Sinfonia n. 6 in si minore, op. 54


Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
  1. Largo
  2. Allegro
  3. Presto
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto piccolo, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, tamburello, tamburo militare, grancassa, piatti, tam-tam, xilofono, arpa, celesta, archi
Composizione: Leningrado, ottobre 1939
Prima esecuzione: Leningrado, Sala grande della Filarmonica, 5 novembre 1939
Guida all'ascolto (nota 1)

La Sesta Sinfonia è sicuramente un'opera sui generis all'interno del catalogo sinfonico, o almeno rispetto alle normali attese circa un'idea consolidata che comunemente si ha dello stile di Sostakovic. Dimensioni talmente ampie da sfiorare il gigantismo, uso disinvolto di stilemi retorici, evidenti finalità celebrative in linea con gli intenti del regime sovietico, esasperante realismo timbrico orchestrale, eclettismo poetico nella scelta di testi da abbinare al tessuto strumentale, sono certamente tra i più significativi connotati del ritratto di Sostakovic sinfonista; ma qui, in questa Sinfonia che nasce e muore in meno di 30 minuti, poco più del lampo di un'anima, le linee che tracciano le vie dell'ascolto sono diverse.

Siamo tra l'estate e l'autunno del 1939, non un anno qualsiasi. Sostakovic voleva lavorare ad una Sinfonia corale ispirata al poema Lenin di Maiakovskij, ma il patto Ribbentrop-Molotov appena siglato, l'inizio del conflitto mondiale, l'invasione della Polonia orientale da parte delle truppe sovietiche, le purghe che Stalin effettuava in Unione Sovietica contro gli oppositori interni, tutto un mondo d'inquietudini disperanti avvolgeva il compositore, ed egli non poteva sottrarsi, doveva darne un'immagine musicale, un'immagine altrettanto drammatica e disarmonica. Probabilmente è per questo che la Sesta Sinfonia nella sua insolita struttura tripartita in Largo - Allegro - Presto, è stata definita una Sinfonia "senza testa", specchio di un mondo anch'esso acefalo, un tronco di membra senza intelletto. Sostakovic lascia dunque i modelli classici e romantici della recente Quinta Sinfonia del 1937 e del suo primo Quartetto del 1938, per costruire senza schemi un discorso poetico fatto di suggestioni immediate, in cui si giustappongono il tragico ed il grottesco in pannelli tra loro slegati e volutamente squilibrati, senza un inizio e senza una conclusione.

Il primo movimento, Largo, ha un'ampiezza superiore ai rimanenti due sommati insieme, come se Sostakovic volesse entrare in medias res senza preamboli, spostando il peso del suo discorso su questo primo blocco, per poi sgusciare rapido verso un finale che, in realtà, non c'è. I due temi che lo compongono, agli archi il primo, dolorosamente drammatico, ai fiati il secondo, riflessivo e rassegnato nella sua cantilena, creano un microcosmo tessuto da forti contrasti, anticipando l'opposizione tra questo primo movimento e gli altri due. La sezione intermedia e lo sviluppo oscillano tra il maggiore ed il minore, talvolta preferendo accenti lirici (flauto ed oboe), talvolta accenti drammatici (tromba), in cui riecheggiano meste reminiscenze funebri del mondo di Cajkovskij, Malher e Sibelius. Verso la conclusione del movimento, prima della breve ripresa dei due temi, Sostakovic traccia un solco intorno al dipanarsi dello sviluppo, isolando, nell'assenza di ritmo, un ampio e surreale dialogo tra due flauti in una cantilena di melismi che non possono non condurci, anche se per un istante soltanto, in una sorta di arcadico mondo post-impressionista di forte intensità lirica. Il Largo non si conclude, svanisce all'ascolto, lasciando nell'attesa.

L'Allegro pare ribaltare l'atmosfera. Flauti e archi in pizzicato, ritmo sostenuto: tutto conduce ad un movimento brillante. La tavolozza timbrica dell'orchestra si arricchisce, così come il trattamento tematico risulta più vario ed elaborato rispetto a quello per blocchi del primo movimento. Riappare una vena comico-dissacrante propria del primo irriverente Sostakovic, ed i modelli questa volta sono senza dubbio Prokof ev e Stravinskij, ma colore e ritmo non vogliono automaticamente dire allegria. La dolorosa drammaticità del Largo qui diviene malinconia grottesca, così come altrettanto bene ci definisce il clima del movimento il barbarico crescendo della danza vorticosa che si oppone all'accattivante leggerezza della ripresa del tema iniziale di fiati e archi. Pochi minuti, ed anche questa volta tutto, rapidamente, svanisce. Brillantissimo, il terzo movimento, Presto, in forma di rondò, che aumenta ancora la posta in gioco. Il grottesco diventa delirio e dileggio. Ancora Prokof'ev, ma anche Offenbach, Rossini, ed alla fine, Gershwin. Il dialogo tra le famiglie orchestrali si fa sempre più ricco, così come la richiesta di forza totale dell'intera orchestra per inebriare, stordire l'ascoltatore, forse per nascondergli quella continua vena di dolorosa malinconia che anche qui, a squarci, appare nelle trame di un fitto tessuto ritmico e melodico. Una sorta di banda jazzistica conclude il movimento, e, inaspettatamente, anche l'intera Sinfonia. La prossima, nel 1941, sarà l'infinita Settima Sinfonia, icona di Leningrado, a cui il compositore giunge dopo essersi immerso e purificato nel seno della tradizione russa, orchestrando, tra il 1939 ed il 1940, il paradigmatico Boris Godunov del batjuska Musorgskij.

Giancarlo Moretti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 27 maggio 2000


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Ultimo aggiornamento 22 Luglio 2011