Concerto in do maggiore per violino, oboe, organo, archi e basso continuo, RV 554


Musica: Antonio Vivaldi (1678 - 1741)
  1. ... (do maggiore)
  2. ... (do maggiore)
  3. Allegro (do maggiore)
Organico: violino, oboe, organo (o violino II), archi, basso continuo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Ricordi, Milano, 1956

Vedi a RV 554a la seconda versione
Guida all'ascolto (nota 1)

La definitiva affermazione della musica strumentale in Europa tra la fine del Seicento e i primi anni del Settecento e il suo affrancarsi dal semplice ruolo di sostegno di quella vocale trova il suo protagonista in Arcangelo Corelli (Fusignano 1653 - Roma 1713), compositore e violinista che nel corso della sua carriera non scrisse una sola nota di musica vocale. La sua produzione, significativamente poco cospicua, sintetizza e distilla il suo "credo" nell'autonomia della musica strumentale. Oltre ad avere ottenuto uno straordinario successo editoriale anche al di fuori dell'Italia, le sue raccolte di Sonate e Concerti grossi rappresentarono un riferimento imprescindibile per i musicisti delle generazioni successive.

La parabola creativa e la fama europea di Corelli furono alla base del grande incremento della produzione di musica strumentale nella prima metà del Settecento. Questo fenomeno ebbe anche motivazioni di carattere economico, sociale ed estetico. I luoghi e le sedi della produzione musicale rimasero, almeno per la prima metà del secolo, le corti, le cappelle e i palazzi nobiliari. Il graduale sviluppo dell'editoria musicale trovò in Francia, Olanda e in Gran Bretagna i luoghi di maggiore vivacità commerciale, strettamente connessi al progressivo allargamento dei fruitori, molto spesso dilettanti, di questo repertorio. Nello stesso periodo la specializzazione compositiva nell'ambito strumentale smise di essere un'eccezione, come era avvenuto con Corelli, e diventò una consuetudine, anche perché molto spesso i compositori erano anche grandi virtuosi. A questo arco temporale va ricondotta anche la nascita dei concerti a pagamento.

In Italia la piena affermazione della musica strumentale si realizzò in un contesto con aspetti specifici rispetto al resto d'Europa. Per quanto riguarda i concerti a pagamento, essi rappresentavano una pratica ancora poco diffusa. I luoghi e gli ambiti di produzione e fruizione di musica strumentale erano ancora le corti aristocratiche e le cappelle ecclesiastiche, e l'editoria non aveva la capacità imprenditoriale di quella d'oltralpe. Questo fenomeno è testimoniato tra l'altro dal fatto che molti dei compositori italiani di successo del tempo, tra i quali Vivaldi e Albinoni, affidarono i loro lavori ad editori olandesi.

Senza l'esperienza corelliana, il genio di Antonio Vivaldi (Venezia 1678 - Vienna 1741) non avrebbe potuto manifestarsi in tutta la sua portata. La sua prima formazione fu essenzialmente strumentale e gli fu trasmessa dal padre Giovanni Battista, che faceva parte della Cappella della Basilica di San Marco dal 1685 e aveva anche l'incarico di maestro di strumenti ad arco all'Ospedale dei Mendicanti. Egli fu considerato insieme al figlio uno dei migliori violinisti veneziani. Non sappiamo invece in quale modo avvenne la formazione teorica e compositiva del giovane Antonio. Le sue prime raccolte a stampa, le Suonate da camera op. I (1705), le Sonate op. II (1709) fino ad arrivare al capolavoro L'estro armonico op. III (1711) fecero comunque fatica ad affermarsi a Venezia e in Italia. Probabilmente i colleghi di Vivaldi si dimostrarono restii ad accettare l'esuberanza del suo stile, per paura di essere in qualche misura da lui superati. In Italia occorsero alcuni decenni perché Vivaldi s'imponesse come modello compositivo, mentre la sua fortuna crebbe molto più rapidamente nei paesi d'oltralpe. Il caso più importante è rappresentato dall'enorme influsso che la sua musica ebbe su Bach. Il primo importante biografo del grande compositore tedesco, Johann Nikolaus Forkel, a proposito del suo rapporto con Vivaldi, scrisse nel 1802:

«Ci deve essere ordine e proporzione e per ottenere questi oggetti una guida è necessaria. I concerti di Vivaldi per violino, appena pubblicati, gli servirono per guida; egli li ha ascoltati spesso, elogiandoli come composizioni ammirevoli al punto da avere la buona idea di arrangiarli tutti per la tastiera. Egli studiò il concatenamento delle idee, la loro relazione una con l'altra, la variazione delle modulazioni, e molti altri particolari. I cambi necessari da fare in idee e passaggi composti per il violino, ma non realizzabili sulla tastiera, lo condussero a pensare musicalmente; così, dopo che il suo lavoro fu completato, egli non ebbe più a lungo bisogno di aspettare le idee dalle sue dita, ma sarebbero derivate dalla sua stessa fantasia».

Questa nota citazione è molto importante e il riferimento al solo Vivaldi è indicativo, perché evidentemente fu l'autore che maggiormente segnò l'esperienza creativa di Bach, che studiò e trascrisse musica di altri autori italiani, quali Alessandro e Benedetto Marcello, Arcangelo Corelli e Giuseppe Torelli. Il rapporto tra Bach e Vivaldi è ancora oggi del tutto oscuro dal punto di vista biografico e professionale. Non sappiamo se i due musicisti si conobbero, ma certamente il grande autore italiano era noto in Germania già intorno al 1706, epoca nella quale circolavano numerose partiture manoscritte della sua musica. Per alcune delle sue trascrizioni per clavicembalo Bach utilizzò certamente la citata stampa di Amsterdam del 1711, anche se sappiamo che copie manoscritte della raccolta erano presenti in biblioteche tedesche dell'epoca. Conosciamo invece molto bene il rapporto tra Vivaldi e Dresda, poiché egli scrisse alcuni brani strumentali per Johann Georg Pisendel (1687-1755) attivo in quella corte. Considerato il maggior violinista tedesco della sua generazione, Pisendel aveva conosciuto Bach nel 1709 a Weimar e studiò anche con Vivaldi, e dopo un soggiorno a Venezia di un anno, tra il 1716 e il 1717, riportò con sé molti manoscritti del maestro veneziano e divenne il principale artefice del culto vivaldiano in Germania.

Nella citazione di Forkel è centrale il riferimento al «pensare musicalmente», anche se il suo scopo era dimostrare che l'interesse di Bach per Vivaldi era un beneficio diretto per il suo lavoro di compositore per tastiera. Da un lato questo significa pensare a un'idea musicale indipendentemente dalla sua realizzazione strumentale, qualcosa che abbia un valore musicale "puro" che possa essere riprodotto e modificato in uno o in un altro strumento. Dall'altra si riferisce non tanto alla «ars inveniendi», cioè allo studio di tecniche compositive, all'armonia e al contrappunto, o alla melodia e al ritmo, ma piuttosto al fatto di assimilare soluzioni compositive e i mezzi attraverso i quali elaborarle. Quest'approccio funzionale è un concetto nuovo nella storia della composizione e s'innesta nell'esperienza compositiva di Bach, arricchendola notevolmente. Le trascrizioni di Bach rappresentano quindi un approccio analitico, che riassume il terreno complesso di una partitura orchestrale a un luogo più generico dal punto di vista strumentale ma perfettamente funzionale a tale analisi.

La tecnica musicale dei concerti di Vivaldi, che è alla base del concetto più generale del «Concerto», è fondata su sistemi antitetici, a diversi livelli: timbrici (soli/tutti), tonali (stabilità armonica/modulazioni), agogici (lento/veloce), che possono essere variamente combinati e arricchiti anche sul piano dello stile. La strategia compositiva del Concerto italiano, codificata e sistematizzata prima ancora da Arcangelo Corelli, aveva rappresentato una fondamentale soluzione ai problemi di organizzazione musicale della musica strumentale, priva di supporti semantici, e del suo definitivo affrancamento dal repertorio vocale. Lo sviluppo compositivo di queste antitesi e l'uso dei mezzi base dell'armonia tonale assicurarono che i concerti vivaldiani avessero un alto grado di plausibilità e spiegano perché l'incontro di Bach con questi lavori abbia fortemente modificato il suo modo di pensare alla musica.

La vicenda creativa e l'enorme mole di musica strumentale del "Prete rosso" rappresenta un caso unico per varietà e ampiezza nel panorama musicale italiano settecentesco. Ciò è dovuto in larga misura alla biografia del compositore e alle sue mansioni professionali all'Ospedale della Pietà. Venezia era da tempo immemorabile una città commerciale che dominava da secoli le vie d'Oriente con le sue colonie fortificate ed era perciò spesso coinvolta in azioni di guerra, in particolare contro i turchi. In una città del genere c'erano quindi innumerevoli orfani, trovatelli, figli illegittimi: una moltitudine di creature bisognose d'assistenza. Fin dalla fine del Medioevo erano stati fondati degli orfanotrofi, annessi agli ospedali, chiamati anch'essi "ospedali", mantenuti in parte con denaro pubblico e in parte da lasciti di mecenati. In queste istituzioni era previsto anche l'insegnamento del canto e di alcuni strumenti. Quattro Ospedali (la Pietà, i Mendicanti, gli Incurabili e l'Ospedaletto) erano riservati esclusivamente alle fanciulle e divennero famosi per la qualità dei concerti che si svolgevano regolarmente la domenica e durante i giorni di festa. La qualità di queste esecuzioni doveva essere effettivamente molto alta, tale da far accorrere nella città lagunare viaggiatori che poi redigevano commenti entusiastici nei loro diari. Il russo Pétr Andreevic Tolstoj scrisse nel 1698:

«Esistono a Venezia ospedali femminili dove le allieve suonano l'organo e diversi strumenti, e cantano così mirabilmente che non sarebbe possibile ascoltare altrove canti così dolci e armoniosi. Sicché la gente accorre a Venezia da ogni dove per nutrirsi di tali canti angelici, soprattutto di quelli dell'Ospedale degli Incurabili».

L'inizio dell'attività didattica di Vivaldi all'Ospedale della Pietà risale al 1703, quando egli è definito "maestro di violino", pochi mesi dopo l'ordinazione sacerdotale. Subito dopo egli ebbe anche incarichi come compositore con gli appellativi di "Maestro del Coro" e "Maestro de' Concerti". Nel 1713 iniziò la sua carriera come operista, e questo certamente rallentò la sua produzione di musica strumentale, che in ogni caso mantenne lungo il resto della sua vita, anche se con lunghe interruzioni per viaggi in varie capitali europee.

Gli elementi più innovativi dello stile concertistico vivaldiano rispetto al modello di Corelli risiedono nelle grandi possibilità di dispiegamento virtuosistico che questo stile offriva al solista, nella grandiosità della struttura formale, nella chiarezza dell'impianto armonico e in un'accentuazione ritmica d'una forza e varietà di aspetti assolutamente sconosciuti agli ascoltatori di allora. Nel Concerto grosso corelliano il trio dei solisti (due violini e violoncello) costituiva ancora un'entità chiusa in sé stessa, la scrittura era spesso quella delle Sonate a tre e gli episodi solistici non erano particolarmente estesi.

Il catalogo vivaldiano dei Concerti è davvero sterminato e conta per lo meno quattrocentocinquanta titoli. Tale impressionante mole di musica si deve in gran parte all'obbligo richiesto a Vivaldi di comporre per le "putte" della Pietà, considerate come abbiamo visto tra le migliori strumentiste e cantanti in circolazione a Venezia.

Il Concerto in do maggiore RV 554 prevede come solisti il violino, l'oboe e l'organo. L'elemento più interessante di questo brano è dato dalla combinazione timbrica nei "soli" dei tre strumenti principali. L'organo è sempre associato al violino, con il quale suona i passaggi solistici per terze. Il momento più interessante del primo movimento è l'ultimo lungo episodio solistico, quando i tre solisti gareggiano in figurazioni virtuosistiche. Dopo un delicato tempo centrale, affidato ai tre solisti, il Concerto si conclude con un Allegro dal carattere brillante.

Luca Della Libera


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 2 novembre 2014


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Ultimo aggiornamento 9 gennaio 2015