Burlesca in re minore per pianoforte e orchestra


Musica: Richard Strauss (1864 - 1949)
Organico: pianoforte solista, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, pianoforte, archi
Composizione: Meiningen, 24 febbraio 1886
Prima esecuzione: Eisenach, 21 giugno 1889
Edizione: Steingräber, Lipsia, 1890
Dedica: Eugen d'Albert
Guida all'ascolto (nota 1)

Strauss compì questo pezzo, intitolandolo Scherzo, il 24 febbraio 1886, dunque all'età di ventun anni. Era allora secondo direttore, a rincalzo del grande Hans von Bülow, dell'orchestra del Duca di Meiningen, dove si esibiva anche come pianista, in concerti per pianoforte e orchestra; il che appunto lo stimolò a comporre un pezzo per questo organico. Ma Bülow lo giudicò pianisticamente ineseguibile, e Strauss lo accantonò. Più tardi però da un altro virtuoso famosissimo, Eugène d'Albert, fu indotto a riprenderlo in considerazione; ma a quanto pare, lo lasciò com'era, solo gli cambiò il titolo, e aggiunse una dedica all'amico. Così il pezzo fu eseguito, allo Stadttheater di Eisenach, con l'autore al podio e il dedicatario al pianoforte, il 21 giugno 1890.

E trovò una situazione, quanto all'autore, radicalmente mutata. Nell'86 Strauss era soltanto un giovane talento: sia pure promettentissimo, e con uno stato di servizio già imponente dietro di sé; ma nel '90 era ormai, semplicemente, Strauss: visto che nell'89 aveva diretto a Weimar nientemeno che il Don Giovanni, composto in poche settimane nell'88, cioè a ventiquattro anni. Tanto che in quello stesso concerto in cui si presentava la Burlesca presentò anche, in prima assoluta, Morte e trasfigurazione; che con quella, immaginiamo, avrà giocato come il gatto col topo.

E tuttavia da nessuno, oggi, questa Burlesca si direbbe meno che degna della gran firma. D'assunto brillante, ma sostenuto da un impegno compositivo di gran lena, è concepita in forma di allegro di sonata - esposizione con due gruppi tematici (re minore - fa maggiore), sviluppo, ripresa (re minore - re maggiore), cadenza del solista, coda -; il tutto disteso in dimensioni assai ampie, e con le ambiguità formali che sin dalla Sonata di Liszt avevano cominciato a farsi strada. Per esempio, dove esattamente cominci lo sviluppo non è chiaro, anche se chiarissima è l'entrata della ripresa.

La scommessa consiste nell'affrontare tali dimensioni senza partire da un materiale tematico ben differenziato: i temi sono tutti strettamente imparentati fra loro, e il discorso procede implacabilmente in ritmo ternario. Ma già è ben raffinato lo stacco con cui il solista attacca, senza sostegno orchestrale, il secondo tema, facendo apparire il fantasma d'un valzer senza mutare ritmo né tempo. E un'altra uscita s'incontrerà più tardi, questa "cantabile", che nel contesto suonerà nuova mentre non è che il primo tema (nella versione in cui lo ha esposto l'orchestra) in valori raddoppiati; ma in una scrittura pianistica d'origine schumanniana che a prima vista lo rende irriconoscibile.

Ad alleggerire il discorso contribuisce il piglio virtuosistico del solista. Ma soprattutto conta la trovata più originale del pezzo, che sta nell'impiego dei timpani. Sono loro che espongono in apertura la cellula da cui deriveranno tutti i temi senza eccezione: sussurrandola nel silenzio dell'orchestra. Ce la ricorderanno poi spesso nel corso del pezzo, variamente accennandola, con effetto di ribadito "understatement". E su un "re" del timpano, ancora "piano" e ancora solo, il pezzo ammiccherà il suo sorriso finale. Si pensa alla conclusione del Rosenkavalier; o a quella, finale in tutti i sensi, del Capriccio.

Fedele d'Amico


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 19 marzo 1989


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Ultimo aggiornamento 19 gennaio 2012