Sonata in fa maggiore per violoncello e pianoforte, op. 6 (TRV 115)


Musica: Richard Strauss (1864 - 1949)
  1. Allegro con brio
  2. Andante ma non troppo
  3. Finale Allegro vivo
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: Staffelsein e Monaco, 5 maggio 1881 e inverno 1882/83
Prima esecuzione: Norimberga, 8 Dicembre 1883
Edizione: J. Aibl, Monaco, 1883
Dedica: Al suo caro amico Hans Wihan
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Richard Strauss fu compositore di precocità pari a quella di Mozart: a sei anni, come Mozart, scriveva le sue prime composizioni per pianoforte e il suo primo Lied, a otto il primo lavoro orchestrale, a undici la prima composizione da camera, e a dodici firmava la Festmarsch per orchestra a cui attribuiva l'opera 1 e che come tale veniva pubblicata nel 1881, quando Strauss aveva diciassette anni. L'opera 2, un Quartetto per archi, seguiva nel 1880; l'opera 3, Cinque Pezzi per pianoforte, e l'opera 5, Sonata per pianoforte, seguivano nel 1881; l'opera 7, Serenata per strumenti a fiato, e l'opera 8, Concerto per violino, nel 1882; l'opera 6, Sonata per violoncello e pianoforte, e l'opera 10, Otto Lieder per canto e pianoforte, nel 1883; l'opera 11, Concerto per corno, l'opera 4, Suite per tredici strumenti a fiato, e l'opera 9, Stimmungsbilder per pianoforte, nel 1884; il 13 dicembre 1884, quando Strauss aveva poco più di vent'anni, veniva eseguita a New York la sua Sinfonia in fa minore op. 12, ripresa a Colonia il 13 gennaio 1885. E tutto ciò senza considerare le numerosissime composizioni, come la Sinfonia in re minore eseguita a Monaco il 14 marzo 1880, a cui non venne assegnato il numero d'opera. Altrettanto sorprendente la carriera di direttore d'orchestra: assunto nel 1885 dalla Cappella di Meiningen su segnalazione di Hans von Bülow e battendo concorrenti che si chiamavano Felix Weingartner e Gustav Mahler, nel 1886 Strauss diventava, nella Cappella, il primo direttore, succedendo a Bülow stesso.

Mozart, dicevamo, e Mendelssohn, sono gli unici precedenti storici che si possono citare a proposito della precocità di Strauss. Tuttavia, le composizioni scritte fino al 1884 si collocano nel solco della tradizione classico-romantica tedesca, e non rivelano a noi il volto di Strauss che sarebbe poi diventato familiare. Questo è lo Strauss che Hans von Bülow, in una lettera del 9 ottobre 1884 all'impresario Albert Gutmann, aggregò alla "klassische Schule". Lo Strauss che immediatamente riconosciamo comincia a nascere con la Burlesca per pianoforte e orchestra (1885) e con la "fantasia sinfonica" Aus Italien (1886), e si afferma con il poema sinfonico Don ]uan, composto tra il 1887 e il 1888, eseguito l'11 novembre 1889, e che crea il "caso Strauss", cioè, che di Strauss e della sua poetica fa discutere con passione.

Nella Sonata op. 6 per violoncello e pianoforte noi troviamo quindi il precoce possesso di un mestiere molto solido, anche se non ancora perfetto, e non un'originalità assòluta di pensiero e di indirizzo poetico. Il primo tempo è costruito in forma classica, bitematica e tripartita. Il primo gruppo tematico comprende un tema festoso, scattante, e un sinuoso tema a modo di valzer, il secondo gruppo tematico comprende un tema a modo di corale, in do minore, e un tema di valzer, in do maggiore. Dal punto di vista dell'analisi accademica il primo tema del secondo gruppo tematico potrebbe essere considerato come "ponte", e il secondo come "secondo tema" vero e proprio. Ma in verità Strauss, che in ciò risente della impostazione drammaturgica di Schumann sul trattamento del primo tempo di sonata, non stabilisce precise gerarchie tra i temi e sposta verso i due terzi dell'esposizione, invece che verso la metà, il momento in cui si afferma la tonalità della dominante.

Lo sviluppo sembra molto ampio, ma solo perché i temi non si prestano ad una complessa elaborazione; nell'ultima sezione Strauss fa anzi ricorso ad un fugato, che si affida più alla curva dinamica che all'ingegnosità contrappuntistica, e che dà appunto l'impressione di un'imponenza più apparente che reale. Le dimensioni dello sviluppo sono infatti di 152 battute rispetto alle 162 dell'esposizione.

Più interessante la riesposizione, sebbene un po' squilibrata architettonicamente rispetto alle sezioni precedenti (191 battute, a cui seguono 19 battute di coda). Interessante perché i piani tonali non corrispondono alla norma. Ci si aspetterebbe infatti che il secondo gruppo tematico iniziasse in fa minore e proseguisse in fa maggiore: inizia invece, e prosegue, in la minore, ed alcune parti del materiale tematico vengono spostate dalle rispettive posizioni dell'esposizione.

Il secondo tempo, piuttosto breve, sembra richiamarsi al tardo stile di Beethoven. La forma è tripartita (primo tema, secondo tema, primo tema), con una coda in cui il re maggiore subentra al re minore e che pare avviarsi verso un sereno lieto-fine; ma Strauss contraddice alla fine l'andamento espressivo rasserenato e chiude in re minore, con un bel gioco di richiami tra i due strumenti.

La Sonata è in tre tempi, e il finale riunisce in sé i caratteri dello scherzo e del finale. La forma è di nuovo quella bitematica e tripartita, e la scrittura ,della parte pianistica, molto massiccia, richiama l'orchestra, tanto che si pensa spesso ad un concerto più che ad una sonata.

La Sonata op. 6 venne iniziata nel maggio del 1881, ma fu composta nell'inverno 1882-83 e venne pubblicata nel 1883 con dedica "al suo caro amico Hans Winan". Hans Winan, boemo, dal 1880 faceva parte dell'orchestra di Monaco ed era membro di un quartetto in cui il ruolo di primo violino era sostenuto da Benno Walter, insegnante di Strauss. Nell'autunno del 1883 fra Strauss e la moglie di Winan, la pianista Dora Weis, era scoppiato un colpo di fulmine che avrebbe condotto in breve al naufragio del matrimonio e al divorzio. Hans Winan volle tenere tuttavia la prima esecuzione della Sonata, che ebbe luogo a Norimberga l'8 dicembre 1883, con la pianista Hildegard von Königsthal. Il 19 dicembre Strauss eseguì la Sonata a Dresda, insieme con il violoncellista Ferdinand Böckmann, e il 16 gennaio 1884 a Berlino, in casa di Martin Levi, insieme con Robert Hausmann. In quest'ultima occasione la Sonata fu ascoltata, e molto lodata, da Josef Joachim, a cui Strauss pensava di proporre il Concerto op. 8 (il progetto non andò però in porto). Il 27 gennaio 1884, infine, Strauss eseguì la Sonata con Anton von Werner, ma la riprese poi raramente, anche perché cominciò a dedicarsi intensamente alla direzione d'orchestra. È da ricordare ancora l'esecuzione del 31 marzo 1890, al Liszt-Verein di Lipsia, con il violoncellista Alwin Schröder. In quell'occasione Strauss scrisse ad Alexander Ritter dicendo: «È stata per me una sensazione terribilmente comica suonare in tutta serietà, dinanzi al pubblico, uno di quei pezzi in cui non si crede più».

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Questa di Strauss è una delle tipiche Sonate del repertorio che danno grande soddisfazione ai concertisti, per l'alto grado di virtuosità tecnica e per la calda comunicatività espressiva. Opera giovanile di Strauss, ne risente tutti gli impulsi e ne riflette la precocità e l'eccezionalità del talento. Ed è interessante notare, subito, come Richard Strauss abbia condensato le proprie opere cameristiche strumentali - non molte - entro il 1890; per dar adito quindi all'enorme stagione sinfonistica e teatrale; e per ritornare ad un camerismo, depurato, solo negli ultimi anni dell'attività creativa. Del periodo cameristico giovanile, i migliori esemplari sono le due Sonate a «duo»: quella in fa maggiore op. 6 per violoncello e pianoforte, composta nel 1882-83, e quella in mi bemolle maggiore op. 18 per violino e pianoforte, composta nel 1887: rispettivamente sei anni, e un anno, prima del Don Giovanni, il poema sinfonico che è la firma straussiana per eccellenza. All'epoca della Sonata in fa maggiore op. 6 Richard Strauss, diciottenne, era studente all'Università di Monaco: ma stava per lasciarla, per dedicarsi interamente alla musica. Eseguita la prima volta a Norimberga l'8 dicembre 1883, quest'opera è stata detta un distillato stilistico panromantico, di Schumann più Mendelssohn più Brahms. Effettivamente, a tali classici del romanticismo andavano allora le giuste attenzioni straussiane (il wagnerismo non lo aveva ancora preso). E la Sonata detiene forse più di Mendelssohn nell'aspetto espressivo; mentre dei due altri grandi nelle ambizioni del discorso e della fattura. Ma personalissimo e inconfondibile è il piglio baldanzoso, prettamente straussiano, che si impone fin dall'avvio del primo tempo, Allegro con brio, quasi o già «dongiovannesco»: eroici accordi del violoncello, opposti all'energica ed elastica frase del pianoforte; cui segue un altro tema, aggraziato, che giunge ad un affascinante pathos e, infine, alla chiusa declamatoria. La ricchezza dell'invenzione tematica straussiana si affida qui ad un discorso molto strettamente intrecciato fra i due strumenti: con quei ritorni, tipici della «forma ciclica», che del resto si riscontrano all'interno di ciascun tempo della Sonata. Nel pathos, però, molto più contenuto ed intimo appare il secondo movimento, Andante ma non troppo, dalla lirica cantabilità più propriamente «alla Mendelssohn»: nel lungo arco melodico primeggia il violoncello, voce sfruttata in tutti i suoi registri e relative risorse, provocatrice d'immediata emozione. Altri, e diversi, richiami mendelssohniani - e cioè a quello delle aeree leggerezze e fantasie - può avere il terzo tempo, Allegro vivo, in quel suo tema principale, e ricorrente, che è un frastagliato lavorio ritmico, saltellante ed ironico, rimbalzante fra i due strumenti; cui non manca di opporsi un altro tema, lirico. L'abile trattazione dei vari elementi riporta però in primo piano, e specie alla chiusa di questo Finale, il carattere baldanzoso che era quello dell'inizio della Sonata: o il suo fondamentale. Si potrebbe ora richiamare una celebre frase, che è uno dei «comandamenti» di un certo decalogo dello Strauss compositore-direttore, o direttore-compositore, di alquanto tempo dopo: «Dirigi Salome ed Elektra come se fossero di Mendelsshon: musica di silfidi!». Al che Riccardo Malipiero commenta: «E', in fondo, il suo segreto sogno di compositore e anche il segreto per "rendere" questa musica che a tutto può essere paragonata meno che a musica di silfidi».


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 22 Maggio 1992
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 26 marzo 1970


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Ultimo aggiornamento 7 febbraio 2013