Cessate omai, cessate, RV 684
Cantata per contralto, archi e basso continuo
Musica: Antonio Vivaldi (1678 - 1741)
Testo: autore ignoto
- Cessate
omai cessate - Largo e sciolto
Recitativo
per contralto, archi e basso continuo
- Ah
ch'infelice sempre - Larghetto (sol minore)
Aria
per contralto, archi e basso continuo
- A'voi
dunque ricorro orridi specchi - Andante e
pianissimo
Recitativo per contralto, archi e basso continuo
- Nell'orrido
albergo - Allegro (mi bemolle maggiore)
Aria per contralto, archi e basso continuo
Organico: contralto, basso continuo
Composizione: 1720 - 1724
Edizione: Ricordi, Milano, 1987
La musica vocale settecentesca conosceva anche una dimensione
esecutiva più contenuta ma per nulla meno spettacolare, anche se
lontana dalle scene teatrali. È quella della Cantata che, nata nel
Seicento come succesione compiuta di Recitativi ed Arie, raggiunse con
Vivaldi, Alessandro Scarlatti ed Händel una capacità evocativa non
dissimile da quella dell'Opera seria. Ne è uno straordinario esempio Cessate ornai cessate,
in cui la virtuosità drammatica del compositore veneziano si dipana
appieno già nei Recitativi accompagnati. La prima Aria, con gli archi
pizzicati ad evocare le lacrime del testo, ben descrive il sentire
dell'amante abbandonato, il doloroso richiudersi su se stesso. Dopo
l'irreale fissità del Recitativo che ne segue, ad essa si contrappone
un'Aria di furore in cui la dinamicità del disegno degli archi avvolge
ed esalta il declamato della voce.
Claudio Osele
Testo
Cessate
ornai cessate RV 684
Recitativo
Cessate, ornai cessate,
rimembranze crudeli
d'un affetto tiranno;
già barbare e spietate
mi cangiaste i contenti
in un immenso affanno.
Cessate, ornai cessate,
di lacerarmi il petto,
di trafiggermi l'alma,
di toglier al mio cor riposo e calma.
Povero core afflitto e abbandonato,
se ti toglie la pace
un affetto tiranno,
perché un volto spietato, un'alma infida,
la sola crudeltà pasce ed annida.
Aria
Ah, ch'infelice sempre
mi vuol Dorilla ingrata.
ah, sempre più spietata
m'astringe a lagrimar.
Per me non v'è ristoro,
per me non v'è più speme,
e il fier martoro
e le mie pene
solo la morte
può consolar.
Recitativo
A voi dunque ricorro,
orridi spechi, taciturni orrori,
solitari ritiri ed ombre amiche,
tra voi porto il mio duolo,
perchè spero da voi quella pietade,
che Dorilla inumana non annida.
Vengo, spelonche amate,
vengo, spechi graditi,
affine meco involto
il mio tormento in voi resti sepolto.
Aria
Nell'orrido albergo,
ricetto di pene,
potrò il mio tormento
sfogare contento,
potrò ad alta voce
chiamare spietata
Dorilla l'ingrata,
morire potrò.
Andrò d'Acheronte
su la nera sponda,
tingendo quell'onda
di sangue innocente,
gridando vendetta,
ed ombra baccante
vendetta farò.
(1)
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 7 maggio 2004
I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti
e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente
agli aventi diritto.
Ultimo aggiornamento 21 ottobre 2015