Sonata in sol maggiore per violino e pianoforte, op. 134


Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
  1. Andante
  2. Allegretto
  3. Largo
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Shukovka, 23 ottobre 1968
Prima esecuzione: Mosca, Sala piccola del Conservatorio, 3 maggio 1969
Dedica: David Fyodorovich Oistrach
Guida all'ascolto (nota 1)

«Caro Dodik, con un fremito di emozione ti invio la partitura, la parte del violino e la registrazione preliminare della Sonata per violino. Ieri Vainberg e B. A. Cajkovskij l'hanno suonata su due pianoforti, quasi a prima vista, mentre io registravo. Ho deciso di mandarti questa registrazione, ritenendo che così ti sarà comunque più semplice studiare l'opera. Ti faccio i migliori auguri. Attendo con impazienza il tuo ritorno. Ho proprio voglia di sentire il tuo impareggiabile suono nella mia Sonata. Bacioni». Con questa affettuosa lettera spedita da Mosca e datata 22 novembre 1968 Dmitrij Sostakovic inviava a David Ojstrach, suo caro amico, dedicatario della composizione e celebre virtuoso del secolo scorso, lo spartito di una composizione molto particolare.

La natura del lavoro è stata sapientemente riassunta da Franco Pulcini, diligente biografo del Maestro, con queste parole: «è pagina di una certa modernità, che propende per l'astratta elaborazione: oscura, aspra, diluita in ampi spazi, potrebbe sembrare persino in odore di formalismo. I toni pastorali e popolari del primo tempo, Andante, non temperano l'impressione di una musica (ora lamentosa, ora ispida) che non concede piacevolezze all'ascoltatore. L'Allegretto, tempo centrale dei tre, ha qualcosa di brutale: il pianoforte scandisce spesso sonorità sorde e secche. Il Largo conclusivo è, come il primo movimento, un tema con variazioni. Anche qui il linguaggio è spinoso e poco accattivante».

Da questa riflessione è possibile trarre la natura 'severa' che caratterizza la Sonata, un lavoro complesso e tormentato, forse non molto amato dagli interpreti al pari delle altre grandi creazioni cameristiche di Sostakovic come la Sonata per violoncello, il Trio o il Quintetto con pianoforte. Composizione che nulla concede alla piacevolezza sonora e alla cantabilità di maniera, la Sonata trova la sua principale ragione espressiva nella 'durezza' formale che si percepisce all'ascolto, nel senso di contrasto e disagio che la pervade.

Il primo movimento, Andante, si caratterizza per l'uso di una serie come motivo tematico, lasciato allo stato di embrione melodico, mai permutato nelle forme prescritte dalla dodecafonia. Si ha però la sensazione di una gravitazione tonale nella tonalità di la minore/maggiore. Dopo una breve introduzione pianistica il violino espone un tema espressivo e cantabile accompagnato dal pianoforte all'unisono (o meglio a due ottave di distanza) cui fanno seguito variazioni che impegnano il violinista nella tecnica delle note doppie e in una lunga cadenza in semicrome al registro acuto: la scansione del tempo è sempre oscillante tra il tempo ordinario e altre indicazioni di misura al fine di creare uno stato di indeterminazione ritmica. Tale indeterminatezza ha il sapore dell'insicurezza e della minaccia. L'intellettualismo della costruzione musicale interessa poco Sostakovic; egli mira al risultato emotivo, al transfert delle proprie sensazioni nell'ascoltatore, in una visione in parte ancora romantica della musica.

Il secondo movimento, Allegretto, è concepito come una sorta di dialogo agitato tra i due solisti: «è una musica 'cattiva'» scrive Sigrid Neef «piena di rabbia e di odio. Il tema 'banale' del ritornello è in seguito presentato in tutti i registri e vacilla su basi tonali incerte, somigliando a colori stridenti, come un nulla che si ritiene importante. L'interpretazione non compiace né il gusto del pubblico né un qualsivoglia ideale, estetico, soltanto la verità di una esperienza amara improntata al furore della repressione». Se non proprio il 'furore della repressione', la musica di Sostatavic incarna i fantasmi della difficoltà e del macerante contrasto, nei termini spiritualizzati di cui è capace la musica. Nelle sue punte di umor nero, la musica di Sostakovic dà corpo a un disagio esistenziale crescente, a una dolorosa delusione ideale.

Il terzo movimento, preceduto da un breve Largo introduttivo di otto misure, fa esporre ai pizzicati del violino un tema di undici battute in forma di Passacaglia (danza che nel periodo barocco faceva già da spunto tematico per processi di variazione) che dà il via a una serie di geniali variazioni. Anche il tema di questo Largo, così come nell'Andante introduttivo, è una serie: ma le variazioni, pur caratterizzate da un diffuso cromatismo e da un'armonia fortemente accidentata, si snodano attorno a un tema cromatico non dodecafonico. Quando compare, dunque, la tecnica seriale ha valore di simbolo momentaneo, di dolorosa completezza cromatica, non costituisce un principio formale su cui erigere il brano. La stessa strategia legata a una serialità prettamente tematica è utilizzata nel Quartetto per archi n. 12, composto sempre nel 1968. La vocazione di Sostakovic si indirizza infatti verso il melos, ama approfondire la natura del 'canto'. Lo dimostrerà nelle sue ultimissime opere (muore nel 1975), fatte di lunghe 'percorrenze' melodiche, segno di un estenuato bisogno di comunicazione, di un ultimo appiglio a un universo cullante e salvatore che egli aveva trovato solo nel mondo rassicurante dei suoni.

Simone Ciolfi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 23 maggio 2008


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Ultimo aggiornamento 10 novembre 2011