Sonata in mi bemolle maggiore per violino e pianoforte, op. 18 (TRV 151)


Musica: Richard Strauss (1864 - 1949)
  1. Allegro, ma non troppo (mi bemolle maggiore)
  2. Improvisation, Andante cantabile (la bemolle maggiore)
  3. Finale Andante - Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Monaco, 1 Novembre 1887
Prima esecuzione: Elberfeld, Kasinosaal, 3 Ottobre 1888
Edizione: J. Aibl, Monaco, 1888
Dedica: Robert Pschorr, cugino di Richard
Guida all'ascolto (nota 1)

Il giudizio su Richard Strauss è ben lungi dall'essere definitivo: forse ci separano ancora pochi anni da lui per il necessario distacco critico, o forse la deprecabile abitudine di giudicare le opere con un criterio di originalità, ha finito per stritolare la sua musica tra i monumenti della modernità (da Schönberg a Stravinskij, da Debussy a Webern). Strauss, certo, non ha molto a che vedere col Novecento e certamente non sembra un musicista del XX secolo se consideriamo che Arianna a Nasso fu composta nel 1912, l'anno del Pierrot lunaire e del Sacre du printemps. Guardando alla totalità della sua produzione, noteremo però una straordinaria coerenza del linguaggio espressivo, del vocabolario armonico e dell'uso dell'orchestra, tutti elementi che si sono evoluti costantemente. Glenn Gould sintetizza in modo perfetto il ruolo del compositore nella storia della musica: «Ciò che è soprattutto esemplare nella musica di Strauss (afferma Gould nel saggio Perorazione per Richard Strauss apparso nel 1962 e pubblicato in italiano da Adelphi sul volume L'ala del turbine intelligente) è il fatto che essa rappresenti concretamente la trascendenza da ogni dogmatismo artistico, da ogni problema di gusto, di stile e di linguaggio, da ogni frivolo e sterile cavillo cronologico. È l'opera di un uomo che arricchisce la propria epoca perché non le appartiene, e che parla per ogni generazione perché non s'identifica con nessuna. È una suprema dichiarazione dì individualità: la dimostrazione che l'uomo può creare una propria sintesi del tempo senza essere vincolato ai modelli che il tempo gli impone». Poter ascoltare una sua opera giovanile è dunque un'opportunità per scoprire dove e quando si forma questo linguaggio, quali ne sono le radici e quali le caratteristiche principali.

Il catalogo della musica da camera di Strauss (esclusi, ovviamente, i Lieder) è piuttosto esiguo e quasi tutte le pagine risalgono al primo periodo creativo; la Sonata fu scritta dopo il Quartetto in do minore op. 13, considerato una delle opere chiave della giovinezza straussiana, e ne conserva la coerenza del vocabolario, nonché la possibilità (già aperta da Wagner) di sfruttare le ricchezze della tonalità tardoromantica nell'ambito di una rigida disciplina formale. Le scelte armoniche sembrano assolutamente audaci, ma la chiarezza del disegno architettonico ne rende comprensibile il linguaggio. E così che si spiega come Strauss sia difficilmente classificabile nelle rigide schematizzazioni; non era certo un neoclassico ma il suo romanticismo era venato di profonde tendenze razionalistiche (amava considerarsi il "Mozart del Novecento"). Tra i maestri ideali di questa Sonata c'è sicuramente Brahms e, in secondo luogo, Schumann; l'omaggio ai classici appare "metabolizzato", vista l'originalità della concezione e la condotta del materiale musicale. Da quegli autori Strauss ha appreso l'originale lezione sull'arte del contrappunto, specie nel trattamento della linea del basso che dà equilibrio (la mano sinistra del pianoforte), in modo che l'artificio non sia mai fine a se stesso; nelle opere giovanili, infatti, possiamo osservare (ed ascoltare) come la tradizione si innesti sull'inevitabilità con cui tutte le note sono legate dalla prima all'ultima.

Composta tra il 1887 e il 1888 (negli anni della fantasia sinfonica Aus Italien e del Don Juan) la Sonata ha la struttura classica in tre movimenti e rappresenta l'ultimo saggio del compositore nel genere della musica astratta prima di darsi anima e corpo all'opera e al poema sinfonico. Benché giovanile questa Sonata non deve essere considerata immatura poiché vi si trovano elementi del linguaggio delle opere seguenti e già nel primo movimento lo stile melodico e ritmico di Strauss è inconfondibile: ampi intervalli, valori puntati, terzine e salti d'ottava si intrecciano nel serrato dialogo polifonico tra i due strumenti, così da formare un tessuto dal quale i protagonisti traggono via via sempre più energia. In generale il trattamento degli strumenti pone in primo piano il pianoforte che diviene punto di riferimento nello sviluppo dei temi e nella ricerca di tonalità lontane, utilizzate per mettere in luce elementi inaspettati del tema, come se si trattasse delle diverse sfaccettature psicologiche di un personaggio. Le frasi melodiche hanno la magica capacità di estendersi all'infinito e la tensione è ben sostenuta dal continuo accelerare e rallentare della velocità che tiene l'ascoltatore sempre vigile e in attesa di nuovi eventi sonori.

Dopo "l'entusiasmo" giovanile, nel secondo movimento prevale l'aspetto cantabile, nel quale si intravede qualche elemento dello Strauss autore di Lieder, finché la complessa parte del pianoforte non torna a rivelare le vere attitudini orchestrali del compositore. Questo movimento fu pensato per avere anche una esistenza propria e venne pubblicato separatamente con il titolo di Improvvisazione termine che però non significa "libero"; il movimento ha, al contrario, uno schema formale tripartito ben chiaro, e l'alternanza tra pianoforte e violino è perfettamente equilibrata così da ottenere un clima molto appassionato e disteso allo stesso tempo.

Il terzo movimento si apre con l'Andante affidato al solo pianoforte che moltiplica il senso di attesa, segue l'Allegro che esplode con il suo deciso tema ascensionale. In questo Finale sembra di avvertire la "costrizione" che il duo impone al libero fluire delle idee del compositore. Pianoforte e violino esplorano tutta la propria estensione fino ai limiti del grave e dell'acuto, cercando anche note "impossibili". Inizialmente il violino sembra riprendere l'atmosfera del primo movimento ma l'attenzione generale per la forma sembra qui passare in secondo piano; l'organizzazione del materiale musicale è pensata per dare massimo risalto al tema principale che ritorna incessante e ci conduce al climax delle ultime battute.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata per violino op. 18 chiude la serie delle composizioni giovanili di Richard Strauss. Essa è anche l'ultima sua opera di quel periodo legata alle forme della musica strumentale assoluta e influenzata dalla tradizione classico-romantica così come questa si era venuta rispecchiando, nel clima culturale del secondo Ottocento, nell'opera sotto molti aspetti conclusiva di Johannes Brahms. Dopo la Sonata, composta nel 1887 ed eseguita per la prima volta a Monaco il 3 ottobre 1888 da parte del violinista Robert Herckmann e dell'autore stesso in veste di pianista, Strauss avrebbe imboccato con tenace risolutezza una strada del tutto diversa, quella del poema sinfonico, inaugurata alla grande, e proprio in quegli stessi anni, col Don Giovanni op. 20, pietra miliare, accanto alla coeva Prima sinfonia di Gustav Mahler, di una nuova era della musica moderna, cui Strauss, nonostante i periodici ritorni all'antico e al passato, decisamente e ineluttabilmente appartiene.

Se è vero che anche Strauss, come tutti i grandi, ebbe tre periodi creativi (una fase giovanile influenzata dalle forme strumentali classiche, una centrale dominata dal sinfonismo del poema sonoro, una matura racchiusa nell'amplissima produzione teatrale, cui si connettono anche le deviazioni e i ritorni della tarda età), il criterio di valutazione della Sonata per violino e pianoforte andrà cercato in riferimento all'epoca della sua composizione e al momento preciso della circoscritta ricerca del musicista.

In tal caso quest'opera densa e sfuggente ci apparirà come l'estrema propaggine del sonatismo da camera ottocentesco, costituito di intimità tormentata e di esteriorità ben conscia delle attese del pubblico: ossia dire infarcita di soluzioni a effetto (inutile dire quanto calcolate) e di virtuosismi nient'affatto limitati all'aspetto meramente strumentale ma incisivi anche sul piano dell'articolazione formale. Ciò spiega, anzitutto, la predilezione che i violinisti hanno per questo pezzo, senza dubbio codificabile come un saggio - uno degli ultimi, appunto, di questo genere - del più alto rango concertistico, stimabile fra le Sonate di Schumann e di Brahms da un lato e quelle di Franck e di Prokofiev dall'altro, cui rimanda per certa eterogeneità di linguaggio all'interno dell'impianto fondamentalmente classico. Nondimeno l'inquietudine di Strauss, quasi personalizzata nell'ossessiva presenza del pianoforte che amplifica a dismisura l'eloquenza già florida del violino, si manifesta in una tendenza a moltiplicare continuamente gli sviluppi del discorso anziché dirigerli verso una meta e fissarli per così dire in uno sguardo d'assieme riassuntivo e organico.

La frizione fra equilibrio della forma (nella disposizione, che è anche traccia distributiva, in tre tempi secondo lo schema convenzionale Allegro di sonata - Andante - Finale) e addensamento dei contenuti espressivi e delle figure tematiche (gli uni e le altre legati, come è noto, da relazioni immanenti nella forma classica) si rende evidente là dove il processo compositivo, anziché chiudersi unitariamente, si ramifica e si tende in avanti, fidando quasi soltanto nelle capacità mediatrici del gesto virtuosistico, della genialità improvvisatrice (addirittura pianificata nel secondo movimento, Improvisation) e dell'«inatteso» - apparentemente - colpo d'ala (si ascolti, nel Finale, il passaggio dall'Andante all'Allegro, scaltramente preparato affinché sembri imprevisto).

Allentandosi o viceversa tendendosi l'arco formale, le proporzioni classiche risultano alterate e richiedono continue suture. Le forniscono ora accenti decisamente declamatori, di una retorica prorompente, ora sospensioni liriche, di una assorta cantabilità (l'influenza di Brahms è chiara; ma l'istinto di Strauss, sensibile al richiamo dell'oasi dove tempo e spazio non esistono più, è ancora più illuminante); più spesso ancora abbiamo episodi di differente ispirazione fantastica, virtuosisticamente accesi, che proliferano insinuando un andamento rapsodico e affastellando effusioni, per poi magari subito dopo ritrattarle e oggettivarle in un anelito di purezza. Guardando più a fondo, sono proprio queste suture a produrre germi infettivi che conducono a morte l'organismo formale, spingendo verso il nuovo. Ma a questo punto Strauss si arresta, per ricominciare altrove il suo cammino.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Richard Strauss si dedicò alla musica da camera quasi solo negli anni dell'apprendistato giovanile; la Sonata per violino e pianoforte op.18 è la sua unica sonata per quest'organico. La composizione risale al 1887, (l'autore era allora ventitreenne), la pubblicazione è dello stesso anno. Sebbene sia una composizione giovanile che risente di influenze varie, non ultima quella di Brahms, Strauss ci mette già molto del suo. Soprattutto una certa insofferenza per le forme classiche che fa apparire eccentriche certe soluzioni di introduzione ai brani o particolarmente prolungate alcune esposizioni tematiche. Tipica della sonata in questione è poi la presenza di riusciti "effetti" dal notevole impatto uditivo e una certa inclinazione al virtuosismo. Se da una parte quest'ultimo elemento denota una ricerca di consenso da parte del pubblico (consenso di cui abbisogna l'autore ancora giovane), dall'altra le soluzioni più effervescenti vanno d'accordo col carattere esuberante tipico della creatività di Strauss.

Il primo tempo, Allegro, si apre con un motto di carattere orchestrale enunciato dal pianoforte, motto che dà l'impulso d'entrata al violino, le cui linee melodiche possiedono quel lirismo, dall'espressione parlante e dall'inclinazione dialogica, che già prefigura gli interessi futuri del grande operista. Sebbene le modulazioni a tonalità lontane siano presenti già nell'esposizione, nella successiva sezione dello sviluppo la frammentazione del materiale tematico raggiunge risultati assai innovativi, soprattutto nella drammaticità a cui riesce a dare vita la combinazione delle parti. La tensione generata raggiunge livelli talmente alti da farci desiderare quasi come un bisogno la ripresa. Interessante il trattamento del pianoforte che spesso disegna macchie sonore e si intromette con sforzati, procedendo in maniera contrastante rispetto alla fluidità lirica del violino. Di avvolgente fascino la coda, dove Strauss riesce a creare momenti di intensa passionalità. Il ritorno del motto iniziale e un nuovo intervento lirico del violino rende più intima e interessante una conclusione che rischiava di sfociare in un romanticismo di maniera.

Il brano successivo, Improvisation - andante cantabile, sembra procedere di sezione lirica in sezione lirica come, appunto, un'improvvisazione; in realtà possiede una chiara forma tripartita desunta dalla struttura del lied (A-B-A). Strauss lo pensò adatto a costituire un pezzo singolo per violino e pianoforte e ne autorizzò successivamente anche l'edizione separata. Tipico del brano è l'intenso lirismo di cui protagonista assoluto è il violino. Interessante la concitata parte centrale in minore che funziona da contrasto con la vellutata cantabilità del resto.

Il finale in due tempi, Andante - Allegro, riprende lo schema della forma sonata presente nel primo tempo. L'Allegro, preceduto da un'introduzione lenta, viene anche qui introdotto dal pianoforte (come nel primo tempo) con un motto chiaramente orchestrale che ricorda l'inizio del poema sinfonico Don Juan, opera contemporanea alla sonata. La condotta lirica del violino è qui maggiormente appassionata rispetto al primo brano, che possiede i tratti di una maggiore cantabilità. Strauss sceglie in quest'ultimo tempo di sacrificare lo sviluppo e la ripresa a favore di un prolungato e vigoroso "climax" che permette al violinista di mostrare molte delle sue capacità tecniche ed espressive. C'è in questo passo il grande uomo di teatro. Difficile non farsi trasportare da un abbraccio sonoro tanto avvolgente.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

La Sonata in mi bemolle maggiore op. 18 di Richard Strauss rappresenta un approccio giovanile al genere, destinato però a rimanere un unicum in tutta la produzione del compositore tedesco. L'influsso brahmsiano è evidente nella fattura dei temi e nello slancio romantico, ma completamente originale è la visione "sinfonica" della pagina che si concretizza in una scrittura musicale particolarmente ricca di richiami orchestrali. Terminata il 1° novembre del 1887, la Sonata op. 18 venne dedicata a Robert Pschorr, cugino di Richard Strauss e venne eseguita la prima volta il 3 ottobre 1888 a Elberfeld. Articolata nei canonici tre movimenti, l'opera mette in evidenza grande vitalità ed esuberanza ritmica attraverso temi di ampio respiro e di accurata elaborazione.

Il tema introduttivo dell'Allegro ma non troppo, incisivo e ben scandito ritmicamente, è annunciato da solenni accordi del pianoforte ai quali il violino replica con una «terzina a mo' di fanfara» che a Quirino Principe ricorda «il soggetto principale del Trio op. 80 di Schumann». Il primo tema è struggente e cantabile e viene presentato dal pianoforte, seguito immediatamente dal violino, nelle corde del quale assume una sfumatura quasi nostalgica. Fra il primo e il secondo tema, Strauss inserisce un appassionato motivo in tonalità minore, che pare essere uscito dalla penna di Brahms. Il secondo tema, in si bemolle, è un'ascesa del violino, intensa e molto romantica, anch'essa di marca nettamente brahmsiana. Il pianoforte però non manca mai di far udire il nervoso ritmo del tema introduttivo. La sezione elaborativa è interamente basata sull'incipit del tema introduttivo, vero e proprio mattatore dell'intero movimento. I temi esposti in precedenza si alternano, si scontrano, si intrecciano in un discorso musicale sempre teso e appassionato, ma alieno da una vera e propria elaborazione tematica. Un graduale esaurirsi dell'impeto ritmico porta in piano alla ripresa del tema introduttivo, che sembra ora aver perso il piglio eroico iniziale. Uno dopo l'altro sfilano i motivi: dal tema appassionato in tonalità minore, prima al violino poi al pianoforte, al secondo tema, prima in la maggiore, poi dolcissimo e cantabile nella tonalità d'impianto. Una perorazione del secondo tema nel registro acuto del violino porta alla sezione finale, dominata dal ritmo del tema introduttivo e conclusa con una perentoria cadenza dei due strumenti.

L'Andante cantabile si apre con un tema dolce, calmo, disteso, che sembra fatto apposta per esaltare la "cavata" dei grandi violinisti. Una corona interrompe quasi bruscamente il discorso musicale: ed ecco apparire un secondo tema in mi bemolle maggiore, perfettamente complementare al primo, del quale sembra essere quasi una naturale prosecuzione. Il ritorno del tema principale conclude la prima parte del movimento. La seconda parte, emotivamente più agitata, si apre sulle minacciose ottave del pianoforte (pare quasi di udire un passaggio del futuro Don Juan) ed elabora alcuni elementi motivici del secondo tema; timbricamente suggestivo anche l'episodio successivo, tutto giocato in dialogo fra gli arabeschi del pianoforte nel registro acuto e i rapidi guizzi del violino, che riprendono frammenti del secondo tema. La ripetizione del tema principale non è uguale alla sua prima enunciazione; Strauss lo reitera infatti varie volte con espedienti timbrici sempre diversi, rispettando in questo modo le intenzioni programmatiche insite nel titolo (Improvisation). Delicata e raffinatissima la chiusura del movimento, col violino che accenna per l'ultima volta il tema principale seguito da una cadenza e un arpeggio in pianissimo del pianoforte.

Poche battute di Andante precedono l'energico Allegro conclusivo, annunciato dai poderosi accordi del pianoforte. Il respiro di questa pagina è senz'altro di tipo sinfonico: all'orchestra fanno pensare i poderosi passaggi in ottava del pianoforte, le possenti scale a tutta tastiera e il memorabile secondo tema, disteso e cantabile ma anche incline a una certa "sana" retorica. Dopo una breve sezione di sviluppo, Strauss riprende i due temi principali, ai quali fa seguire una coda nella quale sentiamo in nuce la trascinante forza vitale dei finali dei suoi più celebri poemi sinfonici.

Alesdsandro De Bei


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 maggio 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze,
Firenze, 26 novembre 1984
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 20 maggio 2004
(4) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. AMX 008 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 24 febbraio 2017