Eine florentinische Tragödie (Una tragedia fiorentina), op. 16

Opera in un atto

Musica: Alexander Zemlinsky (1871 - 1942)
Libretto: Max Meyerfeld, da Oscar Wilde

Ruoli: Organico: 3 flauti, 3 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 6 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, campane, triangolo, tam-tam, grancassa, rullante, piatti, tamburello, arpa, mandolino, celesta, glockenspiel, xilofono, archi
Composizione: 14 marzo 1915 - 14 marzo 1916
Prima rappresentazione: Stuttgart, Hoftheater, 30 gennaio 1917
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1916
Sinossi

La vicenda è ambientata a Firenze in epoca rinascimentale. Il lungo preludio orchestrale evoca la notte d'amore di Guido Bardi, figlio del Duca di Firenze, e Bianca, moglie del ricco mercante Simone. Rientrato senza preavviso da un viaggio, Simone trova Bianca in compagnia dell'amante: pur avendo immediatamente compreso la natura del loro rapporto, egli finge di credere che il giovane sia venuto a casa sua per affari, e gli propone l'acquisto di merci preziose.

L'insolenza con cui Guido gli risponde suscita in Simone un'ira sorda e fredda: mantenendo un'apparente tranquillità, induce il rivale ad ammettere i propri sentimenti per Bianca e, quando Guido sta per congedarsi, il mercante snuda la spada e ingaggia un furioso duello con lui; nonostante gli incitamenti di Bianca, che spera di sbarazzarsi del marito, il giovane Bardi soccombe.

Simone è deciso ad uccidere anche la moglie infedele, ma quando si volta verso di lei avviene un inaspettato rovesciamento di sentimenti: i due si guardano negli occhi con intensità e infine si abbracciano, affascinati l'una della forza di lui, l'altro dalla bellezza di lei.


Guida all'ascolto (nota 1)

L'incognita dell'estetismo in voga non preoccupò affililo Zemlinsky, non lo preoccupò il rischio dei paragoni, né, meno ancora, quello di rifare il già fatto da altri: che per le esigenze della cultura di moda e soprattutto dopo l'invidiabile esempio della Salome di Strauss in molti si stavano mettendo sulla strada dell'opera di lussuria e morte. Il luogo e i tempi eletti allo scopo erano, lo sappiamo bene, l'Italia, il suo medioevo, e specialmente il Rinascimento. In tutta l'Europa i drammaturghi, di parole e di musica, presero lezioni di estetica e di etica da Nietzsche e da Jakob Burckhardt.

Anche se poche delle opere allora celebri sono oggi vive, l'elenco è folto. Eccone qualche esempio, quasi uno per ognuno degli anni febbrili: Parisina (Mascagni, 1911), Martyre de Saint-Sébastien (Debussy, 1913), L'amore dei tre re (Montemezzi, 1913), Francesca da Rimini (Zandonai, 1914), Mona Lisa (Schillings, 1915), Violanta (E. W. Korngold, 1916), Eine florentinische Tragödie (Zemlinsky, 1917), Die Gezeichneten (I segnati, Schreker, 1918). Nei "poemi" di opere del genere (D'Annunzio sta a sé, pur con i suoi difetti) e spesso anche nelle musiche ci pesano oggi il manierismo ripetitivo, l'artificioso eccitamento erotico, l'immoralismo calcolato, ai quali non si sottrae del tutto nemmeno questa Tragedia fiorentina. Ma se artisti esigenti quali erano non solo Zemlinsky, che, come gli accadeva, può essersi emozionato nel rivivere le sue deluse esaltazioni amorose, ma Shönberg e Alban Berg hanno ammirato in essa e il dramma di Wilde e la musica poi (e in verità quasi ogni pagina è scritta con immaginazione e tecnica ardenti), doveva esserci nello stile corrente dell'estetismo qualche energia che oggi ci sfugge.

I caratteri primi della musica teatrale di Zemlinsky sono un'ammirevole sapienza descrittiva e decorativa e un'attenzione precisa alle reazioni psichiche dei personaggi: virtù che però non mettono in atto, almeno non sempre, una solida continuità drammatica nel canto e nell'orchestra. Di ciò la Tragedia fiorentina è, con Der Zwerg (Il nano), l'esempio più personale e riuscito.

L'opera si inizia con un trascinante Preludio di torrida sensualità, evidentemente concepito sul modello dell'introduzione orchestrale del Cavaliere della rosa: che tuttavia, pur esplicito come è, è più essenziale, più rapido (dura meno della metà di questo) e ha temi più efficaci per la memoria d'ascolto. Come nel modello, anche qui si confrontano due temi, uno "virile", aggressivo, asciutto, stridente, al quale segue immediatamente il tema "femminile", cantabile e languido. Nel magistrale intreccio contrappuntistico dei temi (altri due, agitati e minacciosi, sono nelle parti intermedie della polifonia) sembra di ascoltare la voce di una passione violenta e dannata. Quando tenta di espandersi (è un nuovo terna cromatico, la bemolle maggiore, di seducente sensualità, che riascolteremo, inatteso, in un momento della vicenda), la passione è costretta in se stessa. Scanditi e potenti, in un intreccio impressionaule, due motivi, nati per variazione dai tre principali, ci gridano l'idenlilà del desiderio amoroso e della morte. Quindi il motivo del desideno, ripetuto e ripetuto (dodici battute identiche!), lentamente si perde in un pathos quieto ("Lento, sognante", dice la didascalia della partitura). La felicità dell'appagamento è fugace illusione dei due amanti. Quando arriva Simone, lo sposo tradito, l'azione ha inizio. Prima che Simone entri, gli amanti si separano in fretta. La luna illumina tutta la stanza.

Simone è un mercante di stoffe, rude, avido, diffidente. Non sa, ma ha capito: calmo, beffardo, umile, comincia a tendere la rete. In questo primo confronto i segmenti dei temi, spezzati e tesi, esprimono ira e paura celate in ogni personaggio. Chi è lo straniero che il mercante, padrone di casa, trova accanto a Bianca, sua moglie? Non è uno straniero, dice Bianca con voce spenta (poche sillabe sulla stessa nota), è un ospite illustre, è Guido Bardi, il giovane figlio dei sovrani di Firenze. Simone si perde in discorsi enfatici di omaggi e di scuse per circuire i colpevoli. Il gioco crudele è avviato, da questo momento Simone ne è formidabile protagonista. Sì che il duello di parole, di allusioni e nascoste derisioni, diventerà alla fine un duello mortale di armi.

La torrenziale esposizione che Simone fa delle sue stoffe preziose, lane, sete, damaschi, confonde (sulla scena) l'adultero, e anche dà al musicista l'occasione (in orchestra) di una stupefacente ostentazione di oreficeria musicale, un ricco poema sinfonico entro il dramma (una cosa simile c'è nell''Ariane et Barbe-Bleue di Dukas», nell'episodio dell'apertura delle porte). E quando il mercante esibisce e accarezza uno splendido damasco di Lucca trapunto d'argento, riappare il ltema amoroso che abbiamo udito nel Preludio, quasi che il corpo e il lusso con lo stesso potere di bellezza (la lussuria!) additassero lo slesso destino, la morte.

È la legge del decadentismo amorale, in ogni momento di questo lungo confronto dei rivali la musica avvicina i temi dell'odio, dell'eros e della morte, e li trasforma uno nell'altro. Anche quando il canto è declamato, l'espressione sinfonica striscia, freme, si esalta, con la precisione espressiva di cui si è appena detto. Soprattutto meritano ascolto attento i pochi interventi della donna, gelidi e ostili verso lo sposo che lei odia, e furtivi, ma seducenti fino al pericolo, per il giovane amante. E sono splendide le melodie del rapido duetto che i due giovani si sussurrano per un incontro notturno, nel momento in cui Simone si è fatto da parte, astutamente, dopo aver serrato le finestre.

Con poche e abili domande di politica Simone sa provocare il giovane Guido, che finalmente dimostra ira e disprezzo. Che importa a lui dei disegni del Papa, delle insidie del re di Francia? «Ben altro mi riguarda e mi interessa, Simone». E a tale offesa il marito: «Ah sì? Il mondo vasto e potente si è ristretto nello spazio di questa stanza e solo tre anime ci abitano?» Poi avvolgendo come un serpente il rivale gli chiede di suonare il liuto, di gustare un buon vino. Se Guido si sottrae a questa offerte, non può respingere il confronto delle armi. È solo una prova in apparenza, un paragone del valore e della solidità dei rispettivi pugnali. Ma la gara diventa violenza, aggressione, duello («Sopporto il disprezzo e le offese, ma chi mi ruba ciò che mi appartiene, col suo delitto si gioca anima e corpo e muore!», grida Simone sul motivo della morte). Nel buio la donna atterrita e furiosa tenta di seguire lo scontro dei due uomini e supplica Guido e urla: «Uccidilo! Uccidilo!» Ma è Simone che abbatte Guido. Bianca ode l'ultimo rantolo del giovane amante. Oscuro (corno inglese e clarinetto basso) echeggia ancora il tema della morte. «E ora a te!» sibila lo sposo tradito. Bianca spalanca le finestre, la luce della luna la inonda.

Come Salome, come Elena, lei (la bianca, il suo nome!) è un'incarnazione della dea notturna. Con la intensa melodia "della morte" Bianca, esaltata, chiede al vincitore: «Perché non mi hai detto che sei così forte?». Nel finale dell'Helena di Hofmannsthal Menelao, la spada in mano, si avvicina all'adultera per ucciderla, ma è lui ad esser sopraffatto e vinto dalla invincibile bellezza di lei. Anche nel finale di questa "Tragedia fiorentina" la musica della morte si trasforma nella musica dell'amore: «Perché non mi hai detto che sei così bella?» risponde Simone.

Franco Serpa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 17 aprile 2010


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Ultimo aggiornamento 5 ottobre 2014