Eine Alpensinfonie "Sinfonia delle Alpi" poema sinfonico, op. 64 (TRV 233)


Musica: Richard Strauss (1864 - 1949)
Organico: 4 Flauti (flauti 3 e 4 anche ottavino), 3 Oboi (Oboe 3 anche Corno inglese), Heckelphon, 2 Clarinetti in si bemolle, Clarinetto in mi bemolle, Clarinetto in do (anche Clarinetto basso in si bemolle), 4 fagotti (fagotto 4 anche Controfagotto), 8 Corni in fa (Corni 5, 6, 7 e 8 anche Tube wagneriane in fa e si bemolle), 4 Trombe in si e do, 4 Tromboni, 2 Tube, Timpani (2 esecutori), Cassa, Piatti, Tam-tam, Triangolo, Campanacci (3 esecutori), Glockenspiel, Macchina del vento, Macchina del tuono, Organo, Celesta, 2 Arpe, Archi
Fuori scena: 12 corni, 2 Trombe, 2 Tromboni
Composizione: Berlino, 8 febbraio 1915
Prima esecuzione: Berlino, Dresdener Hofkapelle, 28 ottobre 1915
Edizione: F. Leuckart, Lipsia, 1915
Dedica: Graf Nicolaus Seebach e la Königlichen Kapelle di Dresda
Guida all'ascolto (nota 1)

Strauss compose la Alpensinfonie tra il 1911 e il '15, a circa otto, nove anni di distanza dall'ultimo dei suoi nove Poemi sinfonici (da Aus Italien 1887 alla Symphonia Domestica 1904), ma ne aveva tenuto in sé a lungo, addirittura dalla prima giovinezza, il nucleo di ispirazione, che è, poi, una ferma convinzione della sua vita e della sua arte, cioè il concetto ultraromantico del primato dell'eroe e dell'artista nell'umana civiltà.

Dopo il successo mondiale di Salome (1905), di Elektra (1909) e soprattutto del Rosenkavalier (1911) Strauss sembrava deciso a lasciare il sinfonismo puro per il teatro d'opera, e in un certo senso così è stato. Infatti, già durante le prove del Rosenkavalier egli si era messo al lavoro per Ariadne auf Naxos, la cui stesura (o meglio, la stesura della prima versione) è contemporanea, anno per anno, alla Alpensinfonie: essendone il perfetto opposto. Tanto è agile, sottile, ellenica Ariadne, tanto è pingue, maestosa, germanica la Alpensinfonie.

Sulla ragione di questo inatteso ritorno al grande sinfonismo descrittivo in anni nei quali il suo stile era ormai diverso, si è detto di tutto. Ma la vita interiore di Strauss, uomo in apparenza sicuro, fermo, impassibile e cordiale, esplicito e loquace nelle centinaia di lettere che scrisse (le più sono splendenti di precisione, di intelligenza, di arguzia) - la sua vita interiore, dicevo, è restata un segreto inespugnabile. La Alpensinfonie, dunque, può significare un contraddittorio ripensamento, o essere segno di crisi personale, o espressione di un formidabile timore sui tempi e sulle sorti della cultura (in questo il pessimismo dell'antidemocratico Strauss era ben fermo), o infine fu bisogno di una definitiva, ed estrema, dichiarazione di fede romantica e tedesca e di panteismo anticristiano. Questa enorme 'Sinfonia', insomma, è un ingombrante enigma, che nella spettacolare sonorità nasconde molto, volendo dire forse troppo.

Infatti, può essere vero che per raccontarci una sua gita in montagna Strauss abbia messo al lavoro un'orchestra gigantesca (maggiore di quella dell'Elekctra: a rispettare le richieste del musicista qui 137 persone!) con una scrittura di stupefacente complessità tematica e polifonica? Certo, Strauss amava stendere autobiografie musicali (Heldenleben, cioè Vita d'eroe, e l'eroe è lui; Symphonia Domestica, nelle cui note agiscono la famiglia Strauss e i parenti, così sarà poi con l'incantevole commedia Intermezzo) e ne godeva, perché il suo genialissimo io era ben nutrito, disinvolto, ironico. Ma in questa Alpensinfonie di là dall'evidente compiacimento per l'ineguagliato magistero tecnico (questa è forse, con La donna senz'ombra, la partitura di Strauss più complicata, originale, fantasiosa: e Strauss se ne vantò con qualche frase poco felice) ci sono poche tracce di divertimento o di ironia. L'occasione esterna del lavoro fu, sì, l'amore di Strauss per la montagna, e in particolare per le Alpi bavaresi che egli ammirava dalla sua villa a Garmisch, però qui, anche tra prati, fiori, ruscelli, cascate, il pensiero e l'immaginazione vogliono andare ben oltre.

Come nell'Oro del Reno si comincia con l'oscurità primigenia e, diversamente dall'Oro del Reno, non si finisce nella luce ma giù, di nuovo nel buio. Ho detto all'inizio dell'idea di eroismo esistenziale ed estetico che aveva Strauss, ereditata dal Romanticismo tedesco di Schopenhauer e di Nietzsche e sorretta dal significato che egli dava all'arte di Beethoven e di Wagner. C'è da aggiungere che al primo progetto dell'enorme quadro, Strauss aveva dato per titolo Der Antichrist, L'Anticristo, a significare una rappresentazione dionisiaca della natura, rappresentazione che sarebbe concessa solo all'uomo superiore, all'eroe artista e filosofo. Quindi nella Alpensinfonie quello che si sente (ed è spesso musica di spettacolare magnificenza) conta meno di quello che si dovrebbe vedere, l'immagine grandiosa ed oscura del mondo nato dalla pura vitalità. E la ascesa, con discesa, alpestre vorrebbe essere un viaggio iniziatico in questa forza del mondo, dalla notte alla notte, come ho già detto, attraverso ventidue 'stazioni', o figure, o esperienze, con tre momenti culminanti o punti provvisori di arrivo (2. Sonnenaufgang, Sorgere del sole; 13. Auf dem Cipfel, Sulla cima; 19. Gewitter una Sturm, Temporale e bufera). Ma la tecnica musicale, e drammatica, della Steigerung, della 'crescita di tensione verso un vertice', tecnica che Strauss adopera sempre con virtuosismo, qui ha una così frequente funzione da dare sazietà in chi ascolta.

L'inesauribile fecondità immaginativa, descrittiva e tecnica dei mezzi musicali ci dispensa da una parafrasi di tutti e ventidue gli episodi: infatti Strauss tutto ciò che intende esprimere, paesaggi o emozioni, i boschi, i ruscelli, le cascate d'acqua, il vento, le bufere, gli entusiasmi, le paure, lo mette in musica con tale scrupolosa evidenza che i suoni sono i testi esplicativi di se stessi. Non c'è neppure necessità di seguire la musica leggendo i titoli, perché, ripeto, quasi ogni suono, tema musicale, colore strumentale creano visivamente l'oggetto (basti additare all'attenzione l'apparizione della cascata, incorrotta iridescenza e liquidità sonora).

Eppure in così accentuato 'realismo' sono intatte, anche se non immediatamente percepibili, la volontà e la capacità costruttiva del grande musicista, nei rapporti (di durata e di impianto tonale) tra le diverse sezioni, nelle relazioni tematiche, nelle poderose sovrapposizioni contrappuntistiche dei temi: con l'ostentata bravura di riesporre, al momento dello Abstieg (19. La discesa), in ordine inverso tutti i temi del viaggio in salita, e quasi tutti in forma rovesciata: fantastica esperienza di un 'viaggio' all'indietro.

Ecco, per concludere possiamo pensare che con la Alpensinfonie Strauss ci abbia dato un'autocelebrazione e un eloquente compendio del suo genio, della sua dottrina, della sua fede naturale e pagana e, infine, del suo passato - con i limiti in cui un così insolito e ardimentoso progetto è costretto.

Franco Serpa

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Se i primi abbozzi di un grande affresco sinfonico (che avrebbe dovuto intitolarsi L'Anticristo, Una sinfonia delle Alpi) risalgono al 1902, non fu prima del 1911 che Strauss riprese concretamente a lavorare a quella che sarebbe rimasta la sua ultima composizione per orchestra di grandi proporzioni e ambizioni. Il 18 maggio 1911, appresa la morte di Mahler, Strauss annotava sul suo diario che il titolo di Anticristo stava a significare che la Sinfonia delle Alpi dipingeva «la purificazione morale dell'uomo grazie ai suoi soli forzi, la liberazione dal lavoro, il culto dell'eterna, splendida natura». Ridotta dai quattro tempi previsti in origine a un unico grande movimento sinfonico, la Alpensymphonie continuava a mantenere il titolo di Anticristo ancora il 5 agosto 1913, quando Strauss terminava di stenderne la composizione; l'8 febbraio 1915, dopo cento giorni di lavoro, fu terminata anche l'orchestrazione; il 25 ottobre di quell'anno, a Berlino (ma alla guida dell'Orchestra reale di Dresda, dedicataria dell'opera), Strauss dirigeva la prima assoluta della Sinfonia delle Alpi. Il titolo ormai scartato di Anticristo è comunque utile a comprendere l'effettivo significato di questa mastodontica partitura, che, privata del suo riferimento a un naturalismo pagano e ottimistico, rischia di rimanere soprattutto documento di un' abilità descrittiva quasi cinematografica e di uno sbalorditivo mestiere di strumentatore («Finalmente ho imparato a orchestrare!» disse Strauss alla fine delle prove). Certamente, le esaltazioni nietzschiane dello Zaratbustra risuonano nella gigantesca Sinfonia delle Alpi abbondantemente stemperate nell'autocompiacimento del compositore ormai espertissimo. Resta a quest'opera, al di là della descrizione più o meno puntuale di una scalata in montagna dall'alba al tramonto, fra paesaggi suggestivi e visioni soprannaturali, il fascino di una pittura d'ambiente e di un grandioso respiro espressivo.

Le varie sezioni della partitura descrivono via via la notte, il sorgere del sole (tema del sole in la maggiore), l'ascesa (tema del viandante), l'entrata nel bosco (arpeggi degli archi), il cammino lungo il ruscello (archi e legni con abbondanza di figurazioni), la cascata (archi balzati, scale discendenti di legni, triangoli, campanelli), l'apparizione della natura (melodia dell'oboe, tema del corno), le praterie fiorite (con cinguettio d'uccelli e svolazzare di farfalle), i pascoli alpestri (jodler dei legni, campanacci), i sentieri impervi attraverso il folto e le fratte (fugato), il ghiacciaio (violini e viole acutissimi, trombe e clarinetto in mi bemolle stridenti sopra un rullo di timpani), i momenti del pericolo (agitato tremolo degli archi), la cima (impressione dell'immensità nel canto dell'oboe), la visione (altro solenne fugato, il motivo della cima che risuona nei registri acuti, quello del sole nella pompa dell'organo, quello della montagna nell'imponenza delle trombe, dei tromboni e delle tube), il levarsi della nebbia (atmosfera lugubre mediante lo heckelphon), il sole che a poco a poco si oscura (delicati accordi delle trombe con sordina accompagnano il tema del sole che si ascolta nell'organo), l'elegia dell'ora (oboe contralto), la quiete prima del temporale (nei timpani rugge sordamente il tuono, nel flauto e nel clarinetto serpeggiano lampi lontani, con flauto, oboi e pizzicati di violini si imita il cadere delle prime gocce), la burrasca e la tempesta (scatenamento generale dell'orchestra e della percussione), la discesa, il tramonto, le ultime risonanze e infine, ancora, la notte (accordo pianissimo in si bemolle minore).


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 dicembre 2008
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Sinfonica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001


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Ultimo aggiornamento 21 giugno 2014