E' questa una composizione che si potrebbe definire, con un aggettivo che fu caro al Casella, «monumentale» e non soltanto per la sua grandiosità, ma anche per l'arditezza svelata dal movimento delle parti. L'esplosione del «Credo» e dell'«Et resurrexit», in tono minore, il crescendo sulla parola «Judicare» - sul quale la composizione ritorna nel suo corso - sono, oltre che originali, davvero coraggiosi. C'è inoltre da mettere in evidenza il fugato che svela un Vivaldi di una forza nuova, anche se lo confrontiamo con quello di alcune pagine del genere dei Concerti per orchestra.
La composizione può essere divisa agevolmente in quattro parti: il «Credo» iniziale, il seguente breve «corale», il «Crucifixus» e la ripresa del primo tempo conclusa dalla fuga. Subito va notata l'estrema arditezza nell'esporre in modo minore la prima potentissima parola rivelatrice di fede. Un'affermazione granitica, dallo scatto polifonico che fa pensare al Giudice Supremo immaginato dai maggiori pittori. Nonostante la tonalità, il compositore riesce a raggiungere qualche cosa di miracoloso, di alta intensità drammatica, come del resto accade anche in certi potentissimi «allegri» di concerti impostati sulla tonalità in minore. Il «corale», più trattenuto, non manca di bellezza e sembra sia stato posto subito dopo la grandiosa espressività iniziale, per creare un contrasto di indiscussa efficacia.
Il «Crucifixus» è stato definito, da più di un esegeta vivaldiano, una delle più straordinarie creazioni musicali. Siamo di fronte a una costruzione stupenda, poggiata su di un basso grave e persistente, mentre le voci avanzano pian piano. Il loro procedere ha qualche cosa di luttuoso: la tragedia del Golgota è stata rivissuta dal Vivaldi con verità e religione. Il Casella ha ricordato che le inflessioni cromatiche di questo meraviglioso lavoro, fanno pensare imperiosamente al «Preludio in la minore» del secondo «Clavicembalo» di Bach. Il «Credo» si chiude con una ripresa del primo tempo, arricchito da alcune varianti che lo rendono più allettante e vibrante. Giunge un nuovo tempo fugato di possente vitalità. Il «Credo» termina con un'affermazione di fede drammatica e severa, la fede di un uomo che - dovrebbero tenerlo presente quanti accusano moralmente Vivaldi - ha poche illusioni sulla umanità che lo circonda e che volle dedicare alla Divinità una delle migliori espressioni della sua arte.
Mario Rinaldi