Sesta Sinfonia in re minore, op. 104


Musica: Jean Sibelius (1865 - 1957)
  1. Allegro molto moderato
  2. Allegretto moderato
  3. Poco vivace
  4. Allegro molto.
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, timpani, arpa, archi
Composizione: 1923
Prima esecuzione: Helsinki, Conservatorio, 19 febbraio 1923
Edizione: R. E. Westerlund Oy, Helsinki, 1923
Dedica: Wilhelm Stenhammar
Guida all'ascolto (nota 1)

La lunga gestazione della Sesta Sinfonia di Sibelius è passata attraverso diversi stadi e continui ripensamenti. All'inizio, come testimoniano i primi abbozzi del 1914, Sibelius aveva anche immaginato di trasformarla in un "Concerto lirico" per violino e orchestra; in una lettera ad Axel Carpelan del 1918 l'autore la descriveva in maniera nettamente diversa da come poi sarebbe stata: "La Sesta è di carattere selvaggio e appassionato. Cupa con dei contrasti pastorali. Probabilmente in quattro tempi con la conclusione che prende le mosse, tramite il tema principale, da uno scuro sussurro dell'orchestra. - Ma poi aggiungeva - È probabile che cambi i miei programmi a seconda dello sviluppo dei miei pensieri. Come sempre sono schiavo dei miei temi e mi sottometto alle loro esigenze". In una serie di abbozzi del 1919 il progetto si trasformava in un Poema Sinfonico al Kalevala, l'epopea nazionale finlandese, che avrebbe avuto come titolo Kuutar (la dea della luna). I dubbi e le difficoltà incontrate nella composizione di questa Sinfonia portarono Sibelius a un momento di grave sconforto, come annotò nel suo diario il 23 giugno 1920: "La cosa nuova prende forma. Però dà molto lavoro. Se non fossi tanto giù di morale per essere un sinfonista: nessuno infatti cerca di sollevarmi il morale. È una strana sofferenza comporre Sinfonie". E poi il 27 aprile 1922: "La nuova opera fa la sua strada e non sono soddisfatto [...] Io ho ancora tanto da dire. Viviamo in un mondo dove tutti si volgono verso il passato". Ma anche altri guai assillavano Sibelius in quel periodo: le difficoltà finanziarie (Sibelius compose molte opere orchestrali minori e miniature pianistiche per andare incontro alle esigenze degli editori), il tremore delle mani ("la mia mano trema talmente che mi è impossibile dirigere e molto difficile scrivere. Un inferno"), l'inclinazione all'alcool (definito «l'amico più fedele e il più comprensivo. Tutto il resto e tutti gli altri mi abbandonano»). Solo a partire dal settembre del 1922 Sibelius cominciò a lavorare sodo, dedicandosi alla nuova Sinfonia fino all'inizio del 1923, quando la completò dedicandola all'amico Wilhelm Stenhammar, compositore, direttore d'orchestra e suo grande sostenitore. Per poi finalmente dirigerla a Helsinki il 19 febbraio 1923, sul podio dell'Orchestra Filarmonica di Helsinki.

Al confronto con la Quinta, che mostrava una chiara impronta bruckneriana e un tono trionfante, la Sesta appare quasi diafana, trasparente, comunque lontanissima dai caratteri selvaggi e appassionati che il compositore aveva immaginato nel 1918. In un'intervista rilasciata sul giornale svedese "Svenska Dagbladet" qualche giorno dopo la prima, Sibelius descrisse così la sua nuova Sinfonia: "È di carattere e profilo molto tranquilli [...] è basata come la Quinta su delle fondamenta lineari piuttosto che armoniche. Inoltre, come la maggior parte delle altre Sinfonie, consta di quattro movimenti; e tuttavia la loro forma è completamente libera. Nessuno segue un modello ordinario di Sonata [...] Io non penso a una Sinfonia solamente in termini di musica in questo o quel numero di misure, ma piuttosto come a un espressione di un credo spirituale, una fase della mia vita interiore".

Il carattere sospeso, elusivo, fluido di questa Sinfonia (già preannunciato nella Suite caractéristique per arpa e archi op. 100, composta anch'essa nel 1922) è determinato dall'assenza di contrasti, dalla trasparenza delle trame polifoniche (è da ricordare l'ammirazione di Sibelius per la musica di Palestrina), dalla scrittura diatonica e dalle armonie modali (soprattutto dei modi dorico e lidio), dalle ambiguità tonali (la partitura non ha indicazioni di tonalità in chiave, anche se oscilla tra il re minore e il si minore), dalle sfumature e dalle mezzetinte - ottenute con un organico dominato dagli archi, ma anche da qualche timbro particolare come quello del clarinetto basso (che compare solo nell'organico di questa Sinfonia e nella versione originale della Quinta) o dell'arpa (che Sibelius non aveva più usato dopo la Prima). Musica sospesa, ma carica di mistero e di sottili inquietudini, come se qualcosa stesse sempre sul punto di esplodere, si apre con un Allegro molto moderato. Su una insolita trama polifonica degli archi, costruita su un motivo discendente di quattro note, emerge un tema malinconico dell'oboe, dal profilo ascendente, che poi si sviluppa accompagnato da armonie dal sapore arcaico. Tutto il movimento ruota intorno a questi materiali anche se la dimensione contemplativa dell'inizio lascia presto il posto a una musica più animata, piena di allusioni danzanti e popolari, fino alla coda che chiude il movimento in una atmosfera enigmatica, punteggiata da tremoli degli archi gravi e da cupi accordi dei corni.

Il secondo movimento (Allegretto moderato) mostra da subito un'estrema libertà, sin dagli iniziali accordi dei legni che si muovono seguendo una metrica irregolare e un percorso tonale spiazzante, con un fraseggio pieno di fratture, scarti improvvisi di registro, una scrittura spoglia ma di grande seduzione. Questa economia di mezzi è un tratto che contraddistingue tutto il movimento, un intermezzo malinconico e crepuscolare che si basa sulla stessa idea tematica del movimento precedente, e che si conclude con una reminiscenza di frammenti melodici già ascoltati, distribuiti fra archi e legni, e con un passaggio flautato degli archi che evoca il mormorio della foresta del Siegfried wagneriano. In netto contrasto appare quindi il successivo Scherzo (Poco vivace), innanzitutto per la sua nettezza ritmica, con la sua insistente pulsazione trocaica come un ritmo galoppante (che richiama il Poema Sinfonico Cavalcata notturna e alba op. 55). Movimento brusco, brevissimo (si consuma in poco più di tre minuti), in forma di Rondò, tutto giocato sull'alternanza di due temi, su una costante ambiguità modale e tonale, sulla contrapposizione tra i violenti accordi di ottoni e timpani e le plaghe aeree che ricordano lo Scherzo del Sommernachtstraum di Mendelssohn. Il finale (Allegro molto) ha una forma assai più complessa rispetto ai movimenti precedenti, ruota infatti intorno a quattro episodi principali. Si apre su una melodia dal carattere nobile, un tema eroico intonato reiteratamente dai primi violini, dai legni e dai corni, con le risposte degli archi gravi. Nel successivo episodio queste frasi perdono progressivamente la loro simmetria, e la musica acquista contorni drammatici fino a raggiungere un climax di tensione (è anche l'unico vero episodio drammatico di tutta la partitura, nonché l'unico momento che presenti una reale scrittura cromatica). Dopo il terzo episodio (Poco rallentando), che ripristina la calma e reintroduce una scrittura diatonica, insieme al tema iniziale affidato a violini e legni, la splendida conclusione (Doppio più lento) appare come un'evoluzione degli statici blocchi antifonali dell'inizio, che chiudono la Sinfonia in un clima austero, modale, quasi come un ritorno al silenzio.

Gianluigi Mattietti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 8 aprile 2006


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Ultimo aggiornamento 10 giugno 2015