Ein Heldenleben (Vita d'eroe) poema sinfonico, op. 40


Musica: Richard Strauss (1864 - 1949)
  1. L'eroe
  2. Gli avversari dell'eroe
  3. La compagna dell'eroe
  4. Il campo di battaglia dell'eroe
  5. Le opere di pace dell'eroe
  6. Fuga dell'eroe dal mondo e compimento del suo destino
Organico: ottavino, 3 flauti, 3 oboi, corno inglese (anche quarto oboe), clarinetto piccolo, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 8 corni, 5 trombe, 3 tromboni, tuba tenore, tuba bassa, timpani, grancassa, piatti, tamburo piccolo, cassa rullante, tamtam, triangolo, 2 arpe, archi
Composizione: Berlino-Charlottenburg, 1 Dicembre 1898
Prima esecuzione: Francoforte, Saalbau, 3 Marzo 1899
Edizione: F. Leuckart, Lipsia, 1899
Dedica: Willem Mengelberg ed i Concertgebouw-Orchester di Amsterdam
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Vita d'eroe fu concepito da Strauss, nel 1897-98, insieme al Don Chìsciotte (che gli è superiore per originalità, ricchezza di fantasia e misura espressiva) e forma con esso un dittico sulla figura dell'"eroe", nella concezione romantica dell'intrepido idealista e dell'artista sognatore. Ma è giusto dire subito che la musica di Vita d'eroe, pur con l'eloquenza sonora che essa ostenta in alcune pagine che esaltano il "grand'uomo" incompreso dal mondo, non ha nessun segno del pessimismo estetizzante o del generico spiritualismo che oggi avvertiamo con distacco in tanti lavori della fine dell'Ottocento. Qui ci sono forza, sicurezza di idee e precisione di disegno, e soprattutto c'è uno spettacolare virtuosismo, che segna un punto di arrivo nell'evoluzione della tecnica orchestrale nata con Berlioz e con Wagner. Dopo i modi espressivi messi in opera nel meraviglioso Don Chisciotte e in Vita d'eroe Strauss poteva procedere solo trasportando quei mezzi dal sinfonismo puro alla scena. Il che avvenne pienamente sei anni dopo con Salome (1905), di cui Vita d'eroe, per l'esasperazione delle immagini e dei mezzi linguistici, è una specie di antefatto autobiografico. I lavori di Strauss che stanno in mezzo tra Vita d'eroe e l'eroismo perverso della principessa Salome - l'affabile poema sinfonico Sinfonia Domestica (un rovesciamento dello spirito di Vita d'eroe, 1900) e l'opera Feuersnot (un'eco bavarese ma molto brillante dei Maestri cantori, 1901) - ci confermano oggi la necessità quasi naturale del passaggio alla musica teatrale.

Del resto, anche sull'idealizzazione autobiografica e sul pessimismo di Vita d'eroe bisogna intendersi. Strauss era un genio così energico e sicuro di sé, ed anche ironico e scettico al momento giusto, da saper tenere a distanza le mode dell'epoca e da saper sorridere dei suoi stessi entusiasmi: sì che già componendo la sua Sinfonia "eroica" ne poteva fare a parole un'incantevole parafrasi buffa. «L'Eroica di Beethoven è amata così poco dai nostri direttori d'orchestra e per questo oggi si esegue così di rado che io per appagare l'urgentissima necessità di eroismo sto componendo un enorme poema sinfonico intitolato Vita d'eroe, però senza una marcia funebre, anch'esso in mi bemolle maggiore, con tanti corni che sono sempre un chiaro segno di spirito eroico» (lettera di Strauss all'amico ed editore Eugen Spitzweg, 23 luglio 1898). E in modo altrettanto amabile e sbrigativo giudicava se stesso in un colloquio con Romain Rolland, avvenuto a Parigi proprio dopo un'esecuzione di Vita d'eroe (musica che piaceva moltissimo a Rolland, equilibrato ammiratore, sì, di Strauss, ma anche diffidente e spesso severo) : «Lei ha ragione in quello che ha scritto su dì me: io non sono un eroe; non ne ho la forza necessaria, non sono fatto per la battaglia, preferisco tenermi in disparte, essere tranquillo, starmene in riposo. Non ho una grande genialità [....]» (dal diario di Romain Rolland, 9 marzo 1900, in «Cahiers R. Rolland», n. 3, R. Strauss et R. Rolland. Correspondance. Fragments de Journal, Parigi 1951).

«Io non sono un eroe», «Non sono fatto per la battaglia», dice l'autore di Vita d'eroe, in cui c'è la formidabile descrizione di una battaglia! Che dobbiamo pensare dunque della sostanza ideologica e psicologica di questo poema sinfonico? È Strauss stesso l'eroe ritratto nel quadro musicale grandioso, in faccia ai suoi nemici, a colloquio con l'amata e tra le sue braccia, nel tumulto della battaglia, nella trasfigurata serenità del suo lavoro e dei ricordi, nella pace della natura? La risposta alla domanda che tutti ci poniamo (ed è naturale che ciò accada), per essere una risposta corretta deve essere indiretta. Il poema musicale evoca l'immagine di un artista antiaccademico, antifilisteo, combattivo, appassionato, di una figura ideale, insomma, alla quale Strauss dà anche i tratti della sua vita nella sfera creativa e nella sentimentale-affettiva. Così comprendiamo il significato e il valore della serie di autocitazioni, imponente e magistralmente costruita in sovrapposizioni polifoniche, che nel quinto episodio Strauss fa dai suoi lavori precedenti (una "teatrale" sfilata di temi e magnifiche melodie dai poemi Don Giovanni, Zarathustra, Morte e trasfigurazione, Don Chisciotte, Macbeth, dall'opera Guntram, dal Lied Traum durch die Dämmmerung: «È uno stupefacente catalogo di autocitazioni, il più completo e il più sistematico in tutta la storia della musica», ha scritto A. Goléa, nel suo Richard Strauss, Parigi 1965). Così ci spieghiamo anche il trascinante lirismo della cosiddetta Liebesstunde, "ora d'amore", nel terzo episodio (ma la musica che introduce l'episodio e che possiamo definire un "colloquio" tra la donna (3), violino solista, e l'artista, piena orchestra in brevi frasi intercalate alle battute del violino, è eccessivamente lunga e ripetitiva), che è non tanto una descrizione erotica quanto un canto di gratitudine, di tenerezza, un amoroso omaggio di Strauss alla persona più importante della sua vita, ed è una delle pagine somme dello Strauss sinfonico.

Dunque, ripeto, nella figura ideale e generica dell'artista-eroe Strauss ha incluso anche se stesso, o meglio, egli ha potuto evocare la figura simbolo solo con l'esperienza che egli aveva del suo genio e delle sue forze creative. Ecco perché in questa musica sfolgorante c'è qualcosa di troppo e tuttavia anche si avverte la mancanza di qualcosa di essenziale. Mancano la definizione di un carattere specifico, la chiarezza del disegno e del gesto, per i quali l'invenzione tematica di Strauss era, e fu poi sempre in seguito, infallibile: manca, appunto, la figura. Manca, dunque, tutto ciò che negli altri eroi dei suoi poemi (e, dopo, nei personaggi delle opere) egli aveva presentato con precisione inconfondibile, come in Don Giovanni, in Till, in Don Chisciotte. E c'è anche un eccesso di virtuosismo tecnico nelle descrizioni e nelle esaltazioni sonore: il quarto episodio, "L'eroe al campo di battaglia", per quanto ammirevoli siano la sapienza mimetica e la scienza costruttivo-contrappuntistica, è ancora oggi una sfida alla sazietà dell'ascolto. Eppure non bisogna insistere sulle intenzioni serie e sulla solennità della concezione esistenziale, come ho già detto. Strauss stesso raccomandava di ascoltare e di comprendere Vita d'eroe insieme al Don Chisciotte in una stessa serata, come fossero due parti di un unico poema musicale. E si può anche aggiungere che il significato del tumultuoso epinicio romantico si completa anche, e si attenua, nell'epos familiare e borghese scrìtto un anno dopo, come congedo dal sinfonismo, la Sinfonia Domestica.

Franco Serpa

(3) Tutta la parte del violino solista è guidata da annotazioni espressive, insolitamente numerose, "con finto languore", "con spensieratezza", "un po' sentimentale", "molto aspra", "con furia sempre maggiore", "sprezzante" ecc., che solo genericamente possono essere tradotte in espressione musicale. Nella pagina, in realtà, Strauss ha descritto con fedele simpatia e tolleranza, nei suoni e nelle annotazioni aggiunte, il carattere di sua moglie, la temibile, e temuta da tutti, signora Pauline Strauss.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Con Vita d'eroe, composto nel 1838 e da lui diretto il 3 marzo 1899 a Francoforte, Strauss conclude consapevolmente il ciclo dei poemi sinfonici. Il tema letterario del lavoro è ormai scopertamente autobiografico, e con un esplicito significato di riepilogo: l'eroe è senza dubbio il compositore stesso, che riconsidera tutta la sua esistenza umana e artistica per chiarire a sé e agli altri il senso della propria opera e dell'esperienza finora maturata. Non per nulla la partitura include una gran quantità di autocitazioni, soprattutto dai poemi sinfonici precedenti: quasi raddoppiando la funzione mimica di figure musicali già impiegate, e dunque provviste in partenza di un significato evidente.

Il programma è svolto in sei sezioni ben distinte ma senza soluzione di continuità: 1) L'eroe: un gesto musicale deciso e pieno di energia volitiva annuncia il protagonista del poema; altri tre temi dipingono la sua potenza d'immaginazione, la profondità del suo sentire, la sua vitalità. 2) Gli avversari: i nemici dell'eroe sono naturalmente meschini e petulanti; il gioco dei temi e dei timbri disegna con chiarezza il contrasto fra queste presenze grottesche e quella dell'eroe. 3) La compagna: alle espansioni del violino solista è affidata la caratterizzazione della compagna dell'eroe e, attraverso di lei, dell'eterno femminino; la rappresentazione, molto concreta, passa in rassegna i diversi umori del suo rapporto con lei. Al tenero colloquio dei due temi-personaggio segue bruscamente un appello delle trombe. 4) Il campo di battaglia: i temi dell'eroe e dei suoi nemici tornano in una raffigurazione animata dal generoso impiego di ottoni e percussione; l'inevitabile vittoria è salutata da un canto trionfale cui partecipa la compagna dell'eroe: ma ì sordi colpi del timpano insinuano un'oscura e lontana minaccia. 5) Le opere di pace: il senso più privato del poema si chiarisce nella sfilata delle citazioni: Don Giovanni, Zarathustra, Morte e trasfìgurazione, Don Chisciotte, Till, Guntram, Macbeth, il Lied Sogno nel crepuscolo; nel mosaico abilissimo irrompe ancora una volta, brevemente, il tema degli avversari. 6) Ritiro dal mondo e fine dell'eroe: un episodio quasi pastorale simboleggia la quiete interiore finalmente raggiunta dopo tante avventure; un ultimo momento di contrasto è superato dalla trasfigurazione recata dal tema della compagna.

In un lavoro fra i suoi più complessi e finemente elaborati, lo Strauss trentaquattrenne si congeda da un capitolo della sua storia artistica e da tutto un secolo: il suo Novecento sarà soprattutto teatro.

Guida all'ascolto 3 (nota 4)

Vita d'eroe, completato il 27 dicembre 1898, si colloca tra il Don Chisciotte e la Sinfonia domestica e vuole essere, come quest'ultimo Poema sinfonico, una specie di ritratto autobiografico dell'autore. La prima esecuzione di Ein Heldenleben ebbe luogo il 3 marzo 1899 nalla sala del Museumsgesellschaft di Francoforte sul Meno sotto la direzione dello stesso compositore, con Willy Messe (1859-1939) violino solista. Dopo pochi giorni, il 22 marzo, il lavoro venne presentato a Berlino dall'Orchestra dell'Opera di Corte diretta da Strauss, ma con un altro violino solista, Karl Halir (1859-1909), discepolo come Hess del grande Joseph Joachim. Il pubblico rimase disorientato dall'aggrovigliato sinfonismo della partitura e non mancarono critiche più ostili che favorevoli.

Fu Willem Mengelberg e l'orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, ai quali è dedicata la partitura, ad imporre questa composizione all'attenzione di tutti, musicisti e non, e portarla al successo, che si estese prima negli Stati Uniti e poi in Europa. Lo scrittore e musicologo Romain Rolland, ammiratore di Strauss, espresse a suo tempo su questo poema il seguente giudizio: «Opera straordinaria, inebriata d'eroismo, colossale, barocca, triviale, sublime. Un eroe omerico vi si dibatte in mezzo ai sogghigni della folla stupida, branco d'oche strillone e zoppicanti... Nessun dubbio che il pensiero di Beethoven abbia spesso ispirato, stimolato, guidato quello di Strauss. Ma l'eroe di Strauss è ben diverso da quello di Beethoven...».

La partitura, la cui esecuzione dura quaranta minuti e si basa, su un organico strumentale massiccio (tra l'altro prevede otto corni, tre tromboni, un nutrito schieramento di archi e una cospicua batteria con una grande cassa rullante, chiamata Rührtrommel), si divide in sei sezioni, le quali si susseguono senza interruzione e si intitolano: L'eroe, Gli avversar! dell'eroe, La compagna dell'eroe, il campo dì battaglia dell'eroe, Le opere di pace dell'eroe, II ritiro dal mondo e la fine dell'eroe. Dal punto di vista formale il lavoro somiglia ad una sinfonia di ampie proporzioni. Il movimento iniziale è un primo tempo con l'esposizione dei temi principali e il relativo sviluppo sino alla conclusione nella tonalità della dominante. Negli Avversar! dell'eroe il discorso sinfonico continua, dopo l'interpolazione di uno Scherzo grottesco. Nella Compagna dell'eroe la struttura sinfonica è interrotta da un lungo assolo del violino, sfociante in un Andante molto cantabile, con i temi di questa e della prima sezione. Nel Campo di battaglia si snoda la seconda parte dello sviluppo, mentre le Opere di pace possono considerarsi come la terza parte dello sviluppo. Il ritiro dal mondo e la fine dell'eroe sono la coda, divisa in due parti, della Sinfonia.

Il Poema si apre con un tema vigoroso e deciso, indicante la personalità dell'eroe dominatore e sicuro di sé: è una frase di plastica e viva inventiva straussiana, su cui si innestano altri tre temi. Dopo un vivace contrappunto, il tema principale è sottoposto ad un brillante crescendo che sbocca in una vigorosa cadenza, quasi una sfida a tutti coloro che vorranno intralciare il cammino dell'eroe. Ed eccoli i disturbatori e gli avversar!, indicati dai ritmi taglienti degli oboi, dei clarinetti, dei fagotti e dei flauti; ad essi si uniscono le due tube con suoni fastidiosi e ripetitivi. Dapprima l'eroe ascolta pazientemente e il suo tema appare deformato nel corno inglese; egli vorrebbe dialogare e far capire le proprie ragioni, ma le chiassose interferenze dei nemici aumentano e allora non gli resta che scacciarli e disfarsi di loro.

Tutto si calma quando si sente l'assolo del violino, che intona il tema della donna: una lunga serie di arabeschi in forma di variazioni, quasi ad esprimere la volubilità della natura femminile. L'eroe fa il galante e il cascamorto, ma la donna l'interrompe continuamente. Alla fine giunge la scena d'amore con la fusione del tema della donna e di quello dell'eroe: è una melodia calda e di penetrante effetto lirico, in cui si inseriscono, oltre al violino, le voci soliste del flauto, dell'oboe e del clarinetto. Appena cessa l'accordo dell'arpa si riascolta il tema degli avversari che cede il passo agli squilli delle trombe: è il momento della lotta e dell'affermazione della personalità dell'eroe. Il suo .tema si scontra con quello degli oppositori in una fitta tessitura polifonica con dissonanze e politonalismi di notevole efficacia sonora. La frase che caratterizza l'eroe e quella che sintetizza l'amore si uniscono in un canto trionfale sempre più impetuoso e prorompente, in una progressione orchestrale di straordinaria e trascinante tensione. L'eroe, questo simbolo della volontà di potenza in chiave individualistica, è al colmo della gloria e ripercorre le tappe ascensionali della propria vita. L'Heldenthema sovrasta imponente su tutto, ma vengono citati i temi principali dei poemi sonori precedenti: dal Don Giovanni al Cosi parlò Zamthustra, da Morte e trasfigurazione al Don Chisciotte (flauti e oboi rievocano la partenza di quest'ultimo per le sue imprese cavalieresche), dal Till Eulenspiegel al Macbeth, dal Lied Traum duch die Dämmerung (Sogno nel crepuscolo), quanto mai morbido melodicamente, al canto doloroso di Guntram, che conclude il quadro delle reminiscenze straussiane.

Ancora gli avversari fanno sentire la loro presenza ma l'eroe, dopo averli sbaragliati, decide di ritirarsi e di allontanarsi dal mondo: sul ritmo ostinato dei timpani per quindici battute il corno inglese intona un'aria pastorale, espressione della rassegnazione e della pacificazione del superuomo con se stesso. Si snoda allora una melodia grave e solenne, vanamente disturbata dagli avversar! descritti con il loro tema armonicamente modificato. Ma ogni cosa è inutile, perché l'eroe è stanco e rifiuta la lotta: questo stato d'animo viene espresso da una stupenda frase dei corni, arricchita dall'assolo del violino e dall'intervento dei fiati. Il solenne accordo finale si distende come un arcobaleno, in cui è riflesso il cammino dell'eroe, dalla vita alla morte. E l'eroe, non c'è dubbio, è proprio lui, Strauss, così come lo ha descritto Romain Rolland, durante un incontro a Parigi nel marzo 1900 per dirigere Heldenleben e Zarathustra: «Strauss è alto, agile, molto elegante e altero, sembra di razza più fine di quella degli altri artisti tedeschi in mezzo ai quali si trova. È sprezzante, esigente e soddisfatto del successo».

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 4 (nota 5)

Con Una vita d'eroe (Ein Heldenleberi) composto nel 1898 ed eseguito il 3 marzo dell'anno successivo a Francoforte sul Meno sotto la direzione dell'autore con Willy Hess violino solista, Richard Strauss concludeva, non ancora trentacinquenne, il capitolo della sua esperienza creativa che più d'ogni altro era servito a creargli una notorietà di «enfant terrible» della musica dell'ultimo Ottocento destinata a venir presto revocata in dubbio da rivoluzioni di ben altro radicalismo, al punto che non da ieri Strauss è per noi, anziché il pericoloso sovvertitore che per qualche tempo era parso, il più genuino rappresentante di un'epoca e di un gusto perfettamente datati e conchiusi. Una vita d'eroe è infatti l'ultimo dei grandi poemi sinfonici del periodo giovanile di Strauss, iniziato già nell'86, a ventidue anni, con una pagina eccezionalmente significativa pur nella sua immaturità come la «fantasia» Aus Italien, e proseguita per oltre un decennio attraverso una serie di capolavori irripetibili, troppo spesso assenti oggi, dopo mezzo secolo di ineguagliata fortuna, dal repertorio concertistico, per lo meno da noi: da Don Giovanni (1888) a Macbeth (1890 nella seconda versione), a Morte e trasfigurazione (1889), a Till Eulenspiegel (1895) a Così parlò Zarathustra (1896), a Don Chisciotte (1897). Tutte opere la cui fisionomia costruttiva si affida, esteriormente, all'assunto del «programma» letterario, della «storia» da narrare attraverso i suoni, e la cui capacità di presa immediata sfrutta le risorse di una tecnica di orchestratore, o meglio di un modo di scrivere per l'orchestra, senz'altro privi di termini di confronto all'epoca se si eccettuino le partiture di Mahler, l'altro grande dominatore, sia pur con intenzioni ed esiti diversissimi, della gigantesca orchestra postromantica. In mezzo a questi due estremi - la dipendenza apparente da un'ispirazione extramusicale nel momento creativo e l'abilità di creare rutilanti prospettive sonore - stava in realtà una natura di compositore di estrema maturità e consapevolezza formale, che certo non lasciava guidare lo svolgimento di un pezzo soltanto dalle idee più o meno elevate dei canovacci poetico-letterari, né si limitava, nello stendere partiture così complesse e irte di difficoltà, a cercare un effetto pronto e sicuro sul pubblico; ma che faceva musica in modo genuinamente sinfonico, nel senso di una profonda elaborazione del materiale tematico, memore di secoli di tradizione contrappuntistica e sonatistica, secondo una vocazione squisitamente germanica. Pur rinunciando in partenza a proseguire su un cammino, quello della Sinfonia, che con le composizioni di Brahms e di Bruckner si era definitivamente concluso (le Sinfonie di Mahler, il «grande inattuale», avrebbero rappresentato un capitolo a sé, sotto ogni punto di vista), Strauss applicava dunque al genere della musica «a programma» inaugurato da Berlioz e Liszt e a un linguaggio musicale irremissibilmente marcato - nel tessuto armonico come nell'organizzazione strumentale - dalla lezione wagneriana una concezione del fatto compositivo che costituiva soprattutto un aggiornamento, anche in termini vistosi, di tecniche consacrate dalla storia. Il che, oltre a ricondurre Strauss, al di là dell'immagine di rivoluzionario provvisoriamente e impropriamente attribuitagli, nell'alveo di una precisa direttrice storica, concorre a garantire la solidità anche formale dei suoi poemi sinfonici, in apparenza così sfrenati nell'estroversa espansione fantastica.

Giunto alle soglie del nuovo secolo, prossimo a raggiungere una maturità anagrafica che forse gli pareva recare l'obbligo di un mutamento di rotta, Strauss rinunciò definitivamente a proseguire sulla via del poema sinfonico: alla composizione puramente orchestrale sarebbe tornato solo nel 1903, a cinque anni dal completamento di Una vita d'eroe, e con un lavoro come la Sinfonia domestica, ancora una volta programmatico, ancora una volta grandioso nelle proporzioni, ancora una volta lussureggiante nella veste sonora, affidata a un'orchestra enorme, eppur caratterizzato da una sorta di ripiegamento nel quotidiano affatto estranea alla proiezione fantastica conferita ai poemi giovanili da assunti filosofici o poetici di ben altra ambizione; la tappa successiva, nel 1915, sarebbe stata la Sinfonia delle Alpi, e qui veramente l'elefantiasi formale e fonica sarebbe parsa pletorica ed esteriore, le smisurate visioni naturalistiche, pur nel loro indubbio potere di suggestione, prive di quell'autenticità di sentire che in precedenza si era imposta come uno dei migliori caratteri del suo lavoro. Non per nulla la serie delle maggiori opere teatrali di Strauss coincide cronologicamente con questa diminuzione d'importanza della composizione orchestrale: cui avrebbe corrisposto, nella magnifica vecchiaia del musicista, un ritorno di fiamma stupendo ma lontanissimo dai modi della produzione giovanile, con le meravigliose Metamorfosi affidate nel '46 alla trasparenza di un organico di ventitre archi solisti.

Molte cose fanno pensare che Strauss abbia concepito Una vita d'eroe con la chiara consapevolezza del suo significato di addio al genere fin allora da lui preferito. Il tema letterario del poema è squisitamente autobiografico e riepilogativo: l'«eroe» è qui senza dubbio il compositore stesso, nel senso che egli riconsidera qui tutta la sua esistenza umana e artistica, quasi per chiarire a se stesso il senso della propria opera e della propria avventura morale; non necessariamente per autoglorificarsi, ma per ribadire il senso organico e l'importanza interiore dell'esperienza finora vissuta. Ed è quanto mai significativo, a questo proposito, che la partitura di Strauss, oltre a svolgere con la consueta adesione e pertinenza il tema letterario del lavoro, articolando i gesti sonori e i rapporti musicali lungo le linee di quello, includa una gran quantità di autocitazioni, soprattutto dai poemi sinfonici precedenti; raddoppiando quindi la funzione «mimica» di figure musicali già impiegate e dunque provviste in partenza di un significato evidente. Una vita d'eroe finisce pertanto per imporsi, se non come il migliore fra i poemi sinfonici di Strauss, certo come il più denso di significati; con in più l'interesse che nasce dal vedere qui all'opera un compositore ormai giunto, facendo tesoro di tutte le realizzazioni precedenti, a un'efficienza tecnica e a padronanza di mezzi tali da farlo apparire al meglio delle sue capacità.

Il lavoro si propone come un'amplissima costruzione sinfonica, articolata in sei sezioni ben distinte ma senza soluzione di continuità, provviste ciascuna di un titolo e di indicazioni esplicative; e che qui, quanto e forse più che per ogni altra composizione a programma, è importante seguire avendo occhio anche al loro significato extramusicale: L'eroe, Gli avversari, La compagna, Il campo di battaglia, Le opere di pace, Ritiro dal mondo e fine dell'eroe.

  1. L'eroe. Il protagonista del poema si annuncia fin dall'inizio con un gesto musicale deciso e pieno di energia volitiva; altri tre temi dipingono la sua potenza d'immaginazione, la profondità del suo sentire, la sua vitalità. Dopo una serrata elaborazione, un imponente crescendo porta alla vigorosa riaffermazione del tema principale.
  2. Gli avversari. Il tono grottesco, caricaturale, con il quale Strauss presenta qui i nemici dell'eroe, ovviamente veduti come personaggi meschini e petulanti, genera un episodio tipicamente rappresentativo di quelle «arditezze» di linguaggio che fecero la fama del giovane musicista. Gli «avvenimenti» di questa scenetta sono facilmente intuibili dal giuoco dei timbri orchestrali e dei temi, in particolare per il modo in cui il motivo principale dell'eroe entra in rapporto con quello degli avversari.
  3. La compagna. Questo episodio è dominato dalle espansioni del violino solista, cui è affidata la raffigurazione della compagna dell'eroe e attraverso di lei dell'eterno femminino. Anche qui la rappresentazione si fa estremamente concreta, passando in rassegna i diversi umori della compagna, mostrandoci l'eroe nelle varie fasi del suo rapporto con lei fino al tenero colloquio intrecciato dai due personaggi musicali. A questo segue bruscamente un marziale appello delle trombe, ad annunciare la sezione successiva.
  4. Il campo di battaglia. Tornano i temi dell'eroe e (modificato) dei nemici. La raffigurazione sfrutta con diabolica abilità tutte le risorse di una vastissima percussione e degli ottoni: allo scontro segue l'inevitabile vittoria salutata da un canto trionfale cui è chiamata a partecipare la compagna; i sordi colpi di timpano insinuano però una sensazione di oscura e lontana minaccia.
  5. Le opere di pace. Si chiarisce qui il senso più «privato» di Una vita d'eroe, con la sfilata delle citazioni dai lavori precedenti, assunti a raffigurare le azioni dell'eroe e anche, forse, i diversi lati del suo carattere. Dapprima è Don Giovanni, poi Zarathustra, Morte e trasfigurazione, Don Chisciotte (non manca il tema di Sancio Panza), Till Eulenspiegel, l'opera Guntram, Macbeth, un Lied, Sogno nel crepuscolo: un mosaico di sapiente costruzione, nel quale torna a irrompere brevemente il tema degli avversari, dando origine a un nuovo episodio di lotta.
  6. Ritiro dal mondo e fine dell'eroe. La quiete interiore finalmente conseguita dall'eroe è espressa in un episodio quasi pastorale, dove la musica tende a creare un'atmosfera di elevata riflessività. C'è ancora un ultimo momento di contrasto, poi la luminosa conclusione data dal tema della compagna: la trasfigurazione è siglata da un accordo lungamente sostenuto dai fiati.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 10 Maggio 2003
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Sinfonica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 5 Dicembre 2009
(5) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, Teatro Comunale, 25 marzo 1981


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Ultimo aggiornamento 8 novembre 2017