Sinfonia n. 1 in mi maggiore per grande orchestra, op. 26


Musica: Aleksandr Skrjabin (1872 - 1915)
  1. Lento
  2. Allegro dramatico
  3. Lento
  4. Vivace
  5. Allegro
  6. Andante
Organico: mezzosoprano, tenore, coro misto, 3 flauti, 2 oboi, 3 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, campanelli, arpa, archi
Composizione: 1899 - 1900
Prima esecuzione: Mosca, Sala Grande del Conservatorio, 29 marzo 1901
Edizione: M. P. Belaieff, Lipsia, 1900
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel 1911 Alexander Scriabin compose il Prometeo o Poema del fuoco, un brano di vastissime proporzioni formali che prevedeva l'uso, oltre che dell'orchestra, del pianoforte, dell'organo, di un coro e di uno speciale «clavier a lumière», una tastiera a colori che doveva concretare l'idea del musicista di un'opera che realizzasse una sorta di unità tra suono e colore. Visione di una molteplice unità di sensazioni che avrebbero dovuto fare un ulteriore passo in avanti nell'incompiuto Mysterium, Le fantasie di Prometeo, nel quale si configurava - a giudicare dagli abbozzi lasciati dal musicista - un'opera nella quale avrebbero dovuto confluire luci, colori e profumi intendendo con ciò Scriabin, secondo quanto disse al suo amico Oscar von Riesemann, «immettere nell'atto artistico liturgico del Mysterium il comportamento della natura stessa: lo stormire degli alberi, il brillio delle stelle, i colori dell'aurora e del tramonto». Era questa la conclusione di una lunga parabola creativa svoltasi sotto il segno di questa aspirazione ad un'arte totale o più probabilmente di quella tendente ad andare oltre il confine sul quale tradizionalmente si era fino allora fermata l'arte dei suoni. Alla base di queste ricerche formali cosi testardamente portate avanti, c'è di certo la personale storia intellettuale dell'artista nella quale convergono le sue mistiche e mitiche aspirazioni all'assoluto che egli aveva mutuato in parte dai circoli teosofici con i quali era entrato in rapporto durante una lunga permanenza a Bruxelles, in parte (forse la preponderante) dal movimento letterario simbolista che muoveva in quegli anni i primi passi in Russia - è una pungente osservazione di Gianandrea Gavazzeni - e che ebbe la sua massima espressione in Alexandr Blok e dagli assunti di un'arte totale di cui, ancora in quegli anni, si era fatto paladino Frederich Nietzsche con la sua «Nascita della tragedia».

Ai fini della comprensione dì questa musica scriabiniana - o se si preferisce della sua collocazione nel grande panorama della musica tardo romantica o pre espressionista - è meglio ricordare però come negli stessi anni nei quali vedeva la luce il Prometeo, uri pittore anch'egli russo di nascita, Kandinskij, lavorasse ad una forma di teatro totale - musica più colore - con Der gelbe Klang mentre Arnold Schoenberg fosse impegnato nella composizione di Die glückliche Hand, nella quale opera ancora centrale sarebbe risultato (si vedano le note di regia redatte dal musicista) il rapporto tra musica e immagine. Tutto ciò per dire quanto l'ultimo approdo di Scriabin fosse incentrato attorno ad una problematica allora di assoluta attualità.

Ma non è questa la sola caratteristica «attuale» dell'opera scriabiniana. Scrive ancora Gavazzeni, infatti, a proposito di Scriabin: «...siamo proprio alle soglie di un mondo armonico nuovo tale e quale come avviene negli impressionisti. Soltanto che Scriabin la curva l'ha percorsa tutta: si potrebbe dire che conduce l'armonia da Chopin sino quasi a Schoenberg! E non è dir poco...». Ecco così Scriabin ancora una volta al centro del tempo; nel senso che anch'egli si immerge nei gorghi del cromatismo wagneriano alla ricerca di nuovi elementi per un linguaggio musicale che fosse al passo coi tempi, o se si preferisce al passo coi contenuti nuovi - la crisi dell'uomo, come quella della società ottocentesca - che la storia imponeva agii artisti. Schoenberg uscirà da questa esplorazione ricomponendo i dodici suoni della scala cromatica nel metodo di composizione noto come dodecafonia; l'esplorazione di Scriabin darà nel futuro meno frutti di quella schoenberghiana ma non sarà meno significativa, concludendosi nella scoperta di un linguaggio che si libera dai vincoli della tonalità, dalla gravitazione verso l'accordo di tonica sostituendo alla triade un accordo di sei note procedenti per quarte giuste o alterate: base - anche mistica dirà Scriabin - di una costruzione armonica che porta la ambiguità tonale dell'ultima produzione scriabiniana nelle più lontane ed impervie regioni sonore. Non è senza motivo che i brani dedicati, alla musica contenuti nel numero unico (vero e proprio manifesto dell'espressionismo tedesco) «Der Blaue Reiter» (Il cavaliere azzurro), siano equamente suddivisi tra quelli dedicati all'analisi della musica schoenberghiana (e dei due allievi prediletti di Schoenberg, Berg e Webern) e quelli dedicati a Scriabin. Scriabin morì però assai prima dell'artista viennese (nati tutti e due nello stesso anno il russo cessò di vivere nel 1915 alla vigilia della prima guerra mondiale mentre Schoenberg, come si sa, visse di persona l'esperienza della grande guerra antinazista) e forse per questo i contenuti espressivi della sua musica si fermano, anche nelle sue ultime opere, al di qua della trincea espressionista, attestandosi, sembrerebbe, su posizioni poetiche non dissimili da quelle di un altro grande suo quasi contemporaneo, Gustav Mahler. A questo proposito scrive lo Stuckenschmidt nel suo «La musica del XX secolo»: «Per diversi che siano l'atteggiamento intellettuale e l'origine musicale di Mahler e di Scriabin vi sono tuttavia nella loro opera tendenze comuni. Entrambi si sono voluti servire dell'apparato sinfonico per esprimere idee metafisiche. Mahler a questo scopo ha usato il coro e le voci solistiche (ed anche Scriabin come dimostra questa "Prima Sinfonia" N.d.R.). Scriabin dopo aver incorporato nel Prometeo le proiezioni luminose prevedeva per Mysterium un complesso gigantesco di voci e strumenti di una prodigalità che ricorda la mahleriana Sinfonia dei mille. Come l'armonia di Mahler, quella di Scriabin affina ed esaspera il cromatismo del Tristano e dell'Anello. Anzi nelle ultime sinfonie di Mahler il consueto andamento popolare della linea melodica risulta sostituito da un tematismo di carattere espressionistico che si accosta talora all'eccessiva ricchezza tematica dello Scriabin maturo. Questi due compositori sono insieme gli esponenti dell'estremo stadio evolutivo del romanticismo...». E questo accostamento a Mahler è l'elemento che fornisce la chiave per addentrarsi nella complessa espressività scriabiniana centrata, come quella di Mahler, su una aspirazione totale all'assoluto e su una disperata nostalgia per un mondo ormai perduto: una musica figlia di un tempo così evidentemente di crisi.

Ma qui dobbiamo fare un passo indietro per tornare alla Prima Sinfonia. Ricorderemo allora come l'approdo linguistico ed espressivo scriabiniano di cui abbiamo parlato si ponga alla fine di una parabola alla cui base sta Sergej Taneiev, maestro di Scriabin ma a sua volta allievo di Ciaikovski e Nicolaj Rubinstein (sta cioè il versante romantico, «occidentale» e accademico della musica russa) e che passa attraverso il virtuosismo pianistico del musicista che gli fece eleggere a modelli della sua produzione giovanile Chopin e Liszt - e i successivi contatti con la musica francese di Debussy e Ravel e con quella tedesca di Richard Strauss. Questo per dire come questa Prima Sinfonia si collochi su una sorta di spartiacque tra il «vecchio» ed il «nuovo» Scriabin, tra la sua giovinezza e la sua maturità (il brano è del 1900). In questa singolare posizione è possibile cogliere le mille peraltro affascinanti contraddizioni di questo brano; che dal punto di vista formale siamo già mahlerianamente alla crisi dello schema classico - ecco i sei tempi invece dei quattro tradizionali, l'uso delle voci umane nell'ultimo tempo viste come superamento dei tradizionali mezzi espressivi, l'andamento ciclico del discorso musicale con i temi che trasbordano da un tempo all'altro - che pur sembra volersi prendere la sua rivincita con gli scolastici canoni affidati al coro che pur intona parole ancora una volta mahlerianamente evocanti un mondo (ahimè quanto lontano dalla realtà!) nel quale abbiano il sopravvento esclusivamente le pure ragioni dell'arte. Ecco la crisi della tonalità, le rischiose avventure nel mondo del cromatismo wagneriano ma anche le improvvise cadute nell'epigonismo ciaikovskiano. Ecco l'uso degli strumenti al limite delle loro possibilità tecniche - il tema iniziale, ad esempio, affidato ai legni (chi non ricorda l'analogo attacco della Quarta di Mahler?) - il gusto per episodi di taglio cameristico, ma anche lo stile «pompier» di certi passaggi di scuola.

Insomma, ascoltando questa Prima Sinfonia di Scriabin si ha davvero la sensazione sconvolgente della nascita di un mondo: gli ultimi echi ottocenteschi bollono in un magma incandescente con il molto del nuovo che la musica europea andava elaborando in quegli anni. E' il fascino che emana da questa composizione; è anche il segno vivo - ma anche musicologicamente di grande interesse - dei tempi che mutano. Dopo di allora tornare indietro sarebbe stato per tutti un'impresa impossibile.

Gianfilippo De' Rossi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È noto che nell'adesione delle emergenti correnti intellettuali russe, sul finire dell'Ottocento, alla poetica simbolista, tanto il presagio di un'incombente palingenesi di ogni valore artistico e sociale - l'impero zarista maturava già da tempo i germi della sua rovinosa crisi - quanto l'angoscia, autenticamente esistenziale, per il futuro, si applicarono con efficacia dirompente nel ricusare sia le soluzioni positiviste sia le lusinghe naturaliste, facendo pendere la bilancia a favore di concezioni messianiche e religiose del tutto peculiari, ma inscindibilmente legate all'anima russa. Non fu soltanto un motto o un indirizzo, l'asserzione «verrà il messia e sarà russo», quanto il punto d'arrivo d'un itinerario che giungeva dai primordi del paese come nazione, rinvigorito e proiettato sulla ribalta internazionale dalle affermazioni della Russia in ogni campo dello scibile, al coronamento dell'Ottocento. A simiglianza di quanto sì era verificato in Francia, nell'apogeo del secolo dei lumi e nel massimo rigoglio degli Enciclopedisti, così in Russia verso la fine del secolo diciannovesimo l'aspirazione al nuovo fu sollecitata dall'apparire di riviste letterarie come «Il messaggero del nord», «Il mondo dell'arte», «La nuova via» o i vari «Almanacchi», cui collaborarono personalità come Mereskovski, Stanislavski e Diaghilev. Accanto al dibattito sui problemi filosofici, religiosi e artistici, si sviluppò un fecondo movimento di rilettura critica del teatro, non solo classico ma anche di Cechov. I centri d'interesse culturale, che trassero sviluppo dall'affermazione di quei periodici letterari ed artistici, suscitarono un'accesa rivalità tra le due capitali, Mosca e Pietroburgo: se a Mosca il movimento simbolista ebbe una sottolineatura decadentista ed annoverò, tra le sue fila, personalità come Valeri Briusov, Viaceslav Ivanov, Alexander Blok, nei quali l'estetismo si accompagnava strettamente al misticismo, a Pietroburgo si instaurò un vero e proprio «mito» della città, specie nella generazione successiva, quella di Balmont e di Andrei Belyj. Per entrambe le correnti, la prima matrice era d'ascendenza occidentale, cioè da Baudelaire, Verlaine e Mallarmé, conosciuti in Russia specie per merito di Briusov, che tradusse anche vari lavori di Verhaeren, D'Annunzio, Maeterlinck e Oscar Wilde, pur se va riconosciuto in Vladimir Soloviev un autentico precursore del vero e proprio simbolismo «russo», assai più legato, degli autori precedenti, al pensiero religioso e alla problematica di Dostoievski sul tema che sarebbe stata «la bellezza a salvare il mondo», bellezza in senso squisitamente mistico. Un altro personaggio russo fondamentale, in tale contesto, fu Annenski, ritenuto l'anello di congiunzione tra decadenti e simbolisti veri e propri, per la teoria che assegnava all'artista il compito di «liberare e trasfigurare la realtà in un mondo di simboli che rivelassero l'inesauribile ricchezza dell'animo più recondito»; altri miti dei simbolisti russi, da Ivanov a Blok a Belyj, furono quelli dei «mondo delle maschere», dell'«eterno femminino», della «Russia dei sogni come entità lirica», in stretta simbiosi di poesia, teatro e musica. Un altro mito sintomatico del simbolismo russo fu quello del «Cristo che marcia, invisibile ed invulnerabile, alla testa della ronda di notte, nel vento e nella neve». A tutti i protagonisti di quella feconda stagione artistica russa fu comune un fondamentale eclettismo, che si manifestava nella vastità degli orizzonti intellettuali e si estrinsecava in un fraseggiare poetico dagli smaglianti colori, dalla vibrante musica e dalla straordinaria dovizia di metri, di ritmi e di titoli, immaginifici se non funambolici.

È dalle speculazioni teoriche e filosofiche di Soloviev e di Ivanov che trae le sue dirette radici la poetica di Scriabin, ferma restando l'imprescindibile forza del suo genio musicale. Come ha scritto infatti Boris de Schloezer, «Scriabin non ha trasferito in musica soltanto delle idee filosofiche... ma spetta alla sua musica il compito di esaltare quelle idee», da intendersi cioè nel senso che qualsiasi rituale simbolista ed esoterico è stato risolto sul piano della creazione musicale, intesa come arte pura. Nonostante la varietà delle immagini e dei mezzi espressivi, in ogni composizione di Scriabin è rinvenibile però una peculiare sistematica, la cui simbologia investe ogni parametro del suo operare musicale, dal linguaggio al ritmo, all'armonia, alla forma. Ancora da Soloviev Scriabin trasse le seducenti suggestioni dell'idealismo visionario e del mito dell'eros, facendole assurgere ad entità sovrumane, trasferite in simboli, con la convergenza anche di «proiezioni» dall'individuale mondo interiore, dall'inconscio più irrazionale. E Scriabin, alla pari di Ivanov, Belyj e Blok, attribuì all'arte una funzione conoscitiva di carattere quasi medianico, non rifuggendo altresì da speculare nell'ambito teosofico e dell'occultismo, secondo la mediazione svolta da Blavatsky e Swedenborg nella «intellighentsia» culturale dell'epoca: l'arte, ed in primis la musica, come mezzo primario di approccio al «divino», attinto infine con l'«estasi», dopo aver infranto ogni legame con la realtà fenomenica. Nel campo specifico della creatività musicale, Scriabin procedette per varie fasi d'evoluzione stilistica, di forma e di contenuto, partendo però sempre dalla conservazione di certe strutture fornite dalla tradizione, quali i moduli delle Sonate, dei Preludi, delle Danze, che venivano però svuotate all'interno e arricchite di un materiale linguistico nuovo, tendenzialmente frammentario e rapsodico - donde la propensione sempre più marcata per il «poema» - sia nell'aspetto melodico, sia nella componente armonica o ritmica. In maniera non dissimile dall'esperienza perseguita nel genere sinfonico da un Mahler, Scriabin non ricusa mai l'adozione di schemi superati, come appunto le Sinfonie, le Sonate, i Preludi, i Valzer, nell'anelito all'esplorazione di nuovi mondi lessicali ed armonici, sottraendosi però al condizionamento della tradizione formale: d'intesa perfetta con l'estetica dei simbolisti, per Scriabin quelle strutture formali «morte» fungevano da raccordo con il passato, di cui esemplificavano la spoglia esterna della vita «nuova», stimolata interiormente dallo spirito e materiata nei riferimenti simbolici.

Prendeva intanto a definirsi la cosmogonia artistica di Scriabin nell'incontro-scontro dei tre simboli fondamentali, cioè del «caos» inconscio ed istintivo, dell'«eros» volitivo, dell'«estasi» come apoteosi dell'individuo e del suono, dissolti nell'armonia universale. E tutto si realizza nei due ambiti creativi suoi propri, il genere sinfonico e la produzione pianistica. Pasternak ebbe a scrivere nell'«Autobiografia»: «nella stagione prossima alla morte, Scriabin, che ragionando sul superuomo riverberava l'antichissima tendenza russa verso lo straordinario, ha voluto impegnarsi nella ricerca di nuovi mezzi espressivi, come Belyj e altri, perdersi nel sogno di un nuovo linguaggio e frugarne, palparne le sillabe. Scriabin, servendosi degli stessi mezzi dei suoi predecessori, ha rinnovato radicalmente la nostra sensibilità musicale... Un'occasione d'arte è stato Scriabin: come Dostoievski non è soltanto romanziere, come Blok non è soltanto poeta, Scriabin non è soltanto compositore ma eterna occasione di gaudio, celebrazione e sagra personificata della cultura russa». E Faubion Bowers, il suo minuzioso biografo, ha osservato: «Scriabin è diventato ora, nella seconda metà del Ventesimo secolo, finalmente 'attuale' e non è più una solitaria voce nel deserto come al suo tempo. Una nuova generazione si è riconosciuta nel mondo visionario del musicista, non solo nei suoi lavori».

Nella prima produzione sinfonica tutto questo è immanente, ma non soltanto allo stato larvale. Se la «Seconda Sinfonia» (1901) sembra addirittura non avere un preciso assunto programmatico, la presenza di un intervento corale conclusivo conferisce invece alla «Prima Sinfonia» un chiaro supporto per un'interpretazione extra-musicale. Il testo, scritto in russo dallo stesso Scriabin, parla delle capacità catartiche dell'arte, di visioni immaginifiche, di fratellanza universale. Più che alla «Nona Sinfonia» di Beethoven si è indotti a pensare al sinfonismo di Franz Liszt. Comunque la «Sinfonia n. 1 in mi maggiore» è di grandiose proporzioni, espandendosi per tre quarti d'ora di musica, in sei movimenti, con due solisti vocali e un grande coro ed appare caratterizzata da una impervia complessità di scrittura, con motivi ricorrenti, dense macchie armoniche, ardui nodi ritmici - «dopo Scriabin, Wagner sembra uno che biascica come un lattante» scrisse Anatol Liadov su questa sinfonia.

Composta di getto a Mosca, tra l'estate del 1899 e l'aprile del 1900, subito dopo aver scritto la monumentale «Terza Sonata», la «Prima Sinfonia» conobbe la prima esecuzione assoluta l'11 novembre 1900 a Pietroburgo con la direzione di Anatol Liadov: mancava però l'ultimo movimento con le parti vocali. La prima esecuzione integrale trovò luogo invece a Mosca il 29 marzo 1901, sotto la direzione di Vassili Safonov.

La struttura e lo stile della «Prima Sinfonia» non sono immuni da riferimenti all'estrema produzione della Scuola Nazionale russa dell'Ottocento, alle prime sinfonie di Mahler e alle ultime composizioni di Bruckner. Proprio il musicista austriaco sembra esser evocato dall'attacco della sinfonia, un «Lento» in mi maggiore con le sintomatiche note tenute dei corni, i pizzicati dei bassi, il tremolante disegno di violini e viole che preannunciano l'enunciazione del primo tema, assegnato al clarinetto: un tema d'impostazione moderna, con il frequente intervallo di settima maggiore, ripreso poi liberamente da altri strumenti, dagli archi ai flauti, finché si trascorre a un secondo nucleo motivico, di nuovo indicato in partitura come «dolce», affidato al flauto con l'accompagnamento dei legni e nell'osservanza dello schema strutturale più tradizionale. Si torna poi al primo soggetto perché il «Lento» segue lo schema ABA'B'. È assai interessante notare in proposito che un motivo secondario contrapposto a quello principale nella sezione B - e nella variante inclusa in B' - viene letteralmente a tornare all'inizio del movimento conclusivo. Il successivo «Allegro drammatico» funge praticamente da primo movimento, dal momento che il «Lento» precedente può essere assimilato all'Introduzione, secondo gli stilemi del classicismo viennese. Pervaso da robuste tensioni dinamiche, l'«Allegro drammatico» adotta la tipica forma-sonata, con i convenzionali esposizione, sviluppo, ripresa, coda, e coinvolge, nel trattamento del materiale tematico, i violini a terzine con ritmi asciutti, i secondi violini pure a terzine e in densi cromatismi, il clarinetto in un fraseggio di dolce cantabilità. Una breve ricapitolazione funge da ponte tra l'esposizione e l'ampio sviluppo in cui si ascoltano i più stupefacenti effetti e combinazioni strumentali. Al culmine della tensione espressiva avviene il ritorno all'esposizione con una ripresa quasi testuale, mentre nella Coda il primo tema domina in maniera incontrastata e porta a conclusione il movimento in fortissimo. Il «Lento» successivo è un movimento d'assoluta linearità, in forma ternaria ABA con varie articolazioni all'interno di ogni sezione, proponendo i pannelli estremi tre varianti della melodia iniziale del clarinetto, mentre il nucleo centrale, un poco più mosso, altera il breve inciso nell'impiego all'unisono di tutti i legni. Il quarto movimento è un «Vivace» che presenta tutte le caratteristiche dello Scherzo, un tempo vigoroso, folgorante, serrato, quasi scritto in punta di penna. Assai interessante la leggerezza di scrittura dei fiati nonché la ritmica semplice ed incisiva. Nel Trio si ascoltano l'ottavino e il Glockenspiel. Il quinto tempo «Allegro» ripresenta una maestosa e solenne struttura tardo-romantica, secondo la forma-sonata. Sul preclaro esempio del sinfonismo mitteleuropeo di fine Ottocento, il materiale motivico appare chiaramente assunto dai movimenti precedenti ed assegna una omogeneità estrema all'edificio sonoro. Il motivo iniziale, esposto dai violini, altro non è che una variante del soggetto introduttivo del primo movimento e svolge una funzione di coordinamento degli altri soggetti tematici, a loro volta legati da correlazioni ritmico-armoniche ai temi precedenti. Assai suggestiva è la conclusione, in tempo Presto. L'ultimo movimento, «Andante», nella tonalità principale di mi maggiore, oltre ad essere connesso, su tutti i parametri, ai tempi precedenti, adotta una singolare struttura liederistica in cui gli interventi vocali vengono intercalati da brevi interludi strumentali che interessano ora sezioni staccate, ora tutto l'organico orchestrale. E, a conclusione del movimento, e dell'intera «Prima Sinfonia», si ascolta un effuso panegirico, dedicato da Scriabin alla musica e all'arte in generale: le prime strofe sono assegnate ai due solisti, un mezzosoprano e un tenore, le ultime al coro, in una perorazione d'impressionante icasticità.

Luigi Bellingardi

Testo

MEZZOSOPRANO
Sublime dono degli Dei,
dell'armonia legge divina,
dei nostri cor sovrana sei,
del nostro spirito regina!

TENORE
Divina eterna melodia,
tu grazia sei, tu sei passione;
a te sia lode, gloria sia,
o grande splendida visione.

MEZZOSOPRANO E TENORE
Nell'ora cupa del dolor
se triste, oppressa l'alma giace,
ridar tu sai conforto al cor,
a lui recar speranza e pace.

MEZZOSOPRANO
Le forze spente del guerrier
la fiamma tua ridesta, accende
e lo sorregge il tuo poter
a lui coraggio e vita rende.

TENORE
Tu pura gioia e voluttà
ai tuoi seguaci fidi sveli,
e notte e dì risuonerà,
trionfa il coro dei fedeli.

MEZZOSOPRANO E TENORE
Onnipossente spirerà
il soffio tuo la terra inonda
tu doni all'uomo libertà
e l'opra sua sarà feconda.
Il mondo tutto levi un canto,
un inno all'arte echeggerà!

CORO
All'arte gloria, onore e vanto;
sia gloria all'arte, onore e vanto.

(traduzione di Orisana Previtali)


(1) Testo programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 16 novembre 1969
(2) Testo programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 3 ottobre 1979


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Ultimo aggiornamento 3 aprile 2014