Suite per orchestra dall'opera "Der Rosenkavalier", op. 59


Musica: Richard Strauss (1864 - 1949)
  1. Con moto agitato (Prelude - Atto I)
  2. Allegro molto (Presentation of the Silver Rose - Atto II)
  3. Tempo di Valse, assai comodo da primo (Baron Ochs's Waltz - Atto II)
  4. Moderato molto sostenuto ("Ist ein Traum" - Atto III)
  5. Schneller Walzer. Molto con moto (ripresa)
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 3 oboi (3 anche corno inglese), 2 clarinetti, clarinetto in mi bemolle, clarinetto basso, 3 fagotti (3anche controfagotto), 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, piatti, triangolo, grancassa, tamburo, crotali, 2 arpe, celesta, archi
Composizione: 1945
Prima esecuzione: Vienna, Konzerthaus-Saal, 28 Settembre 1946
Guida all'ascolto (nota 1)

Nel valzer lo spirito della danza accetta una forma sensibile, immediata e profana, e scende tra noi, aristocratici o popolo, ballerini esperti o principianti. Le sue origini sono plebee, ma esso si dette presto un blasone e divenne addirittura simbolo di una civiltà.

Alla fine del Settecento in Austria e in Germania il valzer era ancora un rustico ballo saltato, era uno dei tipi di Drehtanz, di ballo girato e volteggiante, come il più famoso Ländler, ballo campagnolo (in dialetto austriaco Landl è lacampagna), di cui il valzer era una modifica, meno importante e meno impegnativa, ma frequente in tutta l'area austro-tedesca. Werther e Lotte nella festa paesana cui partecipano, ballano un minuetto, una contradanza e alla fine un valzer (libro I, lettera del 16 giugno 1771). Nel 1774, quando Goethe scrive il romanzo, il valzer è già un ballo a coppia fissa e per questo Lotte chiede a Werther, buon ballerino, di farle da cavaliere.

Quando poi, nel giro di pochi anni, il valzer abbandonò il passo saltato tipico dei balli rustici per il passo strisciato, diventò cittadino, cioè viennese, e trionfò in un baleno. Era il ballo che il nuovo spirito libertino attendeva, perché era un ballo senza figure e senza stilizzazioni, obbligatorie nei balli nobili, ma esso imponeva, comunque fosse, un bel portamento, però accendeva gli animi nel volteggio e dava ai due ballerini un contatto, languido ma decoroso. E così, nel decennio delle guerre napoleoniche, dall'Austria, anzi da Venna, il valzer "viennese" conquistò pinnato gradu tutte le capitali d'Europa (eccetto la Roma del papa, beninteso). Negli usi mondani di Londra, di Parigi, di Pietroburgo, di Berlino non si era mai visto nulla di simile, nulla tanto esplicito nei sentimenti, tanto esultante, eppure raffinatamente sereno. Fu così che l'idea del valzer nell'Ottocento fu quella della gioia vitale e dell'eleganza mondana, della Lebenslust, che l'alta società viennese sentiva essere il suo carattere primario (tra i molti lo dice esplicitamente anche Eduard Hanslick nel bel saggio Zum Strauss-Jubiläum) e che orgogliosamente consegnò al mondo. Per tutto l'Ottocento il valzer fu il primo dei balli, specialmente a Vienna, il ballo di tutti, aristocratici e borghesi (e sovrani, ministri plenipotenziari, ambasciatori, se è vera la malignità del Prince de Ligne sul Congresso di Vienna: «Le Congrès ne marche pas - il danse»).

Il cavaliere della rosa di Richard Strauss e di Hugo von Hofmannsthal è, sì, un'irresistibile commedia dell'amore, delle galanterie, degli equivoci, dei personali languori segreti e della dignità sociale, ma è soprattutto l'idealizzazione di una grande civiltà, quella della Vienna settecentesca, della grande capitale imperiale, che aveva creduto di poter fare della vita una gioia quotidiana dello spinto e dei sensi, e che era vicina al dissolvimento. Essere felici e saper aspettare il destino: così agiscono i personaggi del Cavaliere della rosa, questo dice la musica per loro. È l'idealizzazione di Vienna, ripeto, della sua vitalità (il valzer), dei suoi affetti (il sapiente godimento dell'eros). Ma la vitalità sociale di una civiltà e le sue emozioni non possono esser separate, l'una è le altre, e noi lo sentiamo nella musica del Cavaliere della rosa, nella quale solo qualche sciocco potè censurare come anacronismo («nella Vienna di Maria Teresa non si ballava il valzer»!) la presenza dei valzer: che tutta l'opera percorrono come spirito movimentato della commedia di equivoci e come simbolo della Vienna senza tempo.

L'enorme successo dell'opera (dopo Madama Butterfly è Il cavaliere della rosa l'opera del Novecento più rappresentata) spiega le varie Suites e antologie da concerto che ne sono state tratte, da Strauss stesso e da altri con il suo consenso. È, in verità, una situazione confusa, di vari brani orchestrali differenti, pubblicati in epoche diverse, ma tutti contrassegnati dallo stesso numero di opus, il 59. Era il carattere della musica teatrale di Strauss (o della sua musica in genere, come ho già detto per il Don Giovanni), l'infallibile sua capacità descrittiva, l'evidenza e la concisione tematica, a sollecitare la creazione di brani sinfonici da concerto, che Strauss, infatti, trasse da molte sue opere: non sempre felicemente, in verità, che la Suite o l'antologia di musiche e melodie così caratterizzate nella loro logica drammatica suonano spesso giustapposte o sforzata-mente collegate (così è, per esempio, nella suite dalla Donna senz'ombra e anche, o più, nelle varie Suites dal Cavaliere della rosa: la musica, beninteso, è quella che è, bellissima).

L'ultima delle Suites dal Cavaliere della rosa fu messa insieme da Strauss (con l'aiuto, pare, di Arthur Rodzinsky) soprattutto per necessità economiche. Subito dopo la guerra, nel 1946, il grande musicista, che era stato ricchissimo, ormai vecchio non aveva più nulla, neppure la villa di Garmisch (che poi, per fortuna sua e della nostra coscienza, gli fu resa). Lavorava come poteva per sopravvivere con dignità e decoro. Vendeva qualche suo manoscritto, con discrezione, e riadattava sue musiche del passato (rna creava anche, e come!). Tra le musiche riadattate c'è anche questa quarta o quinta scelta di episodi del Cavaliere della rosa.

Gli episodi che ascoltiamo sono: 1) dal I atto, l'Introduzione, cioè la notte d'amore della Marschallin col giovine Octavian, fino all'inizio della musica dell'alba; 2) dal II atto, la scena di Sophie e della governante (che emozionate attendono l'arrivo del cavaliere della rosa), il solenne ingresso del cavaliere, Octavian, la presentazione della rosa (con un taglio, dal num. 25 al num. 29 della partitura); 3) sempre dal II atto, i due intriganti italiani sorprendono i due ragazzi, Octavian e Sophie, abbracciati; 4) tutto il celebre finale del II atto, dal momento in cui il barone Ochs rimasto solo comincia a canticchiare il suo valzer (con il taglio delle 17 battute del num. 240); 5) 10 battute dell'introduzione del II atto, che servono da transizione al brano successivo; 6) il sublime terzetto del III atto, la perorazione conclusiva (con taglio di 10 battute), il duetto seguente tra Octavian e Sophie (la connessione tra 4) e 6) funziona male, perché i due episodi collegati sono realtà musicali compiute e troppo prepotentemente significative per essere costrette a un'innaturale contiguità); infine, 7) l'ampia sequenza dei valzer del III atto nell'episodio della fuga di Ochs dall'osteria, con l'aggiunta di sette battute di transizione all'epilogo (18 battute). Coerente o no tra le parti, originale o qua e là corretta per sostituire le voci (non sempre sostituibili!), ascoltiamo in ogni caso musica di bellezza radiosa e commovente.

Franco Serpa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 17 Gennaio 2004


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Ultimo aggiornamento 19 gennaio 2012