a cura di Emilio Sala
Probabilmente il Rosenkavalier è il prodotto più riuscito dell'altissima e duratura collaborazione artistica che legò Strauss al letterato Hugo von Hofmannsthal. Come dimostra l'ampio carteggio intercorso tra i due artisti nel periodo in cui attendevano a quest'opera - un carteggio assai vasto ed estremamente significativo nel documentare il convergere in compiuta forma artistica delle non sempre affini idee estetiche dei due -, la paternità dell'idea di una commedia musicale ambientata nella Vienna di Maria Teresa, e memore di figure e situazioni dell'opera buffa italiana, è da attribuire al letterato e risale al periodo immediatamente successivo alla prima rappresentazione di Elektra (1909), tappa iniziale di un sodalizio tra i due artisti che si sarebbe rinnovato in sette ulteriori occasioni. Ricevuta la convinta adesione del musicista, Hofmannsthal lavorò alacremente al progetto, immettendovi un entusiasmo non minore di quello con cui Strauss accolse i materiali, a mano a mano che gli arrivavano, e con cui attese alla composizione della partitura, nel breve tempo di cinque mesi, dal settembre del 1910 al gennaio del 1911. Alla prima rappresentazione, avvenuta a Dresda nello stesso gennaio del 1911 con la regia di Max Reinhardt (il grande regista di prosa, che sembra avesse avuto una certa parte nell'elaborazione dell'intreccio della commedia), l'opera fu accolta in modo trionfale e da allora compare nei cartelloni dei teatri d'opera di tutto il mondo con alta frequenza e ancor più alto gradimento. La prima esecuzione italiana risale all'11 marzo 1911 (Milano, Teatro alla Scala).
Il libretto è scritto in un elaboratissimo linguaggio, non immune dall'uso di forme dialettali viennesi. È considerato un capolavoro anche in sede letteraria, per l'abilità con cui Hofmannsthal è perfettamente riuscito nel suo intento di creare un linguaggio tramite il quale «ogni personaggio ritraesse contemporaneamente se stesso e il proprio rango sociale, un linguaggio che fosse il medesimo sulle bocche di tutti e tuttavia differente in ogni singolo personaggio, con una gamma abbastanza varia di possibilità: dal linguaggio assai semplice della Marescialla alla parlata concisa, elegante di Octavian, al linguaggio artificioso di Faninal e a quella originale commistione di pompa e grossolanità in bocca al buffo Ochs».
Sempre accolto da un larghissimo successo di pubblico, il Rosenkavalier non ha trovato considerazione critica altrettanto unanime, particolarmente durante i primi decenni della storia della sua circolazione: a parte i giudizi senza appello di Adorno - la celebre condanna del possedere la musica straussiana «una spontaneità derivante unicamente dalla tecnica» gli fu suggerita proprio dall'ascolto di quest'opera -, sono state mosse a Strauss le critiche di non aver proseguito oltre quel limite di crisi e di saturazione dei mezzi espressivi quale egli stesso aveva coraggiosamente messo in atto con Salome ed Elektra, per riparare entro i rassicuranti confini borghesi del modello settecentesco mozartiano; di aver anacronisticamente utilizzato, come cifra unificante della partitura, il valzer, che è danza ottocentesca, anziché le più verosimili danze del minuetto o della gavotta; di aver inoltre utilizzato un organico orchestrale di ampiezza ancora più anacronistica rispetto al modello mozartiano, e in funzione peraltro meramente decorativa. Ed effettivamente non si fatica a scorgere quanto siano espliciti i riferimenti al passato: l'opera condivide più di un aspetto delle Nozze mozartiane (lo spirito e il gusto dell'intreccio, il tema della malinconica nostalgia per la giovinezza perduta della Marescialla/contessa, la grazia cherubica di Octavian), dei Maestri cantori (la centralità del tema della rinuncia all'amore), del Falstaff (la burla inscenata a danno di Ochs). Più tardi, tuttavia, anche la critica più avversa a Strauss ha cominciato a riconoscere che la finalità principale di questa partitura non era quella di ricreare fedelmente uno o più stili del passato: come scrive Franco Serpa, «Mozart e Wagner, Offenbach e Johann Strauss concorrono a creare questo mondo di suoni, ma come antecedenti ancora efficaci, non come paradigmi perfetti e astratti di un passato da riprodurre». È un'opera insomma al di qua dell'esperienza neoclassica, come d'altronde lo stesso Strauss indirettamente sottolineò quando, in piena gestazione del lavoro, scrisse: «Il libretto di Hofmannsthal è circonfuso da una graziosa atmosfera rococò che mi sono sforzato di tradurre in musica. Lo spirito di Mozart mi era presente, ma io sono rimasto fedele a me stesso».
Come Hofmannsthal, che inventa il cerimoniale della rosa d'argento senza il minimo supporto storico (anche se nessuno lo immaginerebbe), così anche Strauss penetra insomma in un'epoca in modo volutamente artificioso, e dunque indiretto, creando una sostanziale concordanza d'atmosfera che è tutt'altro dalla fedeltà storica. E in questo suo essere volutamente fittizia, né più né meno di quanto lo erano state Salome ed Elektra nel ricreare/anticipare artificialmente la modernità, l'opera denuncia tutta la sua modernità di concezione e tutta la sua paradossale autenticità. Non a caso la costruzione compositiva segue, sia pure con materiali forzatamente distorti, i percorsi consolidati della scrittura straussiana, tanto nel trattamento orchestrale (che direbbe 'decorativo' solo chi non considerasse la rilevanza drammatica del disegno timbrico delle opere straussiane), quanto nell'uso funzionale dell'armonia (assai più densa di quanto non appaia all'ascolto, perché ammorbidita dal timbro) e del Leitmotiv, tanto nella natura declamatoria della vocalità (sebbene qui illanguidita, specie nelle parti femminili, da più cantabili inflessioni malinconiche), quanto nel disegno formale d'insieme. Che è retto come sempre in Strauss da imponenti strutture di natura sinfonica, che si susseguono l'una all'altra senza soluzione di continuità. Tre soltanto, a ben vedere, sono i numeri chiusi presenti in quest'opera, il primo dei quali, ossia la cavatina in stile italiano "Di rigori armato il seno" che il tenore canta nel corso della scena delle udienze nel primo atto, lo è in quanto inevitabile esempio di musica al quadrato. Flessuose, morbide, malinconiche e venate da un lirismo suadente al massimo grado sono invece il duetto d'amore di Octavian e Sophie "Ist ein Traum, kann nicht wirchlich sein" alla fine dell'ultimo atto (un Andante strofico contrappuntato dai diafani accordi di violini divisi, flauti, arpe e celesta, che simboleggiano la figura musicale della rosa d'argento) e soprattutto il terzetto femminile Marescialla-Octavian-Sophie "Marie-Theres'... Hab' mir's gelobt" immediatamente precedente. L'azione drammatica è ormai conclusa e ai tre protagonisti dell'opera non resta che commentare l'accaduto. La Marescialla rimpiange i tempi della sua giovinezza, Octavian è tutto preso dalla sua nuova passione amorosa, Sophie è divisa tra l'amore per l'uno e il rispetto per l'altra: tre linee differenti e tre differenti misure (rispettivamente 3/4, 4/4 e 2/4) adatti alle differenti situazioni drammatiche, si sovrappongono e si fondono in un'apoteosi di delicatezza e umana leggerezza, con la spontaneità che è propria solo di un'arte musicale superiore.
In una classifica ideale degli epistolari più densi di spirito del Novecento, il carteggio tra Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss avrebbe probabilmente il primato. Per suo tramite è possibile non soltanto ricostruire passo dopo passo le tappe di una collaborazione stellare, il cui frutto furono otto capolavori di vario carattere e genere, ma anche seguire un corso di pensieri e di emozioni che abbracciano gli argomenti più disparati, e che pure hanno come punto di riferimento costante il valore universale del teatro. Di cui sia Hofmannsthal sia Strauss avevano un'idea elevata, ma non astratta: per loro, e sia pure da differenti punti di vista, il teatro con la sua tradizione doveva agire non come forza culturale, ma come messa in scena di eventi simbolici in cui il pubblico potesse immedesimarsi. Immedesimarsi pur mantenendo un distacco critico e una capacità di valutazione.
L'idea di una commedia musicale ambientata nella Vienna di Maria Teresa, memore di figure e situazioni dell'opera buffa italiana, partì dal librettista subito dopo la prima rappresentazione di Elektra (Dresda, 25 gennaio 1909). L'11 febbraio Hofmannsthal scriveva a Strauss da Weimar: «Qui in tre pomeriggi tranquilli ho preparato un canovaccio completo e tutto originale di un'opera, con decisi elementi comici nei personaggi e nelle situazioni, con una vicenda varia ed evidente quasi come una pantomima, con occasioni per parti liriche, burlesche, umoristiche e perfino per un piccolo balletto». Strauss vi colse al volo la possibilità di cambiare registro rispetto ai drammi che avevano rinnovato la tragedia antica con forti accenti di modernità, per far rivivere, nella fusione di elementi comici e seri, i fasti della commedia mozartiana, da lui amata sopra ogni altro modello che non fosse quello wagneriano. Sul nucleo originario di una semplice farsa che Hofmannsthal ricucì prendendo vari spunti da Molière (una ragazza è obbligata a scegliere uno sposo che non ama; dopo vari intrighi per raggirare lo sposo non voluto e il padre della ragazza, alla fine la figlia riesce a sposare il suo amato) si vennero intrecciando con gusto i fili di una trama galante in stile rococò, il cui strato interno era costituito dalla relazione tra la Marescialla, donna matura ma sensibile agli impulsi di un cuore ancora ardente, e il conte Octavian. La Marescialla, a cui il barone Ochs von Lerchenau, uomo rozzo e tronfio, ha affidato il compito di presentare alla promessa sposa secondo la tradizione la sua richiesta di matrimonio, destina proprio il giovane Octavian, di cui è l'amante, all'incombenza: inconsapevolmente (o consapevolmente?) preparando l'incontro fatale destinato ad avverare il presagio dell'imminente distacco. Fu così che nella sceneggiatura definitiva, alla cui elaborazione il musicista ebbe parte attiva, l'intrigo ai danni del barone Ochs, condito di scene burlesche e comicamente chiassose, assunse un'importanza meno centrale rispetto alla ricchezza di più alte componenti, divise equamente tra la rinuncia della Marescialla e il trionfo di Octavian, il "cavaliere della rosa". Per questo motivo anche il titolo, che in origine era Ochs von Lercbenau, venne mutato in quello ultimo, Der Rosenkavalier. Il 12 gennaio 1911, alla vigilia della prima rappresentazione, orami stabilita a Dresda il 26 gennaio, Hofmannsthal si accomiatava dal lavoro con questo post scriptum: «La Sua musica mi procura immensa gioia. È come una ghirlanda, tutta di graziosi fiori e così miracolosamente coerente nelle connessioni».
Per quanto la concezione originaria dovesse molto al teatro parlato, Hofmannsthal si rese conto che in uno stile di conversazione finemente intrecciato di poesia e prosa alla musica andava lasciato lo spazio di espandersi liricamente e di approfondire la psicologia dei personaggi nelle loro relazioni. Lo schema burlesco dell'intrigo fu così incorniciato da scene in "forma chiusa" che, partendo dall'appassionato duetto iniziale tra la Marescialla e Octavian, attraverso il monologo della Marescialla alla fine del primo atto e il duetto d'amore del secondo tra Octavian e Sophie al momento della presentazione della rosa, giungono ad assottigliarsi fino al terzetto e al duetto dell'epilogo, momento di sublime sospensione interamente affidata alla musica (è significativo che la melodia del duetto finale tra i due giovani innamorati fosse stata composta da Strauss prima che il poeta gli fornisse le parole). In questa oscillazione tra ragioni dell'azione e ragioni della musica, Der Rosenkavalier raggiunge una sintesi compiuta di varietà e armonia, di finzione e di verità. Ogni personaggio, più che tematicamente alla maniera wagneriana, è caratterizzato da un tono che gli è proprio, rispecchiato non solo nell'orchestra ma anche nel testo, scritto in un linguaggio tanto elaborato quanto spontaneo, non immune dall'uso di arcaismi, francesismi e soprattutto di forme dialettali viennesi. Come osservava l'autore stesso, era necessario che «ogni personaggio ritraesse contemporaneamente se stesso e il proprio rango sociale, attraverso un linguaggio che fosse il medesimo sulle bocche di tutti e tuttavia differente in ogni singolo personaggio, con una gamma abbastanza varia di possibilità: dal linguaggio assai semplice della Marescialla alla parlata concisa, elegante di Octavian, al linguaggio artificioso di Faninal e a quella originale commistione di pompa e grossolanità in bocca al buffo Ochs». Proprio Ochs è caratterizzato musicalmente dall'uso del valzer, che tocca un vero e proprio tripudio orchestrale nel finale del secondo atto.
Der Rosenkavalier è insieme opera della giovinezza e dell'età adulta, del tramonto e dell'aurora. Non descrive una parodia della vita (da questo punto di vista non è un'opera buffa), ma non costituisce neppure un'allegoria: è una commedia umana ritratta con assoluta imparzialità, con un misto impalpabile di ironia e di serietà. In questo, più che nelle forme e nell'ambientazione settecentesca (ma è chiaro che si tratta di un Settecento tanto stilizzato quanto intriso di riferimenti al presente), sta il suo aspetto mozartiano: come Mozart nelle Nozze di Figaro, così anche Strauss nel Cavaliere della rosa si identifica affettuosamente con ciascun personaggio, ad ognuno, perfino ai comprimari, assegnando una parte di verità nella grande commedia umana della vita. Non solo della vita. Anche della storia. Quando il tenore italiano intona alla fine del primo atto nella scena animata dell'udienza la sua grande cavatina, essa è insieme parodia di uno stile e momento di toccante straniamento. Il teatro vi è visto come eterno impulso a celebrare feste e giochi del vecchio genere umano, attraverso il sorriso e l'ilarità, la commozione e l'emozione, il raccoglimento e l'invenzione spettacolare. Niente perciò autorizza a rompere questo equilibrio elevando un tema o una situazione al di sopra del tutto. Il clima crepuscolare evocato dalla Marescialla nel suo monologo allo specchio verso la fine del primo atto («Tutto è un mistero, un grande mistero. Ed esistiamo per questo, per sopportarlo. E nel 'come' sta la vera differenza») si prolunga sì nel successivo tenero addio a Octavian, ma annuncia già il sorgere di un nuovo giorno, nel quale il "cavaliere della rosa" troverà il suo destino. In questo percorso va semmai riconosciuto il senso di un tempo ciclico, nel quale ogni cosa nasce, si sviluppa e muore, per ricominciare ogni volta da capo. All'idea tragica dell'eterno fluire del tempo si contrappone però l'idea goethiana della serena accettazione delle vicende della vita, di fronte alle quali, come riconosce ancora la Marescialla, «è inutile sdegnarsi, perché sempre così va il mondo». Parole che in bocca a Strauss, melodicamente fiorite, hanno il sapore della superiore rassegnazione di Faust, non dell'amaro cinismo di Mefistofele.
Rappresentare tutto questo fu la sfida del Cavaliere della rosa. Una sfida non ideologica né estetica, ma semplicemente umana e, in fondo, intrisa di dolente scetticismo. Dove ogni cosa che viene detta e fatta è ambivalente, perché esclude qualcos'altro. Dove il sentimento stesso della nostalgia profonda per un mondo perduto non deve indurre al lamento (semmai, solo al rimpianto per i ricordi e le illusioni del passato), bensì alla consapevolezza maturata dall'esperienza, come di cosa che voglia insegnare agli uomini a vivere o, in caso contrario, a fare "buon viso a cattivo gioco". "È una mascherata viennese e nient'altro", come dice, ben sapendo che non è vero, la Marescialla prima di lasciare libero il campo alla gioventù. Der Rosenkavalier è un'opera che avvince per la sua continua trasformazione, per la sua freschezza e leggerezza, nonostante l'estrema complessità della scrittura orchestrale. In essa sembra rispecchiarsi quella compresenza di elementi espressivi che ne è poi il tratto stilistico essenziale: estrosa polifonia di voci e di timbri, alternanza di slanci e di ripiegamenti, immersione ed emersione dall'inconscio nella superficie perfettamente levigata e luminosa dell'intelligenza. Un raggio di sole dorato in uno splendido crepuscolo.
Sergio Sablich