occasione liturgica. Per questo, pur rispettando da un punto di vista formale la tradizionale divisione dei ruoli fra recitativo, aria e corale, Bach ne annulla il significato stilistico, adottando nelle Passioni gli stessi criteri strutturali che avevano trasformato i moduli delle sue Cantate in un organismo plastico, capace di adeguarsi ad esigenze espressive diverse.
La coesione dell'organismo musicale è resa possibile anche dall'originale trattamento della figura dell'Evangelista: questi non ha solo il compito di narrare gli eventi e di introdurre i personaggi che parlano in prima persona (Gesù, Pilato etc), ma anticipa di volta in volta la meditazione e il commento delle Arie. L'Evangelista non si limita a raccontare, ma partecipa, producendo una sintesi tra obbiettività narrativa e immedesimazione che funge da guida nella recezione dell'intero evento religioso. La forza di immedesimazione prodotta dalla resa drammatica del testo non si deve così a una ricostruzione operistica dei personaggi, come avviene ad esempio negli oratori di Händel, ma ad una presenza concreta che dispone l'ascolto fornendo ai partecipanti alla liturgia la chiave per interpretare nel presente la ripetizione della Passione di Cristo.
Le due grandi Passioni delle quali possediamo almeno una versione intera mostrano una struttura sostanzialmente omogenea e sono caratterizzate dagli ampi cori che le introducono. A queste pagine, nella loro indipendenza dal contesto narrativo, Bach affida infatti il rispecchiamento di due diverse interpretazioni delle Sacre Scritture. Mentre la Passione secondo Giovanni ha un tono più cupo, giansenista, ed è costruita attorno al legame concettuale fra il sacrificio di Cristo e il suo significato di redenzione, la Passione secondo Matteo è costantemente guidata e illuminata dal riferimento all'evento della resurrezione e al suo contenuto di speranza. Il racconto evangelico di Matteo è assai più ricco di circostanze e, diversamente da quello di Giovanni, annuncia lentamente il martirio di Cristo attraverso il susseguirsi di episodi che lo preparano in un crescendo di drammaticità. La sua traduzione nel linguaggio della Passione consente di potenziare il carattere espressivo della musica e richiede l'aumento degli interventi di meditazione intercalati alla vicenda attraverso corali e testi madrigalistici scelti direttamente da Bach.
Il testo della Passione secondo Matteo venne preparato da Picander (pseudonimo del poeta Christian Friedrich Henrici, 1700-1764) sulla base della trama evangelica e della rielaborazione di altre fonti della poesia madrigalistica tradizionalmente in uso negli oratori di Passione. Da questi, Picander aveva tratto per esempio la caratterizzazione di un personaggio, la figlia di Sion, rappresentata dal coro come allegoria dell'umanità pentita dinanzi al sacrificio che la redime. Grazie all'uso del doppio coro, per tradizione funzionale a una forma di scrittura dialogica fra blocchi contrapposti, Bach introduce un supporto drammatico anche in alcune delle più efficaci pause di meditazione inserite nel racconto. La maggiore consistenza drammaturgica del testo comporta infine la rappresentazione di un elevato numero di personaggi. Se nella Passione secondo Giovanni trovavamo l'Evangelista (tenore), Gesù, Pietro e Pilato (bassi), l'ancella (soprano) e il servo (tenore), nel corso della Passione secondo Matteo vengono aggiunti Giuda (basso), un'altra ancella (soprano), tre sacerdoti (bassi), la moglie di Pilato (soprano) e due testimoni (contralto e tenore), oltre alla figlia di Sion, ai sacerdoti, ai soldati e alla folla, tutti impersonati dai cori.
La presenza di questa molteplicità di voci ha un evidente riscontro nella forma e nella varietà del recitativo. Il valore espressivo della declamazione dell'Evangelista è molto accentuato: la scrittura procede in questo caso attraverso intervalli molto ampi o è portata ai limiti dell'arioso, mentre l'accompagnamento del continuo non manca di proporre alcune efficaci associazioni descrittive (è il caso del terremoto, sulle parole « Und siehe da » dell'Evangelista). La voce di Gesù è sempre accompagnata da sequenze di accordi o da brevi figure degli archi. Il modulo del recitativo accompagnato e la linea spesso ariosa del suo canto divengono in questo caso il segno che distingue con immediata evidenza l'unicità della natura divina del Cristo. Alla forma libera del recitativo sono consegnati alcuni dei momenti più interessanti dell'intera Passione secondo Matteo, poiché attraverso la sua elaborazione musicale Bach trasferisce le scene della vicenda narrata sul piano simbolico di un'atemporale universalità, di un più alto livello di preghiera. Basterà segnalare la scena dell'ultima cena, quando Gesù pronuncia le parole della consacrazione del pane e del vino in un arioso sorretto da una rigorosa scrittura a quattro voci degli archi, oppure il momento del primo interrogatorio, quando le risposte di Gesù assumono un tono più chiaramente profetico (« Ihr verdet sehen ») e l'accompagnamento accordale assume una configurazione quasi tematica. Solo sulle ultime parole di Gesù crocifisso (« Eli, Eli, lama sabathani! ») gli archi tacciono. La scelta di servirsi in questo caso del recitativo secco potenzia un momento di intensa concentrazione religiosa, ma al tempo stesso riveste una funzione drammatica, sottolineata dalla linea arcaica della declamazione e dall'indicazione Adagio in partitura.
Le parti del coro sono distribuite in modo tale da sostenere l'impatto emotivo del racconto o da sospenderne la tensione in un afflato meditativo a seconda dei casi. Gli interventi della turba sono generalmente brevi, talvolta un semplice grido, come avviene per l'invocazione di Barabba che i due cori pronunciano in un accordo di settima diminuita, oppure rendono il fanatismo della folla attraverso un contrappunto che simbolicamente descrive un movimento convulso (« Lass ihn kreuzi-gen »). Proprio l'essenziale incisività di questi passaggi è tuttavia ciò che si staglia di fronte ai corali e ai testi madrigalistici di più ampio disegno. L'uso del doppio coro consente spesso una complessa scrittura dialogica, come avviene nel canone «Ja nicht auf das Fest» o in «Weissage uns». Questa idea del dialogo incide però su tutta la dinamica espressiva della Passione secondo Matteo ed è a volte estesa da Bach anche ai brani scritti per un solo coro («Herr, bin ichs») o alle arie nelle quali il doppio coro interviene insieme alle voci soliste. Il tema del corale «O Haupt, voll Blut und Wunden» guida la scena della Crocifissione e fornisce il disegno melodico di altri momenti della Passione, dalla scena del Getsemani all'interrogatorio di Pilato, fino al corale «Wenn ich einmal soll scheiden».
Come si è detto, il momento di più alta concentrazione della scrittura bachiana è nel grande prologo, il coro «Kommt, ihr Töchter». L'atteggiamento religioso di tutto il lavoro, la sua tensione verso la redenzione portata dalla resurrezione di Cristo, viene alla luce proprio nella composizione di questo coro e determina un'impronta che si distingue dalla visione più schiettamente tragica della Passione secondo Giovanni. Inoltre, proprio in quanto sposta il centro focale della vicenda verso la resurrezione, il carattere del coro fornisce ai successivi momenti di meditazione un orientamento spirituale che li solleva dal decorso drammatico degli episodi: la flessuosa cantabilità delle arie e la scrittura di molte pagine corali della Passione secondo Matteo risente profondamente di questa prospettiva.
Nel prologo, dopo una lunga introduzione dell'orchestra piena, il coro che rappresenta la figlia di Sion chiama le sue compagne alla contemplazione e alla pietà davanti al cammino della croce. Al suo tema, svolto secondo una densa condotta contrappuntistica, fa eco il secondo coro con brevi domande, con lo sgomento di una folla smarrita. Più avanti, la figlia di Sion comparirà sempre nei momenti nei quali sarà più intensa la pietas davanti alle sofferenze di Cristo. Ma sull'ampio disegno polifonico del coro iniziale si inserisce in un nuovo intreccio la voce degli angeli (coro di voci bianche) che intona il corale «O Lamm Gottes unschuldig». La melodia del corale si alza luminosa come un solenne cantus firmus sullo scompiglio cromatico delle voci sottostanti, come la guida offerta dalla fede che conosce la necessità del sacrificio e prefigura l'ascesa di Gesù alla destra del Padre.
La maggior parte della arie della Passione secondo Matteo, come si diceva, è generata dal riferimento ideale alla resurrezione, ancor meglio inquadrato dagli ariosi che la precedono. L'evidenza della linea del canto è posta in ulteriore risalto dal prosciugamento dell'orchestra, in un caso ridotta al solo continuo dell'organo e della viola da gamba («Geduld», aria del tenore), oppure impegnata in dialogo con uno o più strumenti obbligati, come avviene in «Aus Liebe will mein Heiland sterben» per soprano, flauto e due oboi da caccia, o ancora nella celebre «Erbarme dich, mein Gott» per contralto, violino solo e archi.
Nei pezzi solistici della Passione secondo Matteo la vocalità conserva uno stile melodrammatico e una sintassi distesa, non troppo carica di complicazione nè dal punto di vista melodico, nè da quello armonico. Come abbiamo visto, esso corrisponde bene alla lettura del testo sacro che Bach propone in questo caso.
In quanto elementi di supporto di un'interpretazione già stabilita, le arie e gli ariosi si subordinano però nel loro senso espressivo alla guida offerta dai corali e dai testi madrigalistici, elementi portanti di questa grande partitura.
Stefano Catucci