Till Eulenspiegels lustige Streiche (I tiri burloni di Till Eulenspiegel), op. 28

Poema sinfonico

Musica: Richard Strauss (1864 - 1949)
Organico: ottavino, 3 flauti, 3 oboi, corno inglese, clarinetto in re, 2 clarinetti in si bemolle, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni in fa e mi, 4 corni in re (ad libitum), 3 trombe in fa e do, 3 trombe in re (ad libitum), 3 tromboni, tuba, timpani, triangolo, piatti, grancassa, tamburo, raganella grande, archi
Composizione: Monaco, 6 Maggio 1895
Prima esecuzione: Colonia, Gurzenichsaal, 5 Novembre 1895
Edizione: J. Aibl, Monaco, 1895
Dedica: Al saggista e musicografo Arthur Seidl
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Ho terminato in partitura un nuovo poema sinfonico Till Eulenspiegel - molto allegro e spavaldo [sehr lustig und übermutig]», scrisse Strauss il 9 giugno 1895 al direttore d'orchestra Franz Wüllner che qualche mese dopo, il 5 novembre, presentò a Colonia la prima esecuzione. Il Till era il quinto dei poemi sinfonici (vedremo fra poco che la definizione di genere non corrisponde all'intenzione di Strauss) e ottenne un enorme successo, superiore a quello dei poemi già conosciuti e molto applauditi (Don Giovanni del 1888 e Morte e trasfigurazione del 1889), e una veloce circolazione in Germania e ben presto in Europa. Da qualche anno Strauss era il musicista più noto e più discusso, il maggiore esponente di un'arte antiaccademica e innovativa (l'autorevole Hanslick l'aveva definito il capofila «dei secessionisti in musica») e il Till Eulenspiegel confermò, anche per il suo contenuto poetico, questa sua immagine di riformatore ribelle. Non era un'immagine autentica, perché Strauss, che custodiva solidissimo in sé il senso della tradizione musicale, fu un artista quasi sempre originalmente creativo ma mai eversivo: certo è, però, che egli, come uomo e come musicista, detestò ogni pregiudizio, ogni inerte convenzione, ogni abitudine borghese, dunque non fu mai un «filisteo» né da giovane né da vecchio (qualunque giudizio abbiano dato e diano di lui gli esponenti dell'avanguardia e i borghesi progressisti). Strauss da giovane immaginò e creò musica con insofferenza esistenziale, accesa sensualità, spirito di avventura, da uomo maturo e da vecchio immaginò e creò con sapienza, eleganza, ironia, inquietudine. Ebbe sempre robusta la fantasia e magistrale la tecnica, come i veri artisti, antichi e moderni, hanno avuto e devono avere.

Della produzione giovanile di Strauss, avventurosa e sensuale, come abbiamo appena detto, il Till è una delle opere più significative per la concezione e per la forma, entrambe estrose e tuttavia ben meditate. Parve allora, ai primi ascolti, un capolavoro ardito e tale suona a noi dopo un secolo: e forse si può dire ancora oggi che non c'è in tutta la letteratura sinfonica un lavoro tanto «allegro e spavaldo».

Del personaggio Till, mezzo storico e mezzo leggendario, nulla è certo. Deve essere stato un popolano beffatore, malandrino, facinoroso, vissuto nella Germania del nord nel XIV secolo. Perfino il nome è incerto. Forse «Eulenspiegel», che sembra essere formato da «Buie», la civetta, e da «Spiegel», lo specchio («lo specchio della civetta»?, un simbolo?, un'allegoria di cui si è perso il significato?) potrebbe essere la trasformazione fonica tedesca del francese «espiègle», il malandrino, o potrebbe essere il contrario. Come a molti di questi eroi della ribellione antiautoritaria in ogni tradizione nazionale, sopravvissero a Till racconti e favole di innumerevoli prodezze e furbizie, per trasmissione prima orale poi letteraria. Questa celebre figura dell'eterno briccone piacque a Strauss trentenne, che dapprima progettò di farlo protagonista di un'opera (di cui restano abbozzi del libretto, di mano di Strauss stesso) e poi lo trasfigurò e lo rese davvero eterno in pura musica.

Nella lettera citata all'inizio Strauss parla di un poema sinfonico, ma poi evitò la definizione al momento della stampa, preferendo, con ragione, sottolineare la forma musicale, quella del rondò, e non il contenuto narrativo. È vero che egli stesso, dopo aver rifiutato di fornire indicazioni delle avventure e delle situazioni messe in musica, si rassegnò a stendere un elenco («C'era una volta un burlone...», «Il nome era Till...», «Su, a cavallo in mezzo alle donne del mercato...», «Till travestito da frate...» e così via), un elenco che egli inserì anche in una preziosa copia manoscritta della partitura fatta per i due nipoti nell'ottobre 1944, in occasione del «50° compleanno del buon Till». Ma l'elenco degli episodi è inutile, e forse fuorviante, perché la musica, quanto a energia evocativa, descrittiva, psicologica, è perfettamente sufficiente. E genialmente adeguata è anche la scelta del rondò che è un mezzo riferito non solo all'architettura formale (un tema-ritornello che ricompare periodicamente tra un episodio e l'altro) ma anche all'organizzazione dei contenuti (il briccone che spunta all'improvviso, sparisce e si ripresenta).

Nelle cinque battute iniziali in ritmo pari, 4/8, sentiamo il garbato, sorridente avvio del racconto: «C'era una volta un burlone...». All'improvviso, sullo sfondo di un tremolo degli archi, il burlone ci compare davanti. È il celeberrimo tema dei corni in ritmo dispari, 6/8, ripetuto tre volte con irrequieta dislocazione ritmica, come per dirci che Till c'è e non c'è, è qui ed è lì. Si è iniziata la tumultuosa serie di imprese e buffonerie. Quello dei corni era il tema cavalieresco di Till, subito dopo nella voce stridula del clarinetto («l'interprete principale del "furfante"», come scrisse Strauss a Wüllner il 26 settembre 1895) vediamo le bizzarrie di Till, i salti e le smorfie. Qui notiamo un'abile, astuta finezza musicale e psicologica: le note di questo secondo tema sono le stesse del motivo iniziale del «C'era una volta...», ma irriconoscibili perché hanno cambiato disposizione ritmica. Prima una pacata narrazione ha cominciato a dire che una volta esisteva Till, ora da quelle parole Till è uscito vivo e arzillo. Da qui in poi, fino alla cattura, alla condanna, all'enfasi grottesca della morte, alla serena conclusione, che circolarmente ripete l'inizio (la vitalità di Till non conosce fine né può estinguersi nella morte) la musica è un godimento continuo. Specificare e determinare troppo ne tradirebbe la suprema arte affabulatoria.

Franco Serpa

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il personaggio di Till Eulenspiegel, protagonista del piú estroso tra tutti i poemi sinfonici di Strauss, è una di quelle figure che furono assunte dall'immnaginario popolare prima e dalla letteratura poi a simbolo d un'identità nazionale, al tempo della vecchia Germania: una sorta di Faust in veste di monello, turbolento inventore di burle, in fuga perpetua da se stesso attraverso paesi e città. Strauss se ne innamorò assistendo nel 1889 a Weimar a una rappresentazione dell'opera Eulenspiegel di Cyrill Kistler. A colpirlo furono soprattutto i lati umoristici e scanzonati del personaggio, l'ironia beffarda sottesa allo spirito di rivolta contro la saccenteria dei benpensanti. Quella figura, tanto radicata nella solidità della storia quanto sospesa nella leggerezza della fantasia, gli parve adatta a costituire il soggetto di un lavoro teatrale; il progetto si arenò, per risorgere sei anni dopo come programma non per un'opera bensi per un poema sinfonico. Completato il 6 maggio 1595, Till Eulenspiegel lustige Streiche (I tiri burloni di Till Eulenspiegel) venne eseguito per la prima volta ai concerti Gürzenich di Colonia il 5 novembre dello stesso anno, sotto la direzione di Franz Wüllner.

Per quanto l'autore in una lettera al direttore della prima esecuzione negasse l'esistenza di un programma, invitando gli ascoltatori a cavarsela da soli, le peripezie di Till sono illustrate con una descrizione vivida, ancora una volta quasi plasticamente, perfino nei dettagli piú bizzarri (come quando nell'episodio della predica di Till si spiega che «il controfagotto nel registro grave rappresenta il dito grosso di un piede»). L'opera è articolata in cinque episodi, evocanti altrettante avventure del protagonista, preceduti da un'introduzione e seguiti da un epilogo. La forma del rondò, esplicitamente menzionata nel sottotitolo in capo alla partitura insieme con il riferimento a un'antica melodia burlesca, parve a Strauss la piú adatta a rappresentare il vagabondare di Till. Ciò gli consentiva di far tornare il tema principale dopo ogni strofa, prima di ogni nuova avventura, e di svolgere i controtemi nelle parti di collegamento: un espediente strategico del tutto connaturato all'argomento, ma soprattutto garante di un principio quasi classico di unità.

Nelle prime battute dell'introduzione i commentatori hanno visto tradotto in suoni il tradizionale esordio delle favole, «C'era una volta...»: ne è emblema l'antica melodia burlesca di cui parla il sottotitolo, affidata ai violini. Alla sesta misura il corno presenta il tema principale, quello di Till: scattante, spavaldo, audace nelle sue provocazioni ma anche beffardo nel suo precipitare a rotta di collo verso l'abisso. E il racconto comincia. Sono cinque momenti di gloriosa incoscienza, trattati con la piú incantevole bonomia, spingendo all'estremo la polifonia orchestrale in un gioco di colori, di ritmi, di intrecci, di variazioni figurate. Ecco Till che irrompe sulla piazza del mercato creando un'irrimediabile confusione, tra sinistri strepiti e risa sbellicate; che si traveste da frate per fare al colto e all'inclita una predica blasfema; che corteggia una ragazza fingendosi perdutamente innamorato, salvo poi offendersi del suo rifiuto; che incontra cinque luminari della scienza (musicalmente personificati da tre fagotti, clarinetto basso e controfagotto), disputando con loro dei massimi sistemi, prima imbrogliandoli e poi dandosela allegramente a gambe. Finalmente sazio di burle, Till riflette sul suo destino, mentre cresce in lui l'indignazione per quel canagliume che è l'umanità (pretesto per un episodio meditativo che riespone il materiale tematico in una nuova combinazione, di tono quasi elegiaco). Davanti a lui si delinea un futuro nero: inevitabile che «filistei, professori e sapienti» ne esigano l'arresto, il giudizio, la condanna. Alla sentenza di morte pronunciata dai tromboni con un salto discendente di settima maggiore egli risponde fischiettando spensieratamente il suo tema. Solo sulla forca un grido acutissimo, strozzato, rivelerà la sua fragilità umana, destinata a finire come tutti, burloni e non, nel nulla.

Ma Till Eulenspiegel è un personaggio fiabesco, e come tale immortale. L'epilogo torna a evocarne la figura con immnensa dolcezza, quasi con gratitudine, trasfigurando il suo tema sul placido cantabile del «C'era una volta...» dell'introduzione. Poi un ultimo sberleffo ne annuncia radiosamente l'ascesa liberatrice verso l'empireo dove, anche privato del corpo, lo spirito è vita.

Sergio Sablich


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 maggio 2002
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Festival Verdi,
Parma, 7 Maggio 2004


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Ultimo aggiornamento 4 agosto 2013