Il maestro Gianfrancesco Malipiero ha richiamato l'attenzione sul manoscritto conservato nella Biblioteca Nazionale di Torino, nel quale si parla di «oboe» e non di «violino o oboe», a differenza di tutti gli altri concerti di questa opera. In alcune edizioni è scritto: «questo concerto si può fare anco cor (sic) l'Hautbois». L'Allegro si vale di un tema franco e spedito sul quale sorgerà la parte del solista attentamente curata e svolta. La tonalità di do maggiore dona più chiarezza e spontaneità all'idea musicale.
Il Largo rivela l'intenzione dell'autore di affidare questo concerto allo strumento a fiato: infatti la tecnica è perfettamente rispondente all'oboe. Nella parte centrale del tempo la melodia si fa più misteriosa e il solista quasi si nasconde nelle armonie dell'accompagnamento, per poi riprendere il sopravvento con il suo canto pacato e meditato che in qualche punto raggiunge un'intensa commozione.
L'Allegro finale, al suo apparire, risulta un po' pesante col suo alternarsi di note basse e alte, ma poi tutto si alleggerisce e il tema corre via con grande facilità. Qualche cosa di rustico e di brillante insieme, che conclude in modo definitivo la raccolta dei concerti. Importante la parte orchestrale, ma interessante anche il solista nelle sue apparizioni. Si potrebbe dire che questo tempo sintetizzi tutti i tempi brillanti dell'opera vivaldiana.