Ariadne auf Naxos (Arianna di Naxos), op. 60/II

Opera in un atto
Seconda versione, con l'aggiunta di un prologo


Musica: Richard Strauss (1864 - 1949)
Libretto: Hugo von Hofmannsthal

Personaggi del Prologo: Personaggi dell'Opera:
Organico: 2 flauti, ottavino, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, tromba, trombone, tamburello, timpani, cassa, piatti, tamburo, harmonium, celesta, glockenspiel, pianoforte, arpe, archi
Composizione: Garmisch, 19 giugno 1916 (prologo)
Prima rappresentazione: Vienna, Hofoper, 4 ottobre 1916
Edizione: A. Fürstner, Berlino, 1916
Dedica: a Max Reinhardt
Sinossi

Prologo

La gran sala nel palazzo di un ricchissimo aristocratico di Vienna. È la sera di un ricevimento che deve concludersi con uno spettacolo d'opera. Nella confusa animazione creata da operai che montano il palcoscenico, da cantanti capricciosi, ballerine e corteggiatori, un anziano Maestro di musica apprende, costernato, da un Maggiordomo freddamente sprezzante che all'opera seria Ariadne auf Naxos, musicata da un suo allievo giovane e geniale, seguirà una volgare farsa all'italiana. Il Maestro è avvilito: come potrà persuadere il Compositore ad accettare una tale profanazione? Mentre una graziosa signorina civetta con un bell'ufficiale (lei è Zerbinetta, appunto, la protagonista della farsa), il Compositore la ammira incantato; ma quando sa chi è e perché è lì tra loro, dà in smanie furiose.Tocca al povero Maestro, che già fatica a rabbonire la Primadonna, consolare e convincere il Compositore idealista. Un Lacchè sollecita gli artisti perché i signori invitati hanno finito la cena.

Ma gli imprevisti non sono finiti,né per i cantanti dell'opera né per i comici. Il compassato e irritabile Maggiordomo, infatti, annuncia a tutti che il tempo destinato ai due spettacoli si è ormai ridotto (alle nove in punto, non un minuto dopo, esplodono i fuochi d'artificio!). Perciò il padrone di casa comanda che l'opera seria Ariadne auf Naxos e la farsa Die ungetreue Zerbinetta und ihre vier Liebhaber vadano in scena insieme, «mit allen Personen und der richtigen Musik, so wie er sie bestellt und bezahlt hat» [«con tutti i personaggi e con le note giuste, come egli ha richiesto e pagato»]. Nell'indignazione generale il Compositore grida:«Fort, was haben wir hier verloren?» [«Via, via, che abbiamo qui da perdere?»] («Die fünfzig Dukaten» [«I cinquanta ducati»], gli risponde rassegnato il Maestro). Ma Zerbinetta, scaltra e pratica, e il suo Maestro di ballo già sanno che il rimedio c'è e che lo spettacolo, pur insolito e bizzarro, si potrà arrangiare. Con affettuoso calore, un po' artefatto un po' sincero («Hundert große Meister, die wir auf den Knien bewundern») [(«Cento grandi maestri, che ammiriamo in ginocchio») ] , l'astuto Maestro di ballo costringe il giovane artista a rivedere la partitura, accomodando e tagliando. Tutti si mettono al lavoro, a precipizio.

Ai comici, già preparati a qualunque improvvisazione, il Maestro di ballo spiega a modo suo la vicenda nella quale reciteranno. È la storia di Ariadne abbandonata («Diese Ariadne ist [...] mit einem gewissen Theseus entflohen, [...] Theseus wird ihrer überdrüssig und läßt sie bei Nacht auf einer wüsten Insel zurück!») [(«Questa Arianna [...] è scappata con un certo Tèseo, [...] Tèseo se ne stanca e la lascia di notte su un'isola deserta!»)] e Zerbinetta la intende come può e come vuole: è un innamoramento, un tradimento, un nuovo amore, un lieto fine. Una storia come tante.

Inutilmente il Compositore, serio e intenerito, spiega alla ragazzetta il significato profondo di una fedeltà votatasi alla morte. Ma no, è lei, la maliziosa Zerbinetta, quella che dà all'ingenuo una lezione di vita («Tata. Du wirst mich meinesgleichen kennen lehren!») [(«La la. Tu vuoi spiegare a me come siam fatte!»)]. E poi non ogni cosa è come appare, e una capricciosa volubile cerca, forse, anche lei «nach dem einen, dem sie treu sein könnte, treu bis ans Ende» [(«l'uomo unico, al quale esser fedele, fedele fino all'ultimo»)]. E così, con grazia, si congeda dal suo nuovo ammiratore ed entra in scena. Il Compositore è commosso, conquistato, esaltato, e confida il suo entusiasmo allo stupito Maestro di musica. Ma poi, lunatico e passionale com'è, quando vede le maschere comiche che si avviano al palcoscenico («Diese Kreaturen! [...] in mein Heiligtum hinein ihre Bocksprünge!») [(«Questa gentaglia! [...] che fa le capriole nel mio tempio!»)], urla contro il Maestro tutto il suo sdegno e fugge furibondo.

Lo spettacolo s'inizia.

L'opera Ariadne auf Naxos

Dopo un solenne e drammatico preludio, il sipario si apre su un'isola deserta, nell'antica Grecia della mitologia. Tre ninfe, Najade, Dryade, Echo, guardano impietosite e commiserano l'infelice Ariadne che piange, quasi esanime e delirante, il suo destino di donna abbandonata. Tutti i suoi ricordi sono in un nome solo,Theseus, che l'ha tradita. La disperazione è tale da confonderle memorie e pensieri: ella non altro spera e attende che l'oblio e la morte. Dalle quinte si affacciano Zerbinetta e i comici italiani: potranno sedare o almeno calmare un così grande dolore? Harlekin ci prova con una garbata canzonetta («Alles kann ein Herz ertragen / Einmal um das andere Mal») [(«Tutto può reggere un cuore / questa volta ed altre ancor»)]. Ma Ariadne neppure si accorge della comitiva gentile e festosa. Ella, in un lungo monologo, triste dapprima e poi esaltato, attende la morte e invoca Hermes, il dio delle trasformazioni e dei transiti, perché la rapisca e la guidi nell'oscuro regno del riposo.

I comici non si sono scoraggiati e vorrebbero dissipare l'angoscia della nobile signora con le loro melodie e i balli. Ma Zerbinetta vede che non concludono nulla e li scaccia.

Ora è lei, da sola, davanti ad Ariadne e le parla, da donna a donna, da tradita a tradita. È questa una pagina sorprendente e ammirevole, nella quale Zerbinetta, ora con prudenza, ora con schiettezza, ora con graziosa ironia, espone alla dolente e indifferente tutta la sua sapienza di donna, di attrice, di mascherina da commedia. In ogni delusione vediamo la fine della vita, con un nuovo amore la vita riprende! Ariadne, cupa e crucciata, scompare nella grotta: Zerbinetta allegramente si rassegna alla sconfitta («Ja, es scheint, die Dame und ich sprechen verschiedene Sprachen») [(«Sì, sembra che la signora ed io parliamo due lingue differenti»)].

Comincia, allora, la farsa dei corteggiamenti dei quattro, Harlekin, Brighella, Scaramuccio, Truffaldin, tutti innamorati di Zerbinetta. Con scherzi, trovate, insidie, promesse, balli se la contendono: lei civetta con ognuno e alla fine scappa con il preferito, che è il bello Harlekin («Der nieder, niederträchtige Dieb!» [«Perfido ladro, vile!»], esclamano gli altri delusi).

All'improvviso si odono grida di ammirato stupore: le tre Ninfe annunciano con emozione un prodigio, l'arrivo di un fanciullo stupendo, di un dio giovinetto! Con una rapida nave si avvicina all'isola colui che ha vinto le mortali magie di Circe. Da lontano ci giunge il canto sereno e trionfale di Bacchus («Circe, ich konnte fliehen, / Sieh, ich kann lächeln und ruhn - / Circe, was war dein Wille, / An mir zu tun?») [(«Circe potei fuggire, / ora, io rido e riposo - / Circe, tu che volevi / fare di me?»)]. Ammaliata da quella voce, Ariadne esce dalla grotta: sarà l'ignoto che arriva l'araldo della morte? E quando egli, bello e luminoso, compare sulla spiaggia, Ariadne si inchina a colui che ella crede Hermes («Du bist der Herr über ein dunkles Schiff, / Das fährt den dunklen Pfad») [(«Tu sei il sovrano sull'oscura nave, / che viaggia per un cammino oscuro»)]. Anche Bacchus, ingenuo e stupito, crede che la bella signora sia la ninfa dell'isola o la regina. Nessuno dei due comprende, né ricorda più nulla di se stesso. Un sentimento ignoto, una paura, un'attesa li confonde e li trasforma («Wie wunder- , wunderbar verwandelst du!») [(«Meravigliosa, meravigliosa la tua trasformazione!»)], esclama Ariadne; «Ich bin ein anderer, als ich war! / Der Sinn des Gottes ist wach in mir, / Dein herrlichWesen ganz zu fassen!» [«Un altro io sono da quel che ero! / La mia divinità in me si desta, / per possedere la tua essenza superba!»], esulta Bacchus). Il giovine dio stringe a sé la donna trasfigurata e insieme si avviano verso l'eternità. La voce di Zerbinetta ricanta il motivo della vita che si rinnova («Kommt der neue Gott gegangen, / Hingegeben sind wir stumm!») [«Se il nuovo dio s'è avvicinato, / ci siamo arrese senza parlar!»].

Franco Serpa

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La versione di Ariadne auf Naxos oggi universalmente conosciuta e rappresentata - un'opera in un atto sulla storia di Arianna abbandonata da Teseo a Nasso, preceduta da un prologo - è il frutto di un rimaneggiamento radicale, effettuato da Hofmannsthal e da Strauss su un primo lavoro coronato da scarso successo. Il progetto iniziale era nato nella mente di Hugo von Hofmannsthal, che nel 1911 aveva adattato per la compagnia berlinese di Max Reinhardt Le bourgeois gentilhomme di Molière. Nelle intenzioni di Hofmannsthal, la commedia di Molière doveva concludersi, anziché con l'originale divertissement turchesco, con un'opera in musica di una trentina di minuti: la sua rappresentazione, alla quale si passa senza chiudere il sipario, è inserita nella commedia, che le fa dunque da cornice. Si tratta dell'omaggio offerto da Monsieur Jourdain - il protagonista della pièce di Molière - ai suoi ospiti, i quali assistono allo spettacolo e lo commentano da spettatori; inoltre lo sciocco padrone di casa, che in un primo momento vorrebbe concludere il suo ricevimento con un'opera seria seguita da una farsa, all'ultimo ci ripensa e ordina, per accorciare i tempi, di mescolare melodramma e opera buffa. Ecco dunque che nella rappresentazione della storia di Arianna intervengono attori della Commedia dell'arte italiana, che commentano ironicamente la tragica vicenda della protagonista.

Per questo progetto, Strauss scrisse le musiche di scena da inserire nella commedia di Molière, oltre alla musica di Ariadne. Commedia e opera furono rappresentate il 25 ottobre 1912 al Königliches Hoftheater di Stoccarda, con la regia di Max Reinhardt e la direzione musicale di Strauss. L'insuccesso fu dovuto in gran parte alla forma ibrida dello spettacolo; il pubblico non solo stentò a cogliere il nesso tra la commedia e il divertissement operistico (una difficoltà, peraltro, prevista da Strauss stesso), ma fece anche fatica a comprendere gli elementi comicobuffoneschi inseriti nell'azione.

Di fronte all'insuccesso di questa prima versione, Hofmannsthal si convinse della necessità di separare la commedia dall' opera. Nel dicembre 1912 sottopose a Strauss il testo di un prologo, destinato a essere messo in musica e a sostituire la pièce di Molière. Il prologo, che fa da cornice, si svolge nell'abitazione settecentesca di un ricco viennese, nella quale si effettuano i preparativi per l'allestimento di un'opera seria, Ariadne auf Naxos, che il padrone di casa vuole offrire ai suoi ospiti. La rappresentazione dell'opera determina, perciò, il caratteristico effetto del "teatro nel teatro".

Hofmannsthal vinse le iniziali perplessità di Strauss e lo convinse a rimettere mano al lavoro; ma il nuovo progetto dovette essere rimandato al 1915. Strauss realizzò il prologo, recuperando nel preludio alcuni spunti dalle vecchie musiche di scena per la commedia di Molière; l'opera, invece, subì solo qualche ritocco e rimase sostanzialmente immutata. Il nuovo lavoro fu presentato sulle scene della Hofoper di Vienna il 4 ottobre 1916, sotto la direzione di Frank Schalk; questa versione di Ariadne auf Naxos ha, da allora, soppiantato del tutto la prima.

Realtà e finzione scenica, incarnate rispettivamente dal prologo e dalla rappresentazione dell'opera, costituiscono i due poli tra i quali si dipana l'azione drammatica. Lo spettacolo straussiano presenta, dunque, una doppia prospettiva teatrale, che è come dire una sostanziale ambiguità: il gioco dei rimandi e del rispecchiamento tra la cornice e il quadro, tra il piano della scena realistica e quello della scena mitologica, fa sì che i personaggi forniscano due immagini di una stessa identità psicologica. Emblematico, a questo proposito, è il prologo, di fatto un acuto ritratto del mondo teatrale (che Strauss conosceva bene dall'interno, per diretta esperienza). Si tratta di un autentico gioco di specchi: la figura del Compositore è attorniata dagli artisti che si preparano a interpretare la sua opera - con tutti gli atteggiamenti, i litigi, le nevrosi della gente di teatro - e danno vita a episodi che illustrano ironicamente le condizioni in cui la rappresentazione stessa si realizza.

Ma l'ambiguità di Ariadne auf Naxos è almeno doppia: sin dalla concezione originale, il lavoro ideato da Hofmannsthal
prevedeva la commistione dell'elemento tragico-eroico con quello comico. Un intreccio di generi e stili perfettamente riflesso dalla musica di Strauss; in Ariadne convivono le esperienze di Salome ed Elektra con quella del Rosenkavalier. La parodia stilistica è elemento essenziale: il "neoclassico" recupero del Settecento (un Settecento stilizzato, caratterizzato da un'amabile grazia rococò) è supportato da una scrittura raffinatissima, da un'orchestra di dimensioni ridotte, da una strumentazione cameristica che predilige sonorità multiformi e trasparenti. Episodi altamente drammatici, come quello in cui Arianna invoca la morte, non escludono momenti nel più puro stile dell'opera buffa, né la vocalità impegnativa di grandi arie virtuosistiche nello stile dell'opera seria settecentesca. E gli interventi beffardi di Zerbinetta temperano il pathos della vicenda di Arianna con l'ironia, il cinismo, l'immorale volubilità affettiva delle maschere della commedia dell'arte. Entrambe - la scettica maschera italiana come la donna appassionatamente innamorata e tradita - rappresentano un'allegoria dell'amore. L'opera mitologica ed eroica - sembrano dire Hofmannsthal e Strauss - può sopravvivere solo grazie al distacco ironico, alla parodia, necessario contrappeso alla materia tragica.

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il teatro nel teatro, tentazione suprema di innumerevoli autori, da Molière a Pirandello, fu tra le suggestioni che assillarono Hofmannsthal, e «Ariadne auf Naxos», ad un certo punto della sua evoluzione creativa, gli parve l'occasione da non lasciar cadere. Per l'esteta impareggiabile e l'intellettuale raffinatissimo, anche dopo il «Rosenkavalier», il ritorno al Settecento veniva ad inquadrarsi in una scelta — come ha notato Hermann Broch — del massimo impegno: la scelta cioè della finzione autentica del teatro contro la pseudorealtà su cui si fondava il culto dominante dell'epoca, individuabile, nelle maggiori espressioni, in poeti sacerdoti come George o in poeti atteggiati a santi come Rilke. Rispetto al moralismo estetizzante e all'ideale dell'arte per l'arte, Hofmannsthal affermò che «la scena, coi suoi belletti, trucchi, travestimenti, non è forse più 'decente' della lirica in assoluto».

A monte, va ovviamente sottolineato l'intento di rifarsi all'età di Da Ponte, nel proposito non solo di rinnovare, come tradizione nazionale austriaca, la tradizione barocca viennese, e specificamente nel teatro, ma di attingere ad una peculiare concezione dell'opera musicale come azione per eccellenza, celebrazione di un gioco senza eguali mediante il connubio perfetto tra parole e musica, come appunto s'era verificato tra Mozart e Da Ponte. In «Ariadne auf Naxos» il progetto della compenetrazione tra la musica e le parole appariva teoricamente quasi perfetto, pur se in pratica lo stesso Hofmannsthal dovette poi ammettere (cioè dopo la prima ripresa a Dresda nel dicembre 1912, appena successiva alla première assoluta di Stoccarda del 25 ottobre dello stesso anno) che il tentativo di far vivere un dramma lirico innestato su una commedia di Molière non poteva ottenere un risultato felice, specie davanti a un pubblico come quello tedesco, per sua indole inabile a percepire «l'esilità e, nonostante ogni finezza, l'ingenuità, il carattere burattinesco di simili produzioni». Per Hofmannsthal in «Ariadne» la musica, i gesti, la danza dovevano realizzare quanto avevano creato le sue liriche; i suoi libretti per Strauss dovevano essere una continuazione dell'esperienza artistica aperta dai drammi lirici, cui già era immanente una concezione della scena come immagine dì sogno («Bühne als Traumbild» fu uno scritto del 1903). Soltanto cosi si spiega, ad una data fase della sua evoluzione artistica, l'interesse per l'attore come figura simbolica, per il mimo, il danzatore, ipotizzati come personaggi che risolvono di volta in volta in concreto i problemi che lo scrittore può enunciare solo in astratto; soltanto cosi si comprende l'impegno profuso da Hofmannsthal, dopo l'incontro con Strauss, per l'opera lirica. E, in tale prospettiva, dopo «Elektra» e «Der Rosenkavalier», si colloca il proposito di dar vita con «Ariadne auf Naxos» ad una simbiosi di opera seria e di opera buffa, di dramma mitologico e di commedia dell'arte, di calco parodistico e di melodramma patetico, facendo emergere nell'amatissimo clima barocco ancora una volta l'assillante motivo di fondo della fedeltà ad un solo essere, alla vita e a se stessi, già accennato con «Der weisse Fächer».

Il barocco, il teatro, Vienna: nonostante il cosmopolitismo della sua poetica, l'impegno di Hofmannsthal nell'opera lirica si traduce in una battaglia nazionale. Ancora Broch, nel ribadire la «missione teatrale» di Hofmannsthal, ha osservato: «solo, nonostante il crollo dell'antico sistema di valori dell'impero asburgico, che si disfaceva pezzo a pezzo e veniva inghiottito dal nulla, nonostante la sua lotta contro tutto quanto ne potesse esser condizionato, l'esistenza di Hofmannsthal, l'altezza del suo stile e della sua arte è rimasta a significare l'autoaffermazione di un vero destino». In questa prospettiva si collocherà, dopo il 1918, anche la fondazione del Festival di Salisburgo.

Deliberatamente in «Ariadne auf Naxos» lo spirito barocco sottende a molti aspetti e caratteri, non solo alle forme che accompagnano il tessuto musicale e che si manifestano con l'adozione frequente del recitativo secco, di arie, duetti, concertati, intermezzi di danza, con lo stesso impiego di un organico orchestrale di proporzioni cameristiche, originariamente da disporsi sulla scena: in seguito, collocato in orchestra, l'organico avrebbe annoverato 37 strumenti, cioè due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, un corno, una tromba, un trombone, sei violini, quattro viole, quattro violoncelli, due contrabbassi, un pianoforte, due arpe, un armonium, una celesta, oltre a timpani, glockenspiel, tamburello e triangolo. Specialmente però lo spirito dell'età barocca è rievocato dalla simbiosi di strutture tradizionalmente antitetiche, come la satira di costume, l'interludio burlesco da commedia dell'arte, la tragedia mitologica e mistica di Arianna e, inoltre, con la contaminazione dialettica di caratteri dell'opera seria e dell'opera buffa e poi, nell'evocazione in musica della «grande arte» alla mercè e spesso vittima della futilità del mondo banale e comune, nella sottolineatura del 'divertissement' teatrale come cinghia di trasmissione delle idee più nobili, e specialmente del gioco della vita calata nella vita (o finzione?) della scena, specchio a due facce.

Il grande merito di Strauss è stato quello di aver corrisposto alle attese di Hofmannsthal e d'aver ricreato lo stile barocco nell'opera, uno stile che era stato gravato nella storia artistica germanica dell'invadenza del rococò e travolto nel XIX secolo dalla confusione dell'eclettismo, mentre con il «Rosenkavalier» e con «Ariadne» ritrova quasi una purezza primigenia, ribaltando quella certa costante d'atmosfera drammatica che nel teatro lirico tedesco era stata tesa da Gluck a Wagner: il tutto poi senza rinunciare all'impiego di un lessico musicale ben consapevole delle acquisizioni tecniche dell'orchestra tardo-ottocentesca, nella luminosa trasparenza del suono. E, sorprendentemente, «Ariadne» stimolava quella simpatia di Strauss per il barocco come categoria estetica nella temperie del Novecento che il musicista aveva coltivato negli studi giovanili sui testi di D'Ors, Burckhardt e sui «Principi fondamentali della storia dell'arte» di Wolfflin, simpatia poi abbandonata, ma la cui reminiscenza gli risultò ben gradita quando curò la ripresa della gluckiana «Ifigenia in Tauride». D'altra parte che l'esperienza del barocco potesse intrecciarsi con gli interessi artistici dell'inizio del nostro secolo, fu singolarmente osservato da Paul Klee nell'estate del 1915, visitando Napoli dopo il viaggio in Tunisia.

È noto che nella prima stesura Hofmannsthal e Strauss avevano previsto l'allestimento del «Bourgeois Gentilhomme» di Molière in versione tedesca e condensato in due parti con musiche di scena di Strauss (8 numeri) a cura degli attori del «Deutsches Theater» di Max Reinhardt, e di seguito l'opera «Ariadne auf Naxos», marcata dalla compenetrazione di caratteri dell'Opera Seria e della Commedia dell'Arte. Il significato simbolico veniva delineato dalla celebre lettera del poeta al musicista e che porta la data del 18 luglio 1911. La première ebbe luogo a Stoccarda il 25 ottobre 1912, sul podio Strauss con regia di Reinhardt e con Maria Jeritza (Ariadne), Hermann Jadlowker (Bacchus), Margarete Siems (Zerbinetta). Il successo dell'insolito spettacolo fu però moderato, anche per lo sfavorevole concorso di occasionali inconvenienti, e comunque con molte perplessità da parte del pubblico: per i melomani troppo lungo risultando il testo di Molière, per gli appassionati della prosa sconcertante il «divertissement» musicale. Alla ripresa di Dresda, con diversa regia, lo squilibrio interno della rappresentazione risultò a Hofmannsthal evidente ed egli decise di procedere ad una nuova stesura della prima parte dello spettacolo: il luogo della scena è trasferito da Parigi a Vienna, si rinuncia del tutto a Molière, andrebbe scritto «ex novo» un Prologo con maggior rilievo alla parte di Zerbinetta e qualche mutamento alla conclusione. Ma Strauss è ora riluttante: accantona l'idea del rifacimento per dedicarsi al balletto «Josephslegende» per Diaghilev, poi alla composizione della «Frau ohne Schatten». Accede infine alle reiterate insistenze di Hofmannsthal nella primavera del 1916 e la stesura del Prologo, in felice intesa con il poeta, è portata a termine il 20 giugno 1916, appena in sette settimane di lavoro. La prima rappresentazione della nuova «Ariadne auf Naxos» ha luogo all'Opera di Corte di Vienna il 4 ottobre 1916, con direzione di Franz Schalk, regia di Alfred Roller e con Maria Jeritza (Ariadne), Bela von Kornay (Bacchus), Selma Kurz (Zerbinetta) e la debuttante Lotte Lehmann (Compositore): il successo è clamoroso. La prima rappresentazione in Italia porta la data del novembre 1925, a Torino, sotto la direzione di Vittorio Gui e alla Scala va in scena il 27 maggio 1950, direttore Issay Dobrowen, regista Giorgio Strehler: entrambe In lingua italiana. A Firenze la prima rappresentazione è in lingua originale il 22 maggio 1959 alla Pergola, direttore Michael Gielen e regista Oscar Valleck.

Dal restante materiale musicale derivarono il libero adattamento scenico compiuto da Hofmannsthal del «Bourgeois gentilhomme», con l'aggiunta di un terzo atto e con la musica di Strauss (ora 17 numeri) — ma senza l'«Ariadne» — presentato da Reinhardt a Berlino il 9 aprile 1918. Vi è poi nel catalogo dei lavori di Strauss la «Suite» orchestrale col medesimo titolo ma in nove episodi.

Ad accendere l'inventiva di Strauss per la stesura ex novo del Prologo era stato determinante il trasferimento dell'azione da Parigi a Vienna perché riproponeva il parallelismo d'ambiente, nel Settecento teresiano, con l'esito indimenticabile del «Rosenkavalier», nel contesto della glorificazione austriaca dell'arte barocca. Strauss stesso ebbe a scegliere anche questa volta gli interpreti e per il Compositore, personaggio cardine del nuovo Prologo, che secondo Hofmannsthal era «figura simbolicamente metà tragica e metà comica, in cui si realizzava l'antitesi tra Ariadne, Zerbinetta e il mondo d'Arlecchino», preferi scegliere non un tenore ma un soprano, Lola Artôt de Padilla (sostituita poi da Lotte Lehmann), destinandola a cantare il ruolo «en travesti», in modo da concretare quindi un secondo motivo d'analogia col «Rosenkavalier», con un equivalente di Octavian. Nonostante le accese proteste del poeta, la decisione di Strauss fu irrevocabile, sostenuta dall'argomentazione che «veniva visualizzato in tal modo il giovanetto Mozart quando era a Versailles o meglio quando stava componendo l'«Idomeneo» a Monaco». Assieme alla stesura del Prologo, furono praticati alcuni tagli nell'opera dall'autore, nella parte vocale del lungo episodio di Zerbinetta, nell'interludio orchestrale che precedeva l'ingresso in scena di Bacchus nonché nella ricomparsa di tutte le maschere all'effettiva conclusione dell'«Ariadne auf Naxos», lasciando a questo scopo, ma prima del Finale in re bemolle maggiore, la sola furtiva comparsa di Zerbinetta.

Felicissima intuizione (ed anche questo torna a merito di Hofmannsthal) dal punto di vista dell'effetto spettacolare risulta l'aver ambientato il Prologo sul retro della scena con tutti i frenetici preparativi per una rappresentazione. 11 Prologo s'inizia con una concisa introduzione orchestrale, molto vivace in 4/4 ed il materiale musicale impegna idee dell'opera cioè del duetto tra Bacchus ed Ariadne in cui viene intessuto un frammento melodico che caratterizza il personaggio di Zerbinetta: la melodia che ne scaturisce si riassume allusivamente nella figura del Compositore la cui opera seria «Ariadne auf Naxos» sta, come è noto, per andare in scena nel teatro del palazzo del signore più ricco di Vienna nel Settecento. Subentra subito un'intensificazione assortita di soggetti motivici che si richiamano ancor più scopertamente all'atmosfera maestosa ed esuberante della fine dell'opera, interpuntata dall'intervento del corno che si riallaccia invece al clima proprio della Commedia dell'Arte. Al levar del sipario, vuoto in scena, cioè sul retro della scena, ma assume ben presto evidenza il dialogo concitato tra il Maestro di musica ed il Maggiordomo — che sempre adotta il parlato, e reciso — sulla prospettiva del lavoro buffo previsto dopo «Ariadne auf Naxos»: la protesta è vana perché la composizione era già stata ben pagata, si rinfaccia dal Maggiordomo. Nell'alternanza di momenti di recitativo secco accompagnato dal pianoforte e di momenti di recitativo accompagnato dall'orchestra, Strauss recupera saltuari frammenti tematici che rimandano ai più vasti svolgimenti posteriori, secondo un virtuosismo stilistico e tecnico di scrittura che troverà particolare accoglimento in determinate sue opere successive come «Intermezzo» e «Capriccio». La conferma del progettato programma rappresentativo della serata viene appunto fornita dall'orchestra con una scheggia ritmica della danza di Zerbinetta e la melodia scema d'intensità, sfumando in una fioritura vaporosa perché è comparso un ufficiale a farle vìsita nel suo camerino. Incalza però subito un'insistente ascesa sonora del motivo del Compositore che è arrivato e sottolinea la sua collera, nell'intenzione, non esaudita, di poter completare, con la partecipazione esecutiva di alcuni violinisti una pagina rimasta in sospeso: essi però sono impegnati altrove ad allietare il banchetto del padron di casa, al che Strauss non perde l'occasione per citare in orchestra un tratto della «Tafel-Musik» del «Bourgeois Gentilhomme», di nuovo intrecciato col motivo delle maschere. Altre esigenze assillano però il Compositore, fare presente alla Prima Donna e al Tenore alcune raccomandazioni interpretative: va verso un camerino ma un inserviente gli sbarra la strada ridacchiando ed asserendo che è occupato da una «demoiselle», cioè Zerbinetta, a lui totalmente sconosciuta, ed un flauto sottolinea con accenti di mi stero lo stupore del Compositore a tale annuncio: la melodia sembra esitare ma prende quota, proponendo un'idea originale che però dilegua via subito. E le raccomandazioni al Tenore? L'orchestra non lascia dubbi in proposito, è proprio lo stesso personaggio che incarnerà Bacchus, come un dio egli dovrà comportarsi non come un buffone con indosso una pelle di leopardo; ritorna il suo motivo, rafforzato e baldanzoso, e dal 4/4 trapassa al 6/4 mentre il compositore lo intona a piena voce. La scena che segue è di un'estrema comicità: da un altro camerino esce il parrucchiere inseguito dal Tenore calvo con la ricciuta parrucca in mano, scambio di improperi tra i due, poi è la volta del Compositore a rincorrere il Tenore, rinchiusosi nel suo camerino. Quel motivo va messo subito su carta, nero su bianco, ma il Compositore non trova dove scriverlo e teme di scordarlo. La musica assume ora un ruolo di rilievo. Zerbinetta in negligé, con l'ufficialetto, ricompare per dire che soltanto dopo l'opera toccherà a lei far tornare il buonumore negli spettatori dopo un'ora di sbadigli: sempre in 4/4, poi, dopo un fugace 3/2 dell'orchestra ad un'allusione civettuola, di nuovo in 4/4, e di prepotenza la scena si anima, con la Primadonna, il Maestro di musica, il Maestro di ballo e lo stesso Compositore che, sempre più incuriosito, indaga su Zerbinetta e la musica ripropone l'intreccio dei motivi seri e comici del lavoro. Il Compositore però è furibondo e in 3/4, poi in 4/4 e in 6/4, è ragguagliato dal Maestro di musica: si susseguono ì mutamenti di tempo, dal 3/2 al. 4/4 nella rievocazione dei sommi valori dell'opera seria profanata dalla volgarità successiva, si acqueta però e torna il pensiero di quell'Arietta in 6/8 di cui egli improvvisa il testo «Du Venus Sohn» che il flauto e l'oboe intessono per alcune battute: si è trovato il pezzo di carta e il Compositore è accontentato finalmente. Su un tranquillo tempo di marcia in 4/4 giungono in fila indiana le maschere che si adoprano per il maquillage di Zerbinetta, mentre il Compositore torna ad adirarsi ed anche la Primadonna è scandalizzata dalla volgarità dei commedianti. In 2/4 Vivace, Zerbinetta, con un certo fare impertinente, si lamenta della difficoltà di quanto l'aspetta, accompagnata da una miniaturizzata Sonata per pianoforte mentre per un lungo intervento del Maestro di ballo ricompare il motivo della «Tafel-Musik» dal «Bourgeois Gentilhomme», cui sembra associarsi in orchestra una melodia di stampo mendelssohniano dall'Intermezzo del «Sogno di una notte di mezz'estate»: l'intento è di rassicurare Zerbinetta che la sua danza ed azione scenica colmeranno di gaiezza il pubblico, che della serata poi soltanto quello ricorderà. Rivolto alla Primadonna a sua volta poi, e si torna al 4/4, sempre il Maestro di ballo la conforta, ribadendo il rilievo della sua parte, il «clou de la soirée». Improvviso rullare di tamburo, tutti ai loro posti, entra il Maggiordomo che chiama a raccolta entrambe le compagnie di interpreti e con altisonante parlato comunica il volere del padrone di casa di allestire non successivamente ma «simultaneamente» l'opera tragica «Ariadne» e la pantomima danzante «L'infedele Zerbinetta», perché il tempo incalza e dopo vi saranno i fuochi d'artificio in giardino: si diano da fare, giacché tutti sono stati profumatamente pagati. Scompare la musica come accompagnamento continuo per cedere il passo a spunti frammentari degli strumenti e l'orchestra tornerà ad un ruolo primario soltanto per il duetto tra Zerbinetta e il Compositore. Intanto tra i più costernati, in 3/4 si lamenta il Compositore, e in 4/4 il Maestro di musica tenta di confortarlo, mentre in 3/4 interviene il Maestro di ballo che però comincia poi in 4/4 a convincere il Maestro di musica che tutto è fattibile, basterà scorciare qua e là l'opera Seria, e per il resto ci si affiderà alle facoltà d'improvvisazione di Zerbinetta e compagni. La musica nel frattempo riprende quota ed il Compositore ad un tavolo improvvisato comincia a far tagli alla partitura: apparentemente il compito non è facile perché ora il Tenore ora la Primadonna cercano di difendere l'integrità.della propria parte a danno dell'altro, con il Maestro di ballo che, bisbigliando nell'orecchio, li rassicura alternativamente in tal senso. In 6/8 poi, sempre il Maestro di ballo riassume la storia a Zerbinetta, e Strauss, per i termini fatui in cui è ridotto il mito di Ariadne — «la figlia di un re, fuggita con un tal Teseo cui aveva salvato la vita ma che, stufatasi, l'ha piantato su un'isola deserta: arde d'amore, invoca la morte ma in realtà attende un nuovo spasimante» — scrisse un brillantissimo Scherzo, interpolando assieme i motivi melodici più svariati, anche se riprodotti per frammenti, di varie scene dell'Opera Seria. Sempre in 6/8 tale materiale tematico viene ad intercalarsi ad estratti veri e propri della scena conclusiva di quel lavoro, e il Compositore, quando protesta in 4/4 l'idealità del mito, viene a trovarsi faccia a faccia con Zerbinetta, in un rapido scambio di battute tra 6/8 e 4/4. Zerbinetta, ora in 3/4 ora in 4/4, in tempo molto rapido e in recitativo secco ragguaglia intanto le maschere su quanto spetterà loro fare; poi si volge al Compositore, che è triste-triste, e con raffinata civetteria, mentre riprende l'orchestra, gli canta «L'attimo è un breve lampo degli occhi, lo sguardo invece è eterno». La melodia è sorretta dal solo violino e si fa sempre più appassionata e suadente: Zerbinetta, alternando parole semplici, nostalgiche, artificiose in 6/4 e in tempo rubato, traccia di sé un ritratto di donna in fondo sola e triste dietro l'apparenza gioviale, ed il Compositore ne è conquistato. La carta vincente della scaltra seduttrice, cioè la ricerca continua della persona cui restar fedele tutta la vita, è accompagnata dall'orchestra che rievoca un notissimo motivo straussiano di grande espressività, già comparso in «Tod und Verklarung» ed in «Elektra», affidato ai violini ed ai corni e che, del resto, alla conclusione di «Ariadne auf Naxos» è cantato da Bacchus con allusione a Circe. Si intreccia un duetto estremamente lirico tra Zerbinetta e il Compositore ed è la donna ad intonare ora l'Arietta appena scritta dal Compositore mentre questi afferma la sua esultanza sul verso «la musica è un'arte divina», con accompagnamento di violini, celesta, arpe, violoncelli e armonium. Il Maestro di musica riunisce intanto gli interpreti, a tratti recalcitranti, dell'Opera Seria, il Compositore vede il mondo con occhi diversi ma, dì colpo, ad un fischio sguaiato di Zerbinetta, sulla Cadenza del precedente duetto lirico, dal suo camerino si precipitano fuori, non del tutto vestite, le quattro maschere: gelo subitaneo del Compositore che comprende d'un colpo la doppiezza e la fatuità di quella donna; si dispera, ma è troppo tardi, cala il sipario, l'Opera sta per cominciare.

Anziché la lunga premessa del «Bourgeois Gentilhomme» di Molière quindi, che si legava all'«Ariadne auf Naxos» su di un piano meramente intellettualistico, questo Prologo vergato da Strauss appositamente a fungere da piedistallo all'epos successivo con l'impiego di soli scampoli motivici del consistente materiale dell'Opera Seria, ne costituisce l'antefatto più appropriato in teatro. Hofmannsthal aveva intuito giusto infatti e Strauss con abilissima sagacia di scrittura ha saputo concretare quell'intuizione nella dimensione spettacolare più autentica, basandosi sull'estrema economia dei mezzi espressivi. Dalle sue primissime battute, l'Ouverture trasporta nel mondo incantato e statico del mito ed il carattere della musica, nella suprema trasparenza del tessuto sonoro, secondo il gusto barocco, preannuncia il canto di Ariadne di cui rappresenta in orchestra il contraltare strumentale.

In termini miniaturizzati sono elencati nell'Andante in 3/4 vari motivi rapportabili alla malinconica solitudine di Ariadne, cioè gli spunti tematici rapportabili a Teseo (cioè al corno in mi bemolle), ad Ariadne stessa, [coi violini) che ricompaiono varie volte nell'opera ma specie nel primo lamento di Ariadne, come ricapitolazione di eventi passati, resi dai fiati, salvo l'ultimo che è un Allegro in 4/4 assai marcato che varia l'atmosfera, e dopo una fioritura introduce, al levar del sipario, l'Allegretto in 6/8 della scena sull'isola di Naxos. Ariadne giace davanti ad una grotta, mentre tre figure si individuano, Echo al centro ma sul retro, Najade a sinistra e Dryade a destra. Il profilo, carattere e stile di questo Terzetto furono sottolineati da Hofmannsthal a Strauss con le parole «bisogna lasciar effondere ad libitum la linea melodica per significare la sorridente indifferenza del mondo della natura alle sofferenze umane, pari allo stormire del fogliame e al tranquillo sciacquio delle onde»: il Terzetto in un cullante sol maggiore che potrebbe evocare le Figlie del Reno, s'interroga con melismi sul riposo di Ariadne. Lentamente e in 3/4 s'ode il «cri-de-coeur» d'Ariadne, accompagnato primieramente dalla viola sola e dall'armonium, ed il suo lamento nella prima parte, dopo essersi riallacciato ai frammenti tematici dell'Ouverture, specie a quello di Teseo, sfocia, pur se variamente interrotto, in un'ampia Scena ed Aria, mentre dietro le quinte s'odono le voci della Commedia dell'Arte, preoccupate di toglierla da quelle ambasce. Il lungo canto di Ariadne evoca la sua giovinezza innocente, con qualche assonanza nello strumentale ad uno spunto del «Till Eulenspiegel», mentre il vasto respiro del monologo, tristaneggiante nell'ampia arcata melodica, può accostarsi a quello della Marescialla del I atto del «Rosenkavalier». I due distinti piani teatrali, tragico e comico, non sono giunti ancora ad intrecciarsi e si susseguono alternandosi: ad Ariadne che, nel suo crescendo d'intensità in 4/4, aspira ad annientarsi nel nulla della morte, subentra, in un Allegretto in 2/4, Arlecchino, su sollecitazione del gruppo delle maschere, con un brioso Lied «Amare, odiare, sperare, temere / tutto può un cuore sopportare»: invita Ariadne a non prender la vita troppo sul serio, poi, dopo un breve scambio di battute con Zerbinetta sulla vanità di quel tentativo, rientra tra le quinte. La seconda parte dell'aria di Ariadne ricorda, nel suo tema principale, lontane reminiscenze della musica del «Bourgeois Gentilhomme», dell'incontro di Venere e Adone nel balletto «Kythere» e rammenta qualcosa dell'adagio della «Sinfonia in re» n. 93 di Haydn, ma intende ora prospettare la visione dell'al-di-là quale Hermes suole preannunciare come Messaggero dell'Ade: «V'è un regno ove tutto è puro, il regno dei morti», in 4/4, in clima piano ed estatico, permeato di struggente passione, che trova preciso ed appropriato riscontro nella discorsività intensa del tessuto strumentale, secondo una dimensione espressiva non lontana dal tema d'amore di Octavian all'inizio del «Rosenkavalier». Ormai però l'atmosfera tragica ha raggiunto il suo vertice di saturazione e subitaneo entra in scena, improvvisando un balletto, il Quartetto delle maschere, «La dama è triste e ormai troppo si è data in braccio al pianto»: sono Brighella, Scaramuccio, Arlecchino e Truffaldino con un Allegretto in 2/4 e in fa minore e poi maggiore, mentre Zerbinetta sta un po' discosta. D'ora innanzi, mentre Ariadne silenziosa sembra arretrare sempre più, in piena luce stanno soltanto le Maschere, la cui danza ha il carattere d'un brioso fugato, e con due concertati separati che incorniciano la grande aria di Zerbinetta: il primo quartetto di voci maschili è accompagnato dal pizzicato degli archi, con saltuari interventi dei legni e specie dal pianoforte che svolge una funzione simmetricamente analoga a quella dell'armonium nell'antecedente mondo tragico. Il motivo d'apertura, in staccato, ha un sapore bizzarro, e alla loro danza spensierata non tarda ad unirsi Zerbinetta, con movenze però quasi malinconiche, quasi intendesse far notare come il loro agitarsi non riesca a distogliere minimamente Ariadne dal suo assorto disinteresse alla vita, e, mentre la musica sembrerebbe concludersi in una sorta di Coda, tenta di imporsi alle Maschere, che continuano invece a ripetere la loro inesausta cantilena, che Strauss accompagna con reiterate modulazioni in varie tonalità e con suprema maestria di scrittura. Finalmente però Zerbinetta riesce nel suo intento, le Maschere smorzano progressivamente il loro motivo e spariscono dietro le quinte.

Con un marcato accordo di fa maggiore, è la volta ora di Zerbinetta d'attaccare in 4/4 il suo Recitativo ed Aria «O fierissima Principessa». Secondo gli intendimenti di Strauss tale episodio veniva a costituirsi come autentico centro focale del lavoro e quindi fu allargato a comprendere, oltre al Recitativo, due Ariette ed un vasto Rondò, caratterizzato dal brillantissimo virtuosismo della coloratura vocale: qua e là certe asperrime altezze vennero ritoccate dall'autore in occasione della première viennese. Nel Recitativo Zerbinetta si rivolge senza mezzi termini ad Ariadne esprimendole comprensione per le sue sofferenze, comuni, come sottolinea, ad ogni essere femminile, lei compresa, come stanno a dimostrare le sue sfortunate avventure: poiché anche il suo canto non distoglie Ariadne dal suo assorto distacco, anzi sembra convincerla a ritrarsi sempre più nella grotta, Zerbinetta se la prende con gli uomini in generale, praticamente rivolta al pùbblico. Lo stile musicale di questo Recitativo porta alle estreme conseguenze il lessico cameristico del lavoro, perché l'accompagnamento all'inizio è del solo pianoforte, quasi si fosse in presenza di uno dei tanti Lieder che Strauss ha scritto, specie in gioventù. Dopo l'undicesima battuta, però, tre archi vengono ad aggiungersi, con tenue replica del flauto, poi con l'oboe ciascuno degli strumenti a fiato coglie il pretesto di intervenire o succedersi volta a volta. Quando Zerbinetta raggiunge il suo acme d'accusa contro la notoria infedeltà degli uomini, il quintetto d'archi assume un maggior rilievo, sostituendosi praticamente al pianoforte come elemento primario dell'accompagnamento. Allorché Zerbinetta si sofferma a spiegare come, sulla sua esperienza, bisogna comportarsi con l'altro sesso, ia musica assume un fluttuante andamento in 3/4 nella calda tonalità del re bemolle, tanto cara a Strauss, che approfitta della situazione per scatenarsi in numerosi abbellimenti, scale ed arpeggi in cui la vocalità può dispiegarsi con sovrana maestria. Il tessuto musicale si inspessisce, e Zerbinetta ascende vette sempre più alte sino a che la musica s'avvia alla nuova tonalità di re con cui si apre la seconda Arietta «Cosi accadde con Pagliazzo» ecc., con arabescate figure di flauto e clarinetto. Gli abbellimenti sfruttano ora motivi appena enunciati nella successione di vari componenti della Commedia dell'Arte con cui ella ha flirtato (Allegro scherzando in 6/8). Pur nell'importanza che ricopre nel contesto del lavoro, in cui verrà più volte citata, questa Arietta è breve (rispetto alla prima stesura, è espunta la lunga cadenza di coloratura non accompagnata che raggiungeva un estremo fa diesis). Senza soluzione di continuità Zerbinetta attacca poi la sezione centrale dell'Aria con l'esposizione del tema principale «Quale un dio ciascun m'apparve» (Allegro in 4/4), strutturato come un vero e proprio Rondò, con due episodi, Cadenza e Coda. Il primo episodio introduce due nuovi spunti motivici, in contrapposizione sia col soggetto principale, sia reciprocamente tra loro, ed ancora, l'uno sembra approssimarsi al tema della seconda Arietta, mentre l'altro è improntato a un sereno lirismo. Ricompare poi il soggetto principale ma, contrariamente all'abituale costumanza dei cantanti del Settecento che limitavano la ripresa per dar maggior risalto alla Cadenza, Strauss, nella sue superba abilità di scrittura, riesce ad aggirare quel momento con l'arma dell'ironia: sembra quasi che Zerbinetta manchi un'entrata e che il clarinetto la sostituisca con brioso slancio e lei maliziosamente lo lascia fare, rientrando soltanto per gli ultimi accordi della Cadenza. L'organico strumentale intona una transizione al successivo episodio in cui Zerbinetta non lascia nulla d'intentato per attestare la sua femminilità, cogliendo fior da fiore senza esserne coinvolta però. Il secondo episodio del Rondò introduce ben poco materiale tematico, dedicandosi a sviluppare ampiamente l'inizio delle vanterie di Zerbinetta che era stato accompagnato dal violoncello solo, ornandolo però ora di inesauste fioriture, cui replica, in imitazione, il flauto. L'orchestra sembra riproporre un ritorno al tema principale ma è soltanto per far risaltare l'avvio della Coda, di pretta luminosità mozartiana, e varie screziature timbriche e strumentali, nei trilli e negli arabeschi, vengono a dialogare con le acrobazie di Zerbinetta, sempre più nel registro acuto: nell'ispessimento ognora crescente dell'orchestra, Zerbinetta intravvede una rivalità contro cui non può competere e sembra cedere la partita di fronte al precipitoso 6/4 dello strumentale, ma, appena si profila una pausa, ella immediatamente ne approfitta per scatenarsi nella sua grandiosa Cadenza, tutta improntata alla dimensione del mero divertimento, e da Strauss riscritta nella seconda versione. Nell'accompagnamento musicale alla Cadenza l'autore fa rivaleggiare lo strumentale con la voce solista sia nella elaborazione del precedente materiale tematico, sia in virtuosismi strumentali che cedono del tutto il campo quando Zerbinetta, senza accompagnamento, conclude la Cadenza sul «re» sovracuto. E dopo una frammentaria citazione di una scheggia del tema introduttivo del Rondò, affidata ai violini, Zerbinetta sigla il suo exploit con le parole «e da allora rimasi io muta... muta... muta».

A questo punto dello spettacolo era ragionevole prevedere il grosso rischio d'un applauso a scena aperta, ma Strauss prontamente lo evita perché, ancor prima che si concludesse la Cadenza, dalle quinte aveva fatto la sua ricomparsa in scena Arlecchino. Riprende il sopravvento il mondo spensierato della Commedia dell'Arte ed anche l'intervento d'Arlecchino viene interrotto dall'ingresso delle altre maschere: un Recitativo vivacemente ritmato funge da transizione al secondo concertato dell'Intermezzo, un Allegretto in 6/8, durante il quale, vanificatesi le illusioni di richiamare l'attenzione di Ariadne o di renderla comunque partecipe, Zerbinetta viene di volta in volta a mostrare interesse a ciascuna delle maschere, caratterizzandosi, specie in orchestra. Brighella per la graziosa spensieratezza sottolineata dai violini, Scaramuccio per l'agilità — ne dà prova, durante la danza generale, per la prontezza con cui rimette al suo posto una scarpetta sfuggita da un piede della scatenata Zerbinetta — Truffaldino per la giovialità grossolana, punteggiata dall'oboe, e Arlecchino per un donchisciottesco romanticismo. Tutti questi spunti motivici sono abilmente intessuti nel discorso strumentale da Strauss che prodiga tutte le sue risorse nella scrittura di questa danza, non ìmpari al celebre valzer del «Rosenkavalier», né al ballo del successivo «Intermezzo» (1924). Intanto Zerbinetta, dopo esser spensieratamente passata tra le braccia dell'una o dell'altra maschera, coglie un momento di disattenzione per gettarsi nell'amplesso d'Arlecchino, nel disorientamento del restante terzetto che si vede così turlupinato. Scaramuccio, Brighella e Truffaldino si danno allora un gran daffare per cercare i due scomparsi le cui voci si sentono in duetto fuori scena: è questo un motivo amoroso, la cui melodia si alterna, ancora qualche istante, con quella delle altre maschere, che poi svaniscono anch'esse.

Il ricomporsi del clima solenne dell'Opera Seria attorno ad Ariadne poneva a Strauss il problema non facile della transizione dalla precedente ilare atmosfera dell'Opera Buffa. Quella che segue è praticamente una terza scena rispetto al quadro iniziale e all'episodio tripartito delle maschere ma, senza soluzione di continuità, lo spettacolo segue il suo corso, segnato dal passaggio alquanto brusco dalla cadenza nella tonalità di re alla fanfara della tromba in do diesis per l'arrivo di Bacchus, e praticamente tutto si risolve, anche scenicamente nel cambiamento di linguaggio e di clima espressivo, davvero radicale. Simili quasi alle tre Nome, Najade, Dryade e Echo, in tempo vivace, cantano ora, a tratti in forma allusiva, a tratti realisticamente, le virtù e la storia di Bacchus, dalla nascita all'imminente approdo all'isola, con quelle libertà, nei confronti della mitologia classica, che Hofmannsthal si era notoriamente preso per soffermarsi con maggiore attenzione sull'avventura del semidio con Circe. Ma le pozioni magiche di Circe nessun pregiudizio avevano arrecato a Bacchus che così può raggiungere l'isola di Ariadne. Attento ad evitare, dopo la giovialità dell'episodio delle maschere, un ritorno al clima statico dell'inizio, il sensibilissimo intuito teatrale di Strauss ha provveduto ad imprimere un tempo veloce ed agitato al terzetto delle Ninfe, sin dalla loro apparizione: «Un gran portento, un giovane Dio». Entrambe queste frasi sono sottolineate in orchestra rispettivamente da un motivo di fanfara della tromba e da una melodia ascendente, e questi spunti, variamente intrecciati, vengono rinforzati da successivi frammenti del complesso soggetto tematico principale di Bacchus ed altro nuovo materiale musicale compare nell'evocazione dell'infruttuosa magia di Circe: non deve stupire che, a meglio sottolineare quella tentata stregoneria, compaia in partitura un'evidente citazione del tristaniano filtro magico! Il terzetto delle Ninfe scuote Ariadne dal suo torpore mentre, da loro non visto, appare su uno scoglio Bacchus, esultante, anche a suo dire, per lo scampato pericolo, corso nell'incontro con Circe. II suo canto è in tre parti, in risposta a ciascuna delle quali Ariadne, sempre in una sorta di trance, per nulla consapevole del nuovo personaggio, lo scambia per il divino messaggero della Morte. In orchestra si intrecciano ora almeno tre soggetti motivici rapportabili a Bacchus, mentre il canto del risveglio di Ariadne («Tra tutti i dolori»), commentato dalle Ninfe, allude chiaramente, pur nell'equivoco sul personaggio, alla natura divina del nuovo arrivato, l'unico che possa lenire, nel balsamo della morte, le sue sofferenze. Alla terza ripetizione del suo intervento, Ariadne chiude gli occhi e allarga le braccia, pronta all'amplesso con la Morte, da sì lungo tempo attesa: le fanno eco, in sommessa e cullante melodia, le Ninfe, parte all'unisono, parte in stretto aggancio armonico («Risuona dolce voce»). Nella prima versione di «Ariadne auf Naxos» ricompariva sulla scena furtivamente la maliziosa Zerbinetta che voleva dare il suo contributo a predisporre Ariadne all'arrivo di quello che riteneva un nuovo amante, bello come un Dio: naturalmente in punta di piedi e cercando di non farsi notare, ma nella revisione viennese, anche su sollecitazione di Hofmannsthal, tale episodio fu espunto da Strauss pure in orchestra, nonostante fosse magistralmente combinatorio di vari motivi. Nella medesima occasione venne eliminato, nella quasi totalità, il possente interludio strumentale che precedeva l'incontro di Bacchus con Ariadne, iniziandosi subito l'episodio su cui sostanzialmente converge tutta l'Opera Seria, che coinvolge l'intero organico, pianoforte compreso. Un grido drammatico di Ariadne sfuma gradualmente in un passaggio lirico perché, appena intravisto il nuovo personaggio, l'urgere dei ricordi le porta alle labbra il nome di Teseo, corretto però ben presto in quello del messaggero della Morte. Balzano in primo piano in orchestra i temi della divinità di Bacchus, forse a sottolineare il senso di mistero presente nella sua anima di fronte alla sconosciuta, quasi nel timore d'essere di nuovo preda delle magie di Circe. Né la risposta di Ariadne può rassicurarlo al riguardo perché egli ascolta da lei una nuova attestazione di fiduciosa attesa della morte e l'orchestra riassume la dimensione cameristica, dando evidenza a un quintetto di fiati. In particolare, una variante della melodia ascendente di Bacchus sottolinea la seconda fase del duetto, in cui il dio è stupito per esser stato chiamato con uno strano nome e tale soggetto melodico pervade l'intera struttura musicale. Ora Ariadne è convinta che lo sconosciuto è proprio il messaggero di Morte e la musica dà risalto alla sua asserzione citando, nella tonalità minore, un soggetto tematico del monologo in cui era palese il riferimento a Caronte. L'apparente incomunicabilità dei due personaggi persiste ed un ulteriore motivo di flauti e violini sottolinea in orchestra l'equivocità apparente in cui si trova Bacchus. È la sua volta, ora, di rievocare la giovinezza e l'origine della sua sovraterrena origine nonché il fallimento del diabolico piano di Circe ai suoi danni, e questo passaggio più che cantato è declamato, sull'adeguata elaborazione dei soggetti tematici relativi. Il clima eroico trapassa in pura melodia espressiva, mentre Bacchus rassicura Ariadne e la musica trascolora le tinte, sfumando la precedente agitazione in un'atmosfera più serena: le ultime luci del giorno cedono il passo alle tenebre incombenti e la musica intensifica nuovamente gli accenti appassionati per marcare il lirismo di quella che altro non è che una dichiarazione d'amore di Bacchus, cui fa eco la melodica risposta delle Ninfe. Una sorta di conciso interludio orchestrale diffonde le cullanti quarte della celeste, delle arpe e del piano mentre una sorta di paravento di foglie e di pampini isola Bacchus ed Ariadne dal resto della scena. Con l'accompagnamento del violoncello solo e della viola alternati, si ode il canto di Bacchus e di Ariadne mentre l'orchestra con tutti i suoi elementi riprende simultaneamente tutti i precedenti temi di Bacchus ma anche quello statico del messaggero di Morte, a conferma che, pur nella serenità della conclusione amorosa, la reciproca vera identità dei due personaggi non è stata risolta. A questo punto segue una vasta Coda, nella calda tonalità del re bemolle maggiore a suggellare «Ariadne auf Naxos» negli intensi colori dell'Opera Seria. La revisione viennese di Strauss ha eliminato il riaffacciarsi momentaneo delle Maschere da una parte, delle Ninfe dall'altra, al pari dei motivi del Rondò di Zerbinetta e del tema principale del primo concertato della Commedia dell'Arte in orchestra, con la prodigiosa combinazione di accenti appassionati e di spunti spensierati. Soltanto Zerbinetta esce dalle quinte e associa la conclusione di quell'idillio alle sue esperienze, «Se il nuovo Dio giunge, ormai si resta muti», ma tutto è sommerso dal maestoso e totalizzante re bemolle maggiore dell'amore appagato di Bacchus e di Ariadne. E, del resto, proprio perché ridotta al solo personaggio di Zerbinetta, oltre al richiamo della componente buffa nella conclusione dell'Opera Seria, può sempre evocarsi, in sede di spettacolo, l'analogia col paggetto negro che nel Finale del «Rosenkavalier» torna sui suoi passi per raccattare il fazzoletto della Marescialla: un'analogia non certo sfuggita a Richard Strauss.

Capolavoro d'indiscutibile charme nel genere cameristico, l'«Ariadne auf Naxos» segna al contempo il raggiungimento di due esiti straordinari, la mirabile intesa tra l'autore del testo e il musicista, oltre all'individuazione di una decisiva, ed ormai definitiva, svolta nell'evoluzione compositiva di Strauss, caldamente ed insistentemente perorata da Hofmannsthal, al quale il musicista dichiara senza mezzi termini: «non potrà più ormai rimproverarmi di rielaborare e di tornare sempre sul lessico wagneriano, da ora in poi si è spalancata una porta su nuovi orizzonti ed è su tale prospettiva, iniziata con il Prologo di «Ariadne», che io intendo incamminarmi, su un terreno materiato d'azione, emotività ed umanizzazione. Vedo chiara la via futura e la ringrazio per avermi aperto gli occhi... Le prometto d'aver deposto del tutto ormai l'armamentario musicale di Wagner, e per sempre». in effetti la svolta dell'evoluzione di Strauss, scandita dal ritorno a Mozart, ha preannunciato l'avvento del Neoclassicismo nel teatro musicale contemporaneo e le principali esperienze del gusto europeo dopo l'Espressionismo. Ma l'«Ariadne auf Naxos» costituisce di per sé il miglior Strauss, specie nella costruzione dell'insieme, in cui «la conciliazione degli opposti avviene nello spirito della forma-sonata: l'antitesi Arianna-Zerbinetta è posta come quella del primo tema e del secondo tema, prima nelle esposizioni separate, poi nello sviluppo, con una mirabile arte compositiva. Non si dimentichi che il primo Strauss era stato non-wagneriano e si era formato sotto i segni di Mendelssohn, di Schumann e di Brahms: qui egli è tornato alle origini cameristiche» (Vigolo). Nonostante le contaminazioni, gli intrecci di opera seria e leggera, non si è avuto alcun «pastiche» ma si è posta nel massimo risalto la geniale abilità, la superba arte sonatistica di Strauss, nel realizzare una successione di modulazioni che fungono da ponte tra un episodio e l'altro, in una trasparenza dorata di suoni, di cattivante piacere. E in ogni momento traspare la suprema civiltà culturale del musicista, la serenità della sua arte, la perfetta determinazione stilistica dell'opera. Ancorata all'accordo perfetto e ad una salda fedeltà tonale, la partitura di Strauss rinnova ad ogni ascolto le sue seduzioni, per la ricchezza inventiva, la scintillante arguzia, l'autonomia spirituale, il trascolorante lirismo, la sapienza musicale incomparabile.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Teatro alla Scala,
Milano, Teatro alla Scala, 1 giugno 2006
(2) Testo tratto dal programma di sala del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 27 giugno 1977


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Ultimo aggiornamento 3 aprile 2019