Concerto in mi minore per violino, archi e basso continuo "Il favorito", op. 11 n. 2, RV 277


Musica: Antonio Vivaldi (1678 - 1741)
  1. Allegro (mi minore)
  2. Andante (mi minore)
  3. Allegro (mi minore)
Organico: violino solista, archi, basso continuo
Composizione: 1728
Edizione: Michel-Charles Le Cène, Amsterdam, 1729
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il titolo «Il favorito» manifesta la predilezione per il Concerto RV 277 da parte dell'autore stesso o forse dell'imperatore Carlo VI (pubblicato nell'op. XI del 1729, il lavoro è infatti presente anche nella raccolta manoscritta La cetra offerta da Vivaldi al sovrano un anno prima). Si tratta dunque di un titolo impegnativo, ma che trova puntuale riscontro nell'eccellenza dell'invenzione e nella fattura preziosa del concerto. Del resto la perfezione formale, l'ampio respiro, la superba e introspettiva eloquenza, la ricchezza del linguaggio cromatico, l'aristocratica intensità espressiva e l'elaborazione compositiva implicano un registro retorico particolarmente elevato; tanto che, in qualche modo, il lavoro si pone come una sorta di idealizzata quintessenza del più maturo concerto vivaldiano. E questo si ravvisa anche nel disegno raffinatissimo e lussureggiante della parte solistica, improntata al virtuosismo lirico e cantabile proprio dello stile vivaldiano a partire dalla metà degli anni Venti.

Nell'Allegro d'apertura, al tratto austero e perfino spigoloso dei ritornelli orchestrali connotato da stentoree figure d'arpeggio e scale imperiose, fa appunto riscontro il virtuosismo lirico dei quattro episodi solistici dove la linea del violino principale conosce momenti di autentico abbandono cantabile. In particolare, l'ultimo episodio incomincia con l'elaborazione di un motivo cromatico del ritornello, quindi ripropone, dopo l'interpolazione di una sezione orchestrale di ritornello, l'attacco del primo episodio con effetto di ripresa. Nel folgorante Andante il ritornello orchestrale è ridotto a semplici accordi scanditi dalle parti di violino e viola per incorniciare, sostenere e inframmezzare due ampi episodi solistici, il secondo dei quali incomincia come variazione e parafrasi del primo. Nel movimento, senza basso, il lirico dipanarsi della linea solistica assume i tratti di un'incantata meditazione divagante che pare formalizzare la naturalezza sorgiva di un'improvvisazione. Anche nell'Allegro finale i ritornelli orchestrali dove compaiono motivi di caccia, sincopi e cromatismi, tendono a differenziarsi dalla scrittura più mossa e variegata dei quattro episodi solistici dove s'alternano passi di bravura e frasi più liriche. Il primo episodio trae spunto direttamente dalla testa del ritornello; l'ultimo dalla sezione cromatica e sincopata dello stesso ritornello.

Cesare Fertonani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Un gran numero di concerti di Vivaldi è giocato sulle onomatopee: l'esempio più celebre - volendo trascurare i più evidenti La caccia, Il corneto de posta, Il Gardellino e tantissimi altri titoli consimili - è rappresentato dalle Quattro stagioni. Ma Vivaldi non si accontenta di fare il verso alle sonorità presenti in natura, riesce a imitare mirabilmente anche i sentimenti, come si può dedurre da quest'altra titolazione: Il piacere, L'inquietudine, Il sospetto, Il riposo, L'amoroso. Sbaglierebbe di grosso però chi, fidandosi delle apparenze, classificasse il Concerto in mi minore per violino, Il Favorito (n. 2 dell'op. XI) tra le mozioni degli affetti. No, non di persona cara e un po' ambigua trattasi, ma di un pezzo di così palese difficoltà esecutiva, che qualsiasi violinista ambizioso e voglioso di mettere in mostra il suo virtuosismo dovrebbe mettere in programma. Allo stesso modo, un alpinista dovrebbe chiamare "favorita" una difficoltà di sesto grado.

Com'è noto, i contemporanei furono prodighi di riconoscimenti sull'abilità strumentistica di Vivaldi; persino quel malevolo di Goldoni che, nei suoi "Mémoires", non sa trattenersi dal dargli addosso quale "mediocre compositore" ma, per carità, che "eccellente suonator di violino"! Lo era ancora, tuttavia, all'epoca degli ultimi concerti, quelli dell'op. 11 e 12, del 1729, prima di dedicarsi completamente al melodramma? Secondo Talbot, il quale non esclude che Vivaldi abbia continuato a occuparsi dello strumento favorito fino agli ultimi giorni della sua vita, il distacco dal violino sarebbe stato motivato dall'affacciarsi alla ribalta di giovani violinisti tecnicamente più agguerriti di lui.

Quanto all'abbandono della stessa scrittura concertistica, il collega tedesco Quantz lo giustifica col fatto che «infine, come conseguenza del troppo comporre quotidiano, e specialmente dopo che ebbe cominciato a comporre opere, cadde nella frivolezza e nel capriccio sia nella composizione sia nell'esecuzione, per la qual ragione i suoi ultimi concerti meritavano minore approvazione che non i primi». Immemore, come teorico, di aver tanto assimilato come compositore dal Prete Rosso, Quantz arriva a sofisticare, a proposito dei concerti vivaldiani dell'età matura, su «insolenze e scorrettezze» grammaticali: invece, come ribatte garbatamente Pinzauti, «si trattava di quelle novità romantiche (come possiamo dire oggi) che non possono essere comprese dall'illustre flautista (anche Quantz era un virtuoso, n.d.r.), così profondamente legato allo stile galante del proprio tempo».

Ivana Musiani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Lo strumento "principe" per eccellenza rimaneva sempre il violino, ed è particolarmente emblematico il titolo de "Il favorito" scelto per il Concerto in mi minore RV 277 (pubblicato all'interno dell'op. 11 da Michel Le Cène nel 1729 sempre ad Amsterdam). Un appellativo che allude forse all'eccellenza dell'invenzione e della fattura musicale di un lavoro considerato tra i più affascinanti ed equilibrati del veneziano. I tre movimenti, tutti dall'ampio respiro, sono dominati da una declamazione superba, raffinatissima e variegata: in quelli estremi (i due Allegri) l'ardua parte violinistica è stemperata in una cantabile agilità che mette al riparo dal rischio di un arido tecnicismo, mentre nell'Andante centrale si manifesta tutto l'incanto divagante di una mente visionaria.

Laura Pietrantoni


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 184 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 novembre 1993
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 30 marzo 2012


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Ultimo aggiornamento 25 novembre 2015