Concerto in re minore per violino e orchestra, op. 47


Musica: Jean Sibelius (1865 - 1957)
  1. Allegro moderato (re minore)
  2. Adagio di molto (si bemolle maggiore)
  3. Allegro, ma non tanto (re maggiore)
Organico: violino solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: 1904 (revisione 1905)
Prima esecuzione: Helsinki, Conservatorio, 8 febbraio 1904
Edizione: Lienau, Berlino, 1905
Guida all'ascolto (nota 1)

Subito successiva alla nascita della Valse triste è quella del Concerto per violino e orchestra op. 47, partitura di impegno ben maggiore e destinata a imporsi come uno dei Concerti violinistici più singolari dell'intero secolo.

La prima idea del Concerto risale anzi al 1899, e Sibelius rifletté sulla concezione della partitura per diversi anni, realizzando poi la maggior parte del lavoro nella seconda metà del 1903. Ma le vicende di questo brano dovevano poi svilupparsi in modo imprevedibile. Sibelius dedicò il Concerto al violinista Willy Burmester, già pnmo violino dell'orchestra di Kajanus e poi impegnato in una carriera europea come virtuoso. Ma Burmester non era disponibile a tornare immediatamente in Finlandia per la prima esecuzione, e l'autore si rivolse dunque a Victor Novàcek, docente al Conservatorio di Helsinki. Al debutto della partitura, l'8 febbraio 1904, Novàcek si mostrò non all'altezza della situazione, e la qualità mediocre della sua prova coinvolse, di fronte alla critica, anche il giudizio sul Concerto. Forse anche per questo Sibelius decise di rielaborare sostanzialmente la sua partitura, rendendo meno complessa la parte solistica e soprattutto più snella l'impostazione formale, principalmente nel primo movimento. In questa nuova versione il Concerto venne eseguito a Berlino nell'ottobre 1905, con Karel Halir come solista e Richard Strauss sul podio. Burmester, offeso per essersi visto preferire un altro violinista, non suonò mai la partitura, che incontrò però un progressivo consenso da parte di molti solisti, fino alla registrazione discografica realizzata negli anni Trenta da Jascha Heifetz, che ne sanzionò la celebrità e l'ingresso a pieno titolo nel repertorio.

Il travaglio creativo del Concerto in re minore op. 47 può essere ben compreso se si tiene presente che, con questa partitura - che costituisce la sua unica esperienza concertistica, a parte alcuni brevi brani minori - Sibelius si trovò di fronte all'esigenza di conciliare due fattori difficilmente conciliabili; da un lato la lunga e illustre tradizione del Concerto romantico, in cui il virtuosismo doveva trovare il suo spazio adeguato, dall'altro il proprio personale stile compositivo, in cui l'idea del neoprimitivismo, di una sobrietà e profondità di pensiero, rifletteva una rivendicazione di identità culturale per la Finlandia. Eppure il Concerto di Sibelius si muove in sostanziale equilibrio fra queste due componenti, con un materiale tematico di atmosfera nordica inequivocabilmente sibeliusiana, e con una scrittura violinistica di grande impegno, che stabilisce un rapporto di intima solidarietà con la compagine orchestrale.

Gran parte dell'originalità della partitura è legata certamente alla sua concezione formale, che rielabora secondo una interpretazione fortemente personale gli schemi classici.

Il violino, ad esempio, fa il suo ingresso subito all'inizio dell'Allegro moderato, senza introduzione orchestrale, dipanando la sua melodia dolce ed espressiva sul morbido accompagnamento degli archi. Inoltre Sibelius fa un uso del materiale tematico - il secondo tema, più incisivo, è esposto dagli archi - che punta su una continua idea di sviluppo; ecco perché, nel primo movimento, manca una vera e propria sezione centrale di sviluppo, che viene sostituita - guardando direttamente all'esempio di Mendelssohn, che nel suo Concerto per violino collocò la cadenza alla fine dello sviluppo - da una grande cadenza del violino solista. La riesposizione è poi abbreviata e conduce a una coda fortemente affermativa.

Alla complessità di costruzione del movimento iniziale si contrappone, nell'Adagio di molto, una concezione formale molto più semplice, una forma binaria con una breve coda. Una introduzione di due clarinetti e altri legni conduce al tema violinistico, esposto con particolare calore nel registro grave; colpisce soprattutto la costruzione perfetta del movimento, dove, in una intonazione prevalentemente lirica, il violino viene portato ad una perorazione sempre più intensa, che procede con un climax seguito da un anticlimax.

Fortissimo è il contrasto con l'apertura del finale, un Allegro ma non tanto che vede il violino sviluppare un tema fortemente ritmico e incisivo su un accompagnamento di timpani e degli archi gravi che ha un carattere rituale e primitivo; ma subito il solista si lancia verso passaggi di pronunciato virtuosismo. E questo finale, in una libera forma di Rondò, è interamente segnato dall'elemento ritmico e da quello virtuosistico - anche nel secondo tema, quasi un Valzer esposto dall'orchestra - e in tutti gli episodi secondari. Si tratta di un esito sul quale si scaricano positivamente le forti tensioni che hanno attraversato la partitura in tutte le sue complesse evoluzioni; ma soprattutto il movimento segna al più alto grado quella conciliazione degli opposti che costituisce il problema compositivo più arduo dell'intero Concerto.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 20 dicembre 2008


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Ultimo aggiornamento 15 maggio 2015