Osannato e riverito in vita molto di più del coevo Bach, l'oblio cadde rapidamente su Vivaldi dopo la sua scomparsa. La prima renaissance, subito interrotta per gli eventi bellici, porta la data del 1939, e il merito è tutto da ascrivere ad Alfredo Casella, promotore di un festival vivaldiano nell'ambito della Chigiana. Il 19 settembre di quell'anno, dopo un silenzio durato oltre due secoli, nella chiesa dei Servi di Siena si poteva riascoltare lo Stabat Mater, insieme ad altre tre composizioni sacre (Credo, Gloria e un Mottetto per soprano e archi).
Del testo di Jacopone da Todi, Vivaldi mise in musica soltanto la prima metà: non diversamente da tutti gli altri suoi pezzi sacri, il Prete Rosso non compose mai messe intere, ma soltanto singole parti dell'Ordinarium Missae, conformandosi a un'usanza veneziana che risaliva a Giovanni Gabrieli. È altresì vero però che nel caso particolare l'uso di dieci stanze invece che venti era prescritto quando lo Stabat Mater veniva cantato come inno dei Vespri nelle due ricorrenze dei Sette Dolori della Beata Vergine Maria (il 15 settembre e il venerdì che precede il Venerdì Santo). Composizione cupa e serrata, dai tempi che variano dall'Adagissimo all'Andante (secondo il Talbot «anticipazione delle Ultime sette parole di Cristo di Haydn»), lo Stabat vivaldiano presenta una forma molto vicina a quella della cantata solistica. Sei le parti che ne compongono il blocco, dove all'Andante iniziale segue un Adagissimo sulle parole Cuius animam gementem e Quod non posset contristari (che Casella identificava come Recitativo). La terza parte (O quam tristis e Pro peccatis suae gentis) è un Andante - rileva Alberto Basso - «dal carattere virtuosistico, documento prezioso del vocalismo vivaldiano». Un Largo per l'Eja mater e un Lento per il Fac ut ardeat in stile concertante, con un asciutto Amen a suggello della composizione.
Ivana Musiani
Lo «Stabat Mater» fa parte del volume II della «Collezione Giordano» (Opere Sacre). Della composizione ha così parlato Alfredo Casella: «Il manoscritto di questo capolavoro è incompleto, nel senso che Vivaldi sembra non aver musicato che una parte del celebre testo poetico. Non appare possibile accertare che la composizione dovesse essere completa e che solamente una parte ce ne sia pervenuta, oppur se fosse nell'intenzione di Vivaldi di non musicare che i passi più importanti di quel poema. Data la mirabile perfezione di questa musica, ritengo più plausibile considerare di trovarsi in presenza di un lavoro compiuto, al quale Vivaldi abbia dato intenzionalmente questa forma ridotta». Giusto ragionamento che vedremo rinnovato più tardi nella più famosa Sinfonia schubertiana, condensata in soli due tempi.
Le parti che compongono il lavoro vivaldiano, suddividono il testo in questo modo: il primo, Largo, è lo «Stabat Mater dolorosa»; il Recitativo (Adagio) è il «Cujus animam gementem»; l'Andante è il «Pro peccatis suae gentis»; segue il Largo sui versi «Eja Mater, fons amoris»; il Lento è il «Fac ut ardeat» e, infine, la chiusa è l'«Amen» in Andante.
Il lavoro benché incompleto, come si è detto, ha pagine mirabili che scolpiscono stati d'animo dolorosi e profondi, come quello dell'inizio, che presenta intervalli di quinta discendente e di nona ascendente. Così, veramente commosso è il passo a canone con i secondi violini, che ribadisce l'idea dolorosa espressa dal testo. Questo «dialogare» tra voce e strumenti è una caratteristica della composizione che dipinge la Madre di Gesù abbattuta dal dolore ai piedi della Croce. Dunque il lavoro, non ostante l'eliminazione di qualche parte del testo, ha una sua unità che fa pensare quanto sia giusto il ragionamento fatto, e sopra ricordato, dal Casella. Questo stesso musicista ha annotato che la partitura basta da sola ad assicurare al suo autore un posto di rilievo nella storia della musica, poiché la letteratura musicale sacra e religiosa offre pochi brani che possono stare a paragone di questo pezzo per intensità emotiva, per compostezza e dignità di discorso, per perfezione, infine, di melodia e di aderenza di armonia sobria ed espressiva. Jean-Pierre Demoulin, che si è occupato delle sacre composizioni vivaldiane sulla Passione di Cristo, afferma che l'«Amen» presenta una chiusura perfettamente aderente con tutto il resto dello «Stabat» anche se gli elementi compositivi sono trattati con severa mano contrappuntistica, omaggio al contenuto tradizionalmente liturgico della sequenza.
Mario Rinaldi