Concerto in re maggiore per archi e basso continuo, op. 12 n. 3, RV 124


Musica: Antonio Vivaldi (1678 - 1741)
  1. Allegro (re maggiore)
  2. Grave (si minore)
  3. Allegro (re maggiore)
Organico: archi, basso continuo
Composizione: 1729
Edizione: Michel-Charles Le Cène, Amsterdam, 1729
Guida all'ascolto (nota 1)

I Concerti vivaldiani dell'op. 12 furono composti tra il 1729 e il 1730 e pubblicati, vivo l'Autore, dall'editore Michele Carlo Le Cene di Amsterdam sotto il titolo: «Sei concerti a violino principale, violino primo e secondo, alto viola, organo e violoncello di D. Antonio Vivaldi musico di violino, maestro del pio ospedale della città di Venezia e maestro di cappella di camera di S.A.S. il sigr. Principe Filippo Langravio d'Hassia Darmistath. Amsterdam. A spesa di Michele Carlo Le Cene». E il Concerto che si esegue stasera e che di questa raccolta fa parte non si raccomanda per particolari caratteristiche che non siano quelle generalmente e giustamente attribuite alla musica vivaldiana. Sicché da un lato in questo Concerto è possibile ritrovare gli echi di quella specializzazione strumentale che fece del «prete rosso» uno dei maggiori violinisti del primo Settecento: anche in questo Concerto, cioè, e non solo nella parte solistica si nota la immissione di acquisizioni di una tecnica da Vivaldi stesso arricchita in misura notevolissima sia dal punto di vista della ricerca di inedite sonorità che da quello di posizioni più congeniali allo strumento che, infine, da quello della valorizzazione delle risorse più segrete, di nuove possibilità espressive. Non per nulla è stato scritto che le musiche di Vivaldi «nascono per così dire dallo spirito dello strumento» anche se «a questa felice intuizione naturale egli aggiunge una capacità inventiva straordinaria, una duttilità ed una multiformità di idee che sconcertano ancor oggi».

D'altra parte, questo Concerto ci sembra largamente esemplificativo di quello che un moderno grande compositore anche lui veneziano, Gianfrancesco Malipiero, scriveva sull'argomento: «Quasi tutti i Concerti sono in tre tempi, lento quello centrale, talvolta cortissimo quasi intermezzo per legare il primo e il terzo tempo vivaci. Dal secondo tempo dei concerti si può forse indovinare lo stato d'animo del compositore. Talvolta pare si conceda a malincuore un attimo di riposo per riprender fiato, tal'altra quando cioè il secondo tempo è di più vaste proporzioni si indovina perchè al grande Vivaldi più obbediente tra tutti fu Giovanni Sebastiano Bach. Esaminando da vicino nostro malgrado come se non volessimo vedere ma fossimo costretti a guardare, la forma del primo e del terzo tempo è quella osservata da Hugo Riemann e da lui definita in poche parole. Ciò che può variare è l'intensità della invenzione dalla quale dipende il fervore dell'eloquio. I giuochi d'agilità si tradiscono come tali per il loro ingenuo ripetersi, sembrano le capriole di un bambino che fa le bizze per scandalizzare il parentado, però esagera soltanto quando vuole scandalizzare se stesso facendo il bravo alle spese delle pazienze altrui. I prolungati arpeggi corrispondono a quello che più tardi divenne il preludiare. Frequenti le "trovate armoniche"; chiamarle trovate è più che giusto perchè di fronte ad esse lo stesso compositore s'arresta stupito, le ripete per convincersi che sono proprio sue... Allorquando per esprimere gaiezza vuole che il suo pensiero musicale scelga una via meno consueta Vivaldi ricorre allo stile imitativo con tutte le apparenze del fugato. L'originalità viene spesso compromessa dalle esagerate ripetizioni del "già sentito" ma in compenso forse per atavismo l'austerità del contrappunto non eclissa la sua personalità quando sempre inconsapevolmente non sa se guardare indietro oppure molto avanti a sè e Bach lo attende al varco ».

Gianfilippo De' Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 28 ottobre 1970


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Ultimo aggiornamento 17 dicembre 2014