Sinfonia n. 8 in do minore, op. 65 "Sinfonia della vittoria"


Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
  1. Adagio. Allegro non troppo
  2. Allegretto
  3. Allegro non troppo
  4. Largo
  5. Allegretto
Organico: 4 flauti (3 e 4 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto piccolo, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, tamburo, grancassa, piatti, tam-tam, xilofono, archi
Composizione: Ivanovo, 9 settembre 1943
Prima esecuzione: Mosca, Sala grande del Conservatorio, 4 novembre 1943
Dedica: Yevgeni Alexandrovich Mravinsky
Guida all'ascolto (nota 1)

Sostakovic, lo sanno tutti, non ebbe rapporti facili e tranquilli con il potere politico in URSS e in più di una occasione i responsabili delle questioni ideologiche e culturali del suo paese intervennero per scomunicare o quanto meno censurare ed esprimere riserve nei confronti di alcune composizioni, in cui era evidente in modo netto la volontà dell'artista di affermare le proprie scelte linguistiche e tecniche. Senza voler ripercorrere il lungo itinerario creativo di questo complesso e tormentato musicista, si può dire che quattro furono i casi in cui Sostakovic rimase impigliato tra le maglie della censura ufficiale sovietica. Una prima volta dopo la rappresentazione dell'opera Il Naso, avvenuta a Leningrado il 12 gennaio 1930 e accolta con diffidenza e irritazione dal regime staliniano per quella carica di antiburocratismo, di anticonformismo e di avanguardismo che caratterizza questa singolare e brillante partitura, ricca di umori satirici e di sberleffi timbrici e ritmici, molto vicini ad una certa maniera inventiva stravinskiana e alla musica gestuale concepita dalla coppia Brecht-Weill. La seconda scomunica avvenne nel 1936 a causa dell'opera Lady Macbeth di Mzensk, rielaborata e rifatta poi con il nuovo titolo di Katerìna Izmajlova e aspramente criticata soprattutto per il suo «formalismo estraneo all'arte sovietica».

Poi, nel 1945 levivaci dissonanze racchiuse nella Nona Sinfonia non mancarono di suscitare osservazioni e reazioni non troppo obiettive e benevole verso l'autore. Infine, ma in maniera più sfumata e non ufficiale, nel 1963 fu rimproverato al musicista di aver fatto ricorso nella Tredicesima Sinfonia alle poesie di Evtusenko, toccando un tema molto delicato quale «la questione ebraica», sempre viva e attentamente seguita nei paesi dell'Est (infatti, nell'ultima delle cinque poesie si rievoca con accenti commossi l'assassinio nel 1941 da parte dei nazisti di settantacinquemila ebrei a Babij Yar, presso Kiev).

Con questo non si vuole affatto circoscrivere la personalità di Sostakovic e giudicarla in base alle accoglienze, diciamo così, in negativo e anche in positivo riservate in patria, e in tempi lontani dagli attuali, alla sua musica. Sarebbe un criterio riduttivo e ingeneroso nei confronti di un artista poliedrico, che ha percorso con coerenza la sua strada e non si è piegato alle mode tecnicistiche e ideologiche di un determinato momento storico per assumere la veste di musicista controcorrente. Del resto la sua identità espressiva (per rimanere nel campo delle sinfonie, una forma da lui prediletta) è rimasta sostanzialmente uguale, al di là di certe «uscite» celebrative, legate ad avvenimenti di notevole significato politico: predilezione per i grandi affreschi sonori; accurata elaborazione tematica, con richiami a volte all'esempio mahleriano; attenta valorizzazione del discorso ritmico, tra armonie dissonanti e anche atonali; senso del caustico e del caricaturale, pur tra schiarite melodiche di tono pensoso e meditativo.

Tali componenti linguistiche, o per lo meno una parte di esse, si ritrovano nella Sinfonia n. 8 in do minore, scritta nel 1943, in un momento particolarmente drammatico della storia dell'URSS, impegnata in una guerra massacrante e spaventosa contro la Germania nazista. Anche se il musicista non fa riferimenti specifici ad un programma è evidente come il pesante clima psicologico di quell'anno si accumuli gravemente su tutta la sinfonia, concepita come una dolorosa e accorata riflessione sull'esperienza bellica, nel frangente temporale in cui l'armata del generale von Paulus veniva disintegrata e distrutta a Stalingrado. In modo più netto che nella Settima Sinfonia, la celebre «Sinfonia di Leningrado», Sostakovic si è riallacciato nell'Ottava, dedicata al direttore d'orchestra Eugène Mravinsky, alla tradizione romantica di Berlioz, Liszt, Mahler, Borodin e soprattutto Cajkovskij, realizzando un ampio quadro musicale sull'idea dell'uomo costretto a vivere la tragedia della guerra. Non mancano declamazioni e strappate retoriche, pur nel rispetto in linea di massima di un equilibrio tra forma e invenzione, degno della tempra di sinfonista quale è stato Sostakovic e che gli doveva apertamente riconoscere lo stesso Schoenberg. Ciò si impone sin dall'attacco dell'Adagio iniziale, espresso da un pesante inciso dei bassi di tono oppressivo. Segue una frase inquieta e dal ritmo oscillante dei violini, cui si innesta, come un incubo, un ritmo militaresco sfociante in sonorità sempre più intense sino ad un fortissimo con accordi stridenti e quasi di disperazione, sorretti dai timpani, dalla grancassa e dal tamburo. Su un tremolo pianissimo degli archi si ode una frase elegiaca del corno inglese, sopraffatta dagli squilli di corni e trombe, quasi ad indicare il persistere dell'atmosfera bellica.

L'Allegretto in re bemolle maggiore si apre con un unisono in fortissimo di tutta l'orchestra, sorretto dalle armonie dei legni e degli ottoni, oltre che da un disegno ritmico ben marcato e di andamento marziale. I corni riprendono nel registro grave il martellante rintocco del primo tema, al quale si contrappone una seconda frase di carattere brillante e leggero, esposta dal flauto piccolo. Nel discorso si inseriscono con accenti spiritosi e burleschi il fagotto, il controfagotto e il clarinetto piccolo. I due temi si fondono e si amalgamano in un fitto gioco contrappuntistico dalle accese sonorità orchestrali.

Un ritmo violentemente possente si avverte nell'Allegro non troppo, dove le viole avviano il tema, ripreso dai violini, sugli stacchi dei legni e di tutti gli archi. La tromba spezza il continuum ritmico dell'orchestra con una scala melodica, prima in senso ascendente e poi discendente. La tensione sonora cresce in una isocronia ritmica, spinta dai timpani in una parossistica esaltazione fonica dell'intera orchestra.

Il Largo introdotto da un «tutti» orchestrale, è caratterizzato da una melodia molto espressiva dei violini, accompagnata dai violoncelli e dai contrabbassi su un ritmo ostinato. Dai tremoli degli archi si erge un disegno fiorito a quintine dei due flauti, ripreso dal clarinetto e sempre sorretto dal ritmo dei bassi. Al Largo si unisce, senza soluzione di continuità, l'ultimo tempo Allegretto dove è il fagotto ad esporre il tema principale, ripreso dai violini e dai flauti. Dopo una frase cantabile dei violoncelli si svolge un episodio di tipo contrappuntistico, secondo una densa intelaiatura strumentale ritmico-melodica. Non manca una nuova esplosione orchestrale con la riesposizione del tema, affidato al clarinetto basso in dialogo con il violino, con il violoncello e il fagotto. La musica si spegne su un lontano do maggiore degli archi, un accordo di fiduciosa speranza nel futuro, anche se non è possibile dimenticare all'improvviso la terribile realtà della guerra, distruttrice di ogni bene e valore umano.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 13 marzo 1983


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Ultimo aggiornamento 12 luglio 2012