Der Streit zwischen Phoebus und Pan, BWV 201

Dramma in musica in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: sconosciuta

Ruoli:
  1. Geschwinde, ihr wirbelnden Winde
    Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e continuo
  2. Und du bist doch so unverschämt und frei
    Recitativo in si minore/sol maggiore per soprano, 2 bassi e continuo
  3. Patron, das macht der Wind
    Aria in sol maggiore per soprano e continuo
  4. Was braucht ihr euch zu zanken?
    Recitativo in mi minore/re maggiore per contralto, 2 bassi e continuo
  5. Mit Verlangen druck' ich deine zarten Wangen
    Aria in si minore per basso (Phoebus), flauto traverso, oboe d'amore, archi e continuo
  6. Pan, rücke deine Kehle nun in wohlgestimme Fallen
    Recitativo in re maggiore/la maggiore per soprano, basso (Pan) e continuo
  7. Zu Tanze, zu Sprunge, so wackelt das Herz
    Aria in la maggiore per basso (Pan), 2 violini e continuo
    Riutilizzata nell'Aria n. 20 della Cantata BWV 212
  8. Nunmehro Richter her!
    Recitativo in re maggiore/fa diesis minore per contralto, tenore (Tmolus) e continuo
  9. Phoebus, deine Melodei hat die Anmut selbst
    Aria in fa diesis minore per tenore (Tmolus), oboe d'amore e continuo
  10. Komm, Mydas, sage du nun an
    Recitativo in la maggiore/sol maggiore per tenore (Midas), basso (Pan) e continuo
  11. Pan ist Meister, lasst ihn gehn
    Aria in re maggiore per tenore (Midas), 2 violini e continuo
  12. Wie, Mydas, bis du toll?
    Recitativo in si minore/mi minore per soprano, contralto, 2 tenori, 2 bassi e continuo
  13. Aufgeblas'ne Hitze, aber wenig Grütze
    Aria in mi minore per contralto, 2 flauti traversi e continuo
  14. Du guter Mydas, geh' nun hin
    Recitativo in sol maggiore/re maggiore per soprano, archi e continuo
  15. Labt das Herz, ihr holden Saiten
    Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e continuo
Organico: soprano, contralto, 2 tenori, 2 bassi, coro misto, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1729 circa
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 29 settembre 1732
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1862
Guida all'ascolto (nota 1)

Lob des hohen Verstandes si intitola una poesia di ispirazione popolare che Achim von Arnim elaborò nei primi anni dell'Ottocento e Gustav Mahler utilizzò per uno dei suoi Lieder della raccolta Il como magico del fanciullo (Des Knaben Wunderhorn). È una breve fiaba che narra di una sfida canora tra l'usignolo e il cuculo: gara apparentemente impari eppure risolta a favore del cuculo dal giudizio dell'asino. In italiano il titolo viene di solito tradotto "Elogio dell'alto intelletto", ma più corretto sarebbe rendere il termine tedesco "Verstand" con "intendimento", capacità di comprensione. Alla sentenza dell'asino non c'è appello all'infuori di quello che viene dalla musica stessa, la quale offre all'usignolo almeno un burlesco risarcimento mettendo in risonanza, proprio in chiusura, il raglio sguaiato dell'asino con il verso del cuculo: fra simili ci si capisce e ci si aiuta. Qualcosa di paragonabile avviene nella più dotta Contesa tra Febo e Pan che Johann Sebastian Bach scrisse nel 1729 basandosi su un testo di Picander (al secolo Christian Friedrich Henrici) che si riallacciava a un mito greco nella versione fornitane da Ovidio nel Libro XI delle Metamorfosi: Febo, cioè il dio Apollo, ingaggia una sfida musicale con Pan e il re di Frigia, Mida, assegna la vittoria a quest'ultimo, meritando così che le sue orecchie si trasformino proprio in quelle di un asino.

IL MITO DI PAN
Pan nacque dall'amore di Ermes per la ninfa Driope. Dìo dei pastori e delle greggi, Pan è raffigurato come una creatura in parte umana è in parte animale, con corna e zoccoli di capro. Il caratteristico attributo con cui Pan viene rappresentato è il flauto di Pan, o syrtnx, strumento musicale la cui origine è associata a uno dei tanti amori del dio.
Si racconta infatti che Pan stesse inseguendo Syrinx, una ninfa degli alberi.
La fanciulla, giunta sulle rive del fiume, certa di non poter più sfuggire all'inseguimento del dio, prega le sorelle di trasformarla in una delle canne che crescevano lungo la riva. Pan ebbe allora l'idea di tagliarne 7 e unirle con della cera, ottenendo cosi lo strumento musicale al quale diede il nome di Syrinx, in ricordo della ninfa.

Il tema è dunque ricorrente e percorre trasversalmente epoche e registri culturali diversi. Al suo fondo c'è una misura di sarcasmo che favorisce una veste musicale allegra e scherzosa, ma d'altra parte sarebbe difficile non riconoscere come attraverso la fiaba o il mito si lasci intravedere un problema serio: il rapporto dell'arte con il giudizio del pubblico e, più ancora, con quello di chi si erge a intenditore senza averne competenza alcuna. In età moderna un simile problema si è intrecciato con quello della critica, cosi che non appare del tutto incongruente il fatto che una composizione di Bach tutto sommato disimpegnata, divertita, la cui costruzione musicale corrisponde punto per punto alla strategia di un gioco delle parti, sia stata interpretata come una risposta del compositore ai suoi critici, quando non addirittura come un manifesto cifrato di estetica musicale. Tutto ciò, è vero, è avvenuto nel corso dell'Ottocento, quando il ruolo della critica si era ormai istituzionalizzato raggiungendo subito, quasi fosse la sua vocazione naturale, forme acute di asprezza nel rapporto con gli artisti in generale e con i musicisti in particolare. Si ricorderà come Richard Wagner, nei Maestri cantori di Norimberga, non avesse più avuto bisogno di ricorrere al mito per fustigare in teatro i giudizi del suo più deciso avversario, il critico Eduard Hanslick, facilmente riconoscibile dai contemporanei nei panni di Beckmesser, il severo custode delle regole dell'arte messo alla berlina dal "ciabattino" Hans Sachs. E non al mito, di nuovo, ma al topos popolare fece ricorso Johannes Brahms nella sua brusca replica a un altro critico, il quale dopo l'esordio della sua Prima Sinfonia gli disse di avere riconosciuto, nell'ultimo movimento, la citazione dell'Inno alla Gioia di Beethoven: «anche un asino se ne accorgerebbe». Trasformati in bestie, i critici musicali attingono alle virtù dei ciuchi l'incapacità di intendere ciò che ascoltano restituendo loro quel tanto - o poco - di cultura che basta a spegnerne l'animalesca vitalità. Detto altrimenti: il critico musicale sembra essere quel tipo umano - stando ai compositori - nel quale l'asino vivo e il dottore morto coincidono. La prova? Ce la fornisce Camille Saint-Saèns nel Carnevale degli animali, in quel movimento - l'ottavo - intitolato Personnages à longues oreilles nel quale per i poveri di spirito non c'è scampo, essendo il campo interamente occupato dalla supponente presunzione dei falsi dottori, cioè dei veri asini.

Benché la critica stesse muovendo allora i suoi primi passi, le polemiche non mancavano neppure all'epoca di Bach, anche se per lo più si inserivano in uno spazio meno formalizzato rispetto a quello del secolo successivo. I primi critici furono musicisti, compositori, nelle parole dei quali si poteva sospettare agissero anche ragioni di rivalità professionale, ma nell'agone intervenivano spesso anche autorità accademiche o cittadine, i cui argomenti funzionavano come un tentativo più o meno esplicito di censura. Durante l'intero arco della sua vita Bach entrò spesso in conflitto con questo tipo di autorità, e verso la fine della sua vita anche con le parole critiche di chi, ormai, preferiva opporre al suo ostinato culto delle antiche forme musicali uno stile più semplice e "moderno", di derivazione francese oppure italiana, più attento comunque a una matrice "bassa" e popolare. La Contesa tra Febo e Pan, la cui vicenda si estende lungo il ventennio che passa dalla data di composizione (1729) a quella dell'ultima esecuzione vivente l'autore (1749), è una presa di posizione che tende da un lato a saltare la mediazione dell'intenditore - o presunto tale -, dall'altro a rinviare al mittente le pressioni dell'autorità, per rimettersi in modo diretto al giudizio del pubblico. Sia pure in stato germinale, la questione della critica si affaccia alla ribalta e riceve una risposta musicale.

APOLLO (FEBO) DIO DELLA MUSICA
Apollo, pur non essendo inventore di strumenti musicali, è considerato il dio della musica, intesa come espressione dell'armonia cosmica delle Sfere.
Il mito narra che il dio, come risarcimento per ìa mandria rubatagli da Ermes fanciullo, ricevette da questi una lyra. Ma l'attributo per eccellenza del dio è la kithara. Affine alla lira, ma di fattura più nobile, la kithara appare frequentemente fra le braccia di Apollo a ritmare assemblee degli dei o particolari circostanze del mito, quali la nascita di Atena, l'ingresso di Eracle nell'Olimpo o le nozze di Teti e Peleo.
Oltre a Pan, anche il satiro frigio Marsia osò sfidare Apollo in una gara musicale. Anche in quel caso fu Apollo a vincere la contesa e Marsia ebbe sorte peggiore di Pan, fu scorticato vivo dallo stesso vincitore.

Su quale dovesse risultare il giusto esito della contesa, Bach lascia adito a dubbi. L'Aria con la quale Febo affronta la sua prova, «Mit verlangen» (n. 5), è un raffinatissimo largo a cui il sostegno del flauto, dell'oboe, degli archi con sordina e del basso continuo aggiunge un colore sonoro suggestivo e ben curato, ulteriormente arricchito da fioriture strumentali cui corrisponde un virtuosismo vocale morbido ed espressivo. Di contro l'Aria di Pan «Zu Tanze, zu Sprunge» (n. 7) ha una strumentazione molto più povera, gli archi le fanno eco all'unisono, il suo ritmo danzante è vagamente goffo e conferisce alla pagina un gusto popolaresco: Bach riprese quest'aria nel 1742, in occasione di una festa all'aperto, inserendola in una composizione da lui definita Cantate burlesque e comunemente chiamata, più tardi, Bauemkantate, cioè Cantata dei contadini (BWV 212, l'Aria inizia con le parole «Dein Wachstum sei feste»). La stessa linea seguono gli interventi dei due giudici: elegante è l'Aria di Tmolo («Phoebus, deine Melodei», n. 9), il quale parteggia per Apollo e la cui voce è contrappuntata dagli interventi dell'oboe; più semplice e piatta quella di Mida («Pan ist Meister», n. 11), accompagnata dagli archi in unisono proprio come l'Aria del suo beniamino. Chiunque non abbia orecchie d'asino coglie la differenza e assegna in modo corretto la vittoria. Orecchie d'asino crescono, invece, all'autorità: la figura di Mida è più vicina a quest'ultima che non a quella del critico, la sua incapacità di giudizio non conterebbe nulla se egli non avesse anche il potere dì decidere.

Al Café Zimmermann di Lipsia, dove sembra che Bach l'abbia fatta eseguire dal Collegium Musicum da lui diretto nel 1729, ci si sarà senz'altro divertiti nel seguire questo "Dramma con musica", come recita la definizione del libretto. Vent'anni dopo la situazione era molto diversa, e quando La contesa tra Febo e Pan venne ripresentata, il pubblico si trovò di fronte a un brano molto più legato a circostanze d'attualità che si potevano facilmente riconoscere e permettevano una lettura più tagliente della Cantata. Tanto più che Bach era intervenuto sul testo cambiando i due versi conclusivi dell'ultimo recitativo (n. 14) per inserirvi alcuni riferimenti sarcastici: a intonare quel recitativo è Momo, divinità della beffa e dell'ironia.

Nel 1749 Bach aveva 64 anni, era in condizioni di salute precarie - oggi si ipotizza soffrisse di diabete senile - ed era afflitto in particolare da una malattia agli occhi che lo avrebbe spinto a sottoporsi a due azzardate operazioni le conseguenze delle quali lo portarono alla morte, sopravvenuta il 28 luglio del 1750. Mentre però era ancora in vita e in piena attività, il primo ministro di Sassonia, conte Heinrich von Brühl, raccomandò al Consiglio Municipale di Lipsia di scegliere in anticipo il successore di Bach indicando il nome del compositore della sua cappella privata, Johann Gottlob Harrer. Mercoledì 8 giugno 1749 si svolse un'audizione il cui esito era già programmato, il conte Brühl aveva scritto di essere «certo che la musica di prova eseguita incontrerà la vostra approvazione», ma che era stata organizzata in maniera del tutto anomala. Nonostante il brano proposto fosse una Cantata sacra, infatti, l'esecuzione ebbe luogo fuori dalla chiesa e in mezzo alla settimana, dato che Bach era ancora responsabile della programmazione musicale ordinaria. Si scelse una sede profana, la sala da concerto dell'albergo «Ai tre Cigni», spesso utilizzata per manifestazioni musicali di richiamo, commettendo così una sorta di duplice sgarbo nei confronti dell'anziano Cantor, non solo si scommetteva sulla sua morte imminente e lo si tagliava fuori da ogni possibile decisione sul successore, ma si veniva meno alla sua idea strettamente funzionale della musica liturgica eseguendola in un luogo non idoneo, come se si trattasse di musica da intrattenimento. Harrer tornò dal conte Brühl con una lettera del Consiglio di Lipsia che garantiva lo si sarebbe tenuto in serissima considerazione «qualora il Sig. Capellmeister e Cantor signor Sebast. Bach dovesse morire». La sua nomina si sarebbe formalizzata effettivamente dieci giorni dopo il decesso dell'anziano maestro.

Un altro episodio che risale alle stesse settimane congiurò a che Bach decidesse di far eseguire, nell'autunno del 1749, La Contesa tra Febo e Pan probabilmente nella stessa sala dove si era mancato di rispetto a lui e alla musica con l'audizione di Harrer, quella dei «Tre Cigni». Nel maggio del 1749 era apparso infatti un libro violentemente critico nei confronti dei musicisti, della musica e del suo ruolo nell'educazione dei giovani firmato dal Rettore del liceo di Freiberg, Johann Gottlob Biedermann, dove gli studenti avevano messo in scena un Singspiel per celebrare il 100° anniversario della pace di Vestfalia. Il libro, intitolato De vita musica, era concepito come una satira basata su una scena della Mostellaria di Plauto nella quale l'espressione musice agere vitam viene considerata l'equivalente di un'esistenza futile, se non addirittura - suggerisce Biedermann - moralmente corrotta. Memore forse delle difficoltà che avevano segnato il suo rapporto con il Rettorato della Thomasschule, o più semplicemente indignato, come fu tutto il mondo musicale, dalle parole di Biedermann, Bach chiese a un membro dell'Accademia delle Scienze Musicali, Christoph Gottlob Schröter, di preparare una recensione che poi apparve in una versione riveduta dallo stesso Bach. Schröter non mancò di lagnarsi duramente degli interventi del Cantor, pretendendo che il compositore uscisse allo scoperto e dichiarasse pubblicamente di essere lui stesso l'autore della recensione. Forse Bach non avrebbe voluto arrivare a tanto: una sua lettera di scuse avrebbe dovuto chiudere la questione. Chi doveva farsi latore di questa richiesta rispose che non era stato possibile inoltrarla, giacché nel frattempo Bach era morto.

Sia l'audizione di Harrer, sia la volontà di replicare a Biedermann, mostrano come Bach fosse stato sollecitato, nel 1749, a intervenire in prima persona sulle sorti della musica e come l'idea di far rieseguire La Contesa di Febo e Pan possa aver preso corpo in un simile contesto. Il legame fra quegli episodi e la ripresa della Cantata, d'altronde, è confermato dalle modifiche apportate dal compositore ai versi finali dell'ultimo recitativo. Obliquamente, allusivamente, eppure in modo esplicito come può esserlo la morale di una fiaba di Esopo, quelle modifiche rendevano riconoscibili i suoi bersagli polemici, ti testo originale di Picander - normalmente utilizzato nelle esecuzioni moderne - fa pronunciare a Momo queste parole: «Ora, Febo, prendi in mano la lira; / Niente è più gradevole dei tuoi canti», dei tuoi Lieder. La versione modificata da Bach recita invece: «Ora, Febo, raddoppia musica e canti / anche se Birolius e Hortens ti inveiscono contro». I nomi di Hortens e Birolius rinviano a due personaggi del mondo antico familiari, all'epoca, a un pubblico colto che avesse studiato il latino, ma celebri essenzialmente per la loro cattiva fama. Hortens è Quintus Hortensius Hortalus, l'oratore che Cicerone sconfisse nel processo contro Verre e il cui nome era proverbialmente legato a uno stile ridondante, pomposo e privo di sostanza.

Il primo biografo di Bacii, Spitta, ipotizzò che Bach volesse fare allusione al Rettore della Thomasschule con il quale era entrato in rotta di collisione, Henrici, curatore fra l'altro di un'edizione completa delle opere di Cicerone. Birolius è invece l'anagramma di Orbilius, ovvero di Lucius Orbilius Pupillus, maestro di Orazio che aveva fama di picchiare i suoi allievi. Il primo dei due nomi convoca il senso stesso del discorso musicale, mettendo alla berlina l'uso di una vuota magniloquenza. Il secondo tocca il problema dell'autorità e del potere. Tanto più che la pronuncia tedesca rende il suono della parola anagrammata, "Birolius", simile a "Brühl", ovvero al nome del primo ministro che aveva imposto la candidatura di Harrer, come ha osservato di recente lo storico Christian Wolff. Sulla partitura e sul libretto le varianti sono state annotate dai figli minori di Bach, a suggerire la possibilità che «l'intera esibizione [...] sia stata deliberatamente pianificata fin nei minimi dettagli da un Bach profondamente ferito insieme alla famiglia, agli allievi e agli amici», sono ancora parole di Wolff. Non c'è bisogno però delle singole allusioni per riconoscere come nella Cantata BWV 201, pur sempre una Festmusik, il cui scopo principale era quello di dilettare e divertire, venga comunque ribadita l'affermazione del valore della musica colta, dunque legata alla tradizione erudita, rispetto alla musica più semplice e popolare, "alla moda", e come in parallelo venga sottolineata la differenza tra un ascolto attento e uno superficiale, un ascolto competente e uno viziato dalla soggettività del gusto o dalle prerogative del potere.

La Contesa tra Febo e Pan («Der Streit zwischen Phöbus und Pan») è la più ampia delle Cantate profane di Bach e prevede l'impiego di un'orchestra consistente, con tre trombe, due flauti traversi, due oboi, timpani, archi e basso continuo. La formazione strumentale si presenta al completo nei due cori di apertura e chiusura. Il primo, «Geschwinde, ihr wirbelnden Winde», si apre con un motivo serpeggiante degli archi a cui fanno eco le note delle trombe, rinforzate dai timpani, e poi il flauto, che ne riespone il disegno. La scrittura è imitativa, cioè basata sulla configurazione del contrappunto più diretta e leggibile, e l'articolazione è in tre parti: la seconda è poco più di una breve parentesi che inizia con le parole «Dass das Hin- und Wiederschallen» e porta a una ripresa "da capo" della parte iniziale - una soluzione, questa, adottata in tutto il resto della Cantata. Il testo evoca i «venti turbinanti» invitandoli a placarsi e a lasciarsi rinchiudere in una grotta affinchè possa aver luogo la sfida musicale. Il coro finale ha lo stesso tono aperto e festoso, solo più squadrato e trionfale, che loda le virtù della buona musica - non importa che si venga «derisi» (höhnen) per questo -, giacché la sua «arte» e la sua «grazia» addolciscono la vita e sono gradite anche agli dèi.

L'azione prende avvio con il recitativo nel quale Febo e Pan si lanciano una sfida (n. 2) in realtà modificata rispetto sia al mito d'origine, sia alla versione di Ovidio: una gara condotta con gli strumenti musicali caratteristici delle due divinità, la lira di Apollo contro il flauto di Pan, viene inevitabilmente trasformata in un agone vocale. Durante tutta la composizione le Arie si alternano con i recitativi secchi, cioè accompagnati solo dal basso continuo. L'unico recitativo accompagnato dagli archi è l'ultimo, quello di Momo (n. 14). I personaggi sono sei: due voci basso, Febo e Pan; due tenori, il giudice Tmolo, favorevole a Febo, e Mida, favorevole a Pan; un soprano, Momo, personificazione divina del sarcasmo; infine un contralto, Mercurio, che invita i due litiganti a sfidarsi e infine ribalta il giudizio infliggendo una punizione a Mida.

La scansione dei brani obbedisce a una semplice ma rigorosa simmetria. Inizia Momo con un'Aria (n. 3} sostenuta solo dal basso continuo e dall'andamento andamento vivace, burlesco, che torna sul tema del vento presentandolo, stavolta, come simbolo della volatilità dell'apparenza. Seguono le due Arie della sfida, alle quali si è già accennato. Il primo a cimentarsi è Febo (n. 5), la cui eleganza contrasta con la semplicità di Pan (n. 7), nel cui canto Bach inserisce moduli tipici dello stile buffo, come la ripetizione della vocale "a" nella parola «wackelt», più simile a una balbuzie che a un abbellimento. Dopo la sfida intervengono i commenti dei giudici, ciascuno dei quali è un riflesso dello stile del concorrente per il quale patteggiano. L'Aria di Tmolo («Phoebus, deine Melodei», n. 9), prevede l'intervento concertante dell'oboe d'amore ed è un semplice, efficacissimo omaggio alla musica come arte elegante ed erudita. Quella di Mida («Ach, Pan! Wie hast du mich verstäKt», n. 11) è accompagnata, come quella di Pan, da un disegno di violini all'unisono ed è ancora più caricaturale della precedente: la frase d'avvio si ripete con gli abbellimenti vocali di rito, ma in realtà sembra incepparsi di continuo, come se Mida non sapesse più come sviluppare la sua melodia. In effetti anche la piega presa dal canto sulle parole «Phoebus hat das Spiel verloren» rivela lo stesso impaccio e sulla parola «Ohren», orecchie, i violini accennano l'intervallo caratteristico del raglio asinino. La gara è chiusa, ma Momo reagisce e Mercurio prende la parola (recitativo, n. 12). Cosa deve fare di Mida, chiede. Trasformarlo in un corvo? Farlo a pezzettini? Scorticarlo vivo? Niente di cosi feroce: visto che Mida sostiene di essersi fidato delle sue orecchie, è giusto che queste vengano trasformate appunto in orecchie d'asino. Mercurio allora condanna l'alterigia di chi pretende di giudicare senza averne le capacità in un'Aria («Aufgeblasne Hitze», n. 13) che vale come la dimostrazione di ciò che lo spirito della danza può diventare quando è trattato secondo le regole dell'arte: è una pagina, infatti, di grande eleganza, accompagnata dai due flauti, e delicata malgrado il tono perentorio delle parole del dio.

A Momo spetta allora, nell'unico recitativo accompagnato, consolare ironicamente la vittima dell'inattesa metamorfosi: Mida si consoli, non è l'unico a giudicare in questo modo, in sua compagnia c'è una legione di «fratelli» a cui mancano capacità di intendimento e di raziocinio, ma che credono di essere simili ai saggi. Giudicano così, alla cieca, e sono tutti dello stesso genere. Quanto a te Febo, conclude Momo prima di restituire la parola al coro, «riprendi la lira», ovvero - secondo l'ultima versione del testo - «raddoppia» il tuo canto: non ci sarà mai critico, Rettore o conte Brühl il cui giudizio avrà più forza della tua musica.

Stefano Catucci


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 31 maggio 2008

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 14 giugno 2013