Sinfonia n. 3 in do minore "Le divin poème", op. 43


Musica: Aleksandr Skrjabin (1872 - 1915)
  1. Introduction - Lento
  2. Luttes - Allegro
  3. Voluptés - Lento
  4. Jeu divin - Allegro
Organico: ottavino, 3 flauti, 3 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 8 corni, 5 trombe, 3 trombni, basso tuba, timpani, tam-tam, campane, 2 arpe, archi
Composizione: 1902 - 1904
Prima esecuzione: Parigi, 29 maggio 1905
Edizione: M. P. Belaieff, Lipsia, 1905
Guida all'ascolto (nota 1)

Il musicologo russo Boris de Schloezer, genero di Skrjabin e autore di una delle più importanti biografie del compositore moscovita, ha diviso la vita del musicista e la sua opera in tre periodi: il primo va dal 1886 al 1903, il secondo dal 1904 al 1908, il terzo dal 1909 al 1915. La Sinfonia n. 3 in do minore op. 43, composta tra il 1902 e il 1904, si situa a cavallo tra il primo e il secondo periodo e segna una svolta importante tra una serie di composizioni che possono essere definite di formazione e le prime opere in cui Skrjabin raggiunge una maturità compositiva in cui si delinea con chiarezza il suo personalissimo stile.

Nato a Mosca il 25 dicembre 1871, secondo il calendario giuliano in uso in Russia prima della rivoluzione sovietica, o il 6 gennaio 1872, secondo quello gregoriano, il giovane Aleksandr Nilolaevic fu avviato alla carriera militare dal padre anche in virtù del fatto che la madre, Lubov Petrovna Stochtinina, era morta un anno dopo la sua nascita. La scuola moscovita dei cadetti non impedì comunque a Skrjabin di rendersi conto del suo talento musicale e coltivarlo, sino a quando, nel 1888, abbandonò la caserma per entrare al Conservatorio dove si svolse la sua preparazione accademica tramite il pianista Vasilij Il'ic Safanov e i compositori Sergej Ivanovic Taneev e Nikolaj Arenskij. I primi esordi sono brani pianistici in cui si riscontra un'indiscutibile influenza chopiniana, come i numerosi valzer, le mazurke, gli improvvisi, i ventiquattro Preludi op. 11 e il Concerto in fa diesis minore op. 20 per pianoforte e orchestra del 1896. Il giovane Skrjabin scrive musica attingendo ai grandi esempi della musica occidentale e russa, ed è per questo motivo che si rivolge a Nikolaj Rimskij-Korsakov per avere una guida alla composizione orchestrale; peccato però che il tentativo di divenire suo allievo fallì e pose Skrjabin dinanzi alla scelta di percorrere come autodidatta la via del sinfonismo. Nasce quindi la Sinfonia n. 1 in mi maggiore op. 26 per soli, coro e orchestra, composta con grande slancio nel 1899, un primo tentativo sinfonico in cui Skrjabin non sembra riuscire a dominare con sicurezza la massa orchestrale e le strutture compositive, anche a causa della suddivisione in sei movimenti e della congerie strumentale e vocale che mette in campo.

La Sinfonia n. 2 in do minore op. 29 segue la prima di due anni. Composta nel 1901, è puramente strumentale, ma anch'essa risulta estremamente complicata nella struttura d cinque movimenti che la compongono, in quanto Skrjabin intendeva stabilire un rapporto logico-discorsivo alternando tempi lenti con tempi veloci e facendo ritornare alcuni temi in maniera incrociata all'interno dei movimenti. Skrjabin apprezzò molto i riconoscimenti di stima che gli vennero per questa sua nuova sinfonia, anche se in seguito si mostrerà critico nei confronti della sua opera, ancora molto debitrice nei confronti di stilemi del tardo romanticismo che limitavano una libera e originale espressività.

Il sinfonismo skrjabiniano si sta dunque evolvendo, ma il passo decisivo che portò il compositore russo verso l'acquisizione di un suo stile personale fu la creazione della Sinfonia n. 3 defininita "Poème Divin"; cerchiamo di vederne le ragioni. Innanzi tutto abbiamo un cambiamento di punti di riferimento, di modelli compositivi per l'ormai trentenne Skrjabin; lasciato Chopin e le suggestioni intimistico-pianistiche, ecco divenire chiare dalla Sonata op. 30 per pianoforte le figure di Richard Wagner e Franz Liszt. Essa si manifesta sia nella tavolozza timbrica dell'orchestra che non segue, per esempio, le suggestioni rimskijane e sia nell'armonia con un uso diffuso del cromatismo che, unitamente ad una valorizzazione del "tritono", gli permette qui di elaborare per tutta la durata dell'opera il tema principale con cui si apre la Sinfonia. È il primo passo verso quella dissoluzione degli schemi armonici classici che porterà in seguito Skrjabin a proporre le sue personali soluzioni armoniche basate sull'uso della scala per toni interi e l'uso di accordi di 9a, di 11a e di 13a alterata costruiti sulla sovrapposizione di intervalli di quarta, sino a giungere al famoso accordo "sintetico" (do-fa#-sib-mi-la-re) che caratterizza Prométhée, le poème du feu op. 60 del 1911. Ma l'evoluzione di Skrjabin non è solo questione di punti di riferimento musicali e nasce anche da una maturazione fìlosofica e artistica in generale raggiunta dal compositore, nonché da un radicale mutamento della sua situazione affettiva. Partiamo da quest'ultima.

Skrjabin aveva sposato nel 1897 la pianista Vera Ivanovna Isakovic dalla quale avrà quattro figli, Rimma nel 1989, Hélène nel 1900, Marie nel 1901 e Lev nel 1902, ma, a dispetto della apparente tranquillità e nonostante la dedizione della moglie, la sua vita familiare non era felice. Vera Ivanovna pare non riuscisse a comprendere il suo animo inquieto e l'ancora confusa ispirazione creatrice che spingeva Skrjabin a cercare in un indistinto misticismo filosofico la strada da percorrere. Ecco quindi che quando nel 1903 il musicista conobbe la giovane Tatiana de Schloezer, ventenne sorella del musicologo Boris, amico di Skrjabin, non gli fu difficile riconoscere in lei il suo nuovo e definitivo amore. Tatiana infatti era un'ammìratrice della musica di Skrjabin e dopo aver conosciuto il maestro decise di dedicargli la sua vita divenendone la compagna e condividendo con lui i diffìcili momenti della creazione artistica. Il 1903 è dunque l'anno centrale della composizione del Poème Divin; Skrjabin lasciò la cattedra che ricopriva al Conservatorio di Mosca proprio per dedicarsi meglio alla sua opera, in un momento economico, che, tra l'altro, non lo vedeva assolutamente in buone acque Skrjabin pubblicava le sue composizioni presso la casa editrice Beljaev, sempre dopo aver ricevuto cospicui anticipi dal fondatore Mitrofan Petrovic, il quale gli aveva così assicurato una certa agiatezza; alla morte di Beljaev, avvenuta sempre nel 1903, la direzione della casa editrice era passata in mano ad un gruppo di musicisti tra cui Rimskij-Korsalcov, Liadov e Glazunov, non solo ostili a Skrjabin, ma anche attenti ai conti della società, e questo significò il taglio degli antìcipi e l'invito a mantenere i tempi di consegna del materiale. L'intervento economico di una alunna di Skrjabin, Margarita Morozova, che diverrà mecenate del compositori diede la possibilità al musicista di trasferirsi in Svizzera all'inizio del 1904, dove, nei pressi di Ginevra, proseguì con maggiore tranquillità alla stesura della sua Terza Sinfonia. La presenza di Tatiana era però ormai indispensabile al musicista, anche perché quest'ultima stava redigendo una sorta di programma interpretativo-descrittivo dell'opera skrjabiniana che definiva meglio all'ascoltatore gli intenti estetici della creazione musicale. Ecco pertanto che Skrjabin affitta un appartamento nei pressi della sua villa, e dopo pochi mesi si fa raggiungere da Tatiana con la quale prosegue la sua relazione. La rottura con la moglie è repentina, e già alla fine dell'anno la separazione è decisa Vera Ivanovna esce quindi dalla vita di Skrjabin, e il suo posto viene preso da Tatiana de Schloezer, moglie e sacerdotessa del musicista.

La maturazione musicale che conduce al Poème Divin è anche frutto di interessi specifici nel campo filosofico che Skrjabin coltivò circa dal 1901 in poi e che gli permisero di elaborare una complessa teoria estetica all'interno della quale possono essere collocate le sue grandi creazioni sinfoniche a partire dalla Sinfonia, op. 43.

La formazione filosofica di Skrjabin fu quella di un autodidatta; iniziò dai classici greci tra cui spiccava Piatone, per passare attraverso i tedeschi Kant, Fichte, Hegel, Schelling e Feuerbach, e giungere ai suoi contemporanei come Nietzsche e Sergej Trubeckoj. Ciò che egli cercava era comprendere se era possibile ritenere l'atto della creazione artistica umana non come un gesto puramente estetico, un atto transitorio nel cammino dell'umanità, ma come un momento fondante del percorso dell'uomo verso una sua futura trascendenza, verso una sua divinizzazione e ricongiungimento con delle entità superiori. Idealismo e volontarismo caratterizzano il pensiero filosofico di Skrjabin negli anni in cui scriveva il Poème Divin, e questa sua composizione rispecchia in larga misura quanto si andava agitando nel suo animo. Ce ne rendiamo conto proprio grazie al programma che Tatiana de Schloezer scrive in occasione della prima esecuzione della Sinfonia a Parigi il 29 maggio 1905. I tre movimenti, Lento - Allegro, Lento, Allegro, sono preceduti dai titoli Luttes, Voluptés, Jeu Divin, che secondo il progetto della de Schloezer dovevano indicare «l'evoluzione dello spirito umano che, liberato da un passato di leggende e di mistero che supera e abbatte, giunge, dopo essere passato attraverso il Panteismo, all'affermazione libera e gioiosa della sua libertà e della sua unione con l'Universo, l'Io divino».

È evidente in questa dichiarazione una matrice nietzschiana resa evidente dallo slancio volontaristico e di dominio in cui l'individuo si pone al di sopra dell'umano per trascendere se stesso. Il Poème Divin è quindi la descrizione di questo percorso in cui in Luttes descrive «la lotta tra l'uomo schiavo di un dio personale, maestro supremo del mondo, e l'uomo potente, libero: l'uomo-dio. Quest'ultimo trionfa, sembrerebbe, ma è solo l'intelligenza che si solleva all'affermazione di un Io divino, poiché la volontà individuale, ancora debole, è tentata di inabissarsi nel Panteismo». In Voluptés «l'uomo si lascia prendere dalle delizie del mondo sensuale. I piaceri lo lusingano, lo cullano, ed egli vi si immerge. La sua personalità si annienta nella natura. In quel momento dal fondo del suo essere s'innalza però il sentimento del sublime che l'aiuta a vincere la passività dell'Io umano». Il percorso si conclude in Jeu Divin, dove «lo spirito liberato infine da tutte le sue catene che lo legano al passato di sottomissione ad una forza superiore, divenuto creatore dell'universo con il solo potere della sua volontà, conscio di essere un tutt'uno con questo universo, si dona alla gioia sublime della libera esistenza: il Jeu Divin».

Occorre comunque avere ben presente che questo testo di Tatiana de Schloezer è successivo alla creazione musicale, quindi non deve essere considerato come un "programma" per Skrjabin, cioè una suggestione extramusicale a cui egli si è ispirato, bensì un testo che egli ha fatto inserire nel programma di sala della prima parigina per tentare di spiegare la complessità della sua opera. Nelle parole di Tatiana c'è un che di roboante e al contempo indefinito, o per dirla diversamente, di confuso, ma che comunque rispecchia il momento creativo attraversato da Skrjabin che compiva i primi passi verso l'affermazione di una sua propria originale visione dell'arte e del mondo.

Skrjabin aveva infatti immaginato la creazione di un'opera d'arte totale, fondata sui principi della sinestesia e ritenuta non più creazione edonistica ma atto liturgico capace di purificare il genere umano e portarlo oltre la sua terrestre fisicità verso il ricongiungimento con le forze dell'universo. Quest'ultima e definitiva creazione veniva definita Mistero, e con il Poème Divin il compositore compie il primo passo di avvicinamento alla sua realizzazione. L'idea era in nuce sin dalla Sinfonia, n. 1, e qualcosa si era intravisto nel coro finale in cui Skrjabin incitava all'arte come potenza divina, ma la forma musicale non era in grado di interpretare e chiarire i criptici messaggi del testo; il linguaggio della Sinfonia n. 3 comincia invece a dar forma al pensiero dell'autore. La mistica dialettica che Skrjabin intesse intorno al tema principale nelle prime sedici battute dell'opera dà il senso dell'inquietudine del compositore, della sua tensione verso un'indefinibile trascendentalismo, del suo rifiuto della corporeità umana. Il continuo rifluire del discorso melodico e armonico intorno a pochi nuclei tematici sembra presagire poi quella tendenza all'estasi che apparirà in maniera chiara nell'op. 54 del 19051-1908, e cioè Le poème de l'exstase, come momento in cui l'uomo è in grado di superare la fisicità del suo essere per sollevare l'anima dal mondo e spingerla verso l'infinito.

Nel corso degli anni le teorie di Skrjabin si veleranno sempre più di connotazioni induiste e teosofiche, anche se i contatti con la teosofia non sono attestati che da alcuni accenni nell'epistolario, come quello del 1905, quando scrive che sta leggendo La chiave della Teosofia di Madame Blavatskij, testo fondamentale della dottrina teosofica; la vicinanza è comunque forte fra le teorie skrjabiniane e il pensiero teosofico, e bisogna ricordare che durante un soggiorno a Bruxelles tra il 1908 e il 1909 il compositore frequentò gli ambienti teosofici riportando consensi per le sue opere. I consensi che il Poème Divin riscosse in occasione delle sue prime esecuzioni, quella di Parigi sopra citata del 1905 che vide Arthur Nikisch sul podio e quella di New York del 1907 durante una tournée del compositore, non furono dei più felici. Il critico della "Guide Musical" la definì noiosa, snervante e senza alcunché da dire, Louis Laloy dalle pagine del "Mercure Musical" rimproverò a Skrjabin di essere un epigono di Wagner, mentre Amédée Boutarel, critico della rivista parigina "Le Ménestrel", puntò l'indice su quella che definì una sproporzione tra le pretesé filosofiche del programma e la debolezza musicale dell'opera, attribuendo tutto ciò alla figura "bizzarra" del compositore. Anche i critici americani non furono da meno di quelli francesi, scrivendo a chiare note come il Poème Divin fosse opera di un «nevrotico» ("Musical America"), e null'altro che «idee torturate da ogni specie di fastidiose armonie» ("New York Times"), il che completa il quadro dell'accoglienza che la musica di Skrjabin aveva tra i suoi contemporanei.

Tali critiche vanno comunque oggi giudicate con clemenza. Addentrarsi nella partitura del Poème Divin è infatti cosa tanto affascinante quanto ardua. Dietro il rifluire contìnuo e ipnotico dell'onda magmatica, in quella che è stata definita'" la sua "pseudodialettica", dietro l'apparente semplicismo tema e del suo movimento melodico, si celano un'organizzazione del materiale musicale, una sinuosità armonica e una alchemica lucentezza timbrica dell'orchestra che sono il frutto dell'estenuante perfezionismo di Skrjabin il quale restituisce all'ascoltatore non le asperità della composizione ma gli slanci esaltanti dell'artista e del suo credo misterico. È quindi da sottolineare come Skrjabin a dispetto di un'apparenza fluttuante della struttura del poema, abbia costruito il Poème Divin secondo una forma salda e legata il più possibile alle codificazioni classiche, evitando qualsiasi tipo di improvvisazione o spontaneismo. Questo si può notare, per esempio, nell'alternanza dei tempi lenti con quelli veloci (Lento-Allegro-Lento-Allegro), nel costruire il primo e il terzo movimento secondo i canoni della "forma sonata" usando come tema il doppio leitmotiv degli ottoni e nello strutturare il secondo movimento, il Lento centrale, come un lied secondo lo schema A B C D A' B' C' con una coda finale, servendosi di una rimembranza dei motivi del primo movimento.

Giancarlo Moretti


(1) Testo programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 25 maggio 1997


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Ultimo aggiornamento 19 marzo 2014