Sinfonia n. 5 in re minore, op. 47


Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
  1. Moderato
  2. Allegretto
  3. Largo
  4. Allegro non troppo
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, clarinetto piccolo, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, tamburo militare, triangolo, piatti, grancassa, tam-tam, xilofono, glockenspiel, 2 arpe, celesta, pianoforte, archi
Composizione: Leningrado, 20 Luglio 1937
Prima esecuzione: Leningrado, Opernaja Studija Konservatorii (Filarmonica), 21 Novembre 1937
Guida all'ascolto 1

Ottimo pianista nato a Pietroburgo il 25 Settembre 1906 e cresciuto nel clima politicamente e culturalmente incandescente che fa seguito alla rivoluzione sovietica, Shostakovitch si inserisce presto tra i migliori compositori russi della sua epoca.

I suoi interessi sostenuti dall' amicizia con il direttore Malko, lo rendono attento agli sviluppi della musica sovietica per la quale cerca un linguaggio direttamente accessibile alle masse pur restando sensibile agli influssi che gli pervengono dal mondo occidentale.

In questo quadro si cimenta in tutti i generi musicali spaziando dalla musica leggera alle musiche da film ed al Jazz, ma è nella musica sinfonica che esprime il meglio di sè fin da quando il 12 Maggio del 1924 viene eseguita la sua Sinfonia n. 1.

La sua carriera si sviluppa con una fortunata serie di composizioni finchè nel 1934 la sua opera "Lady Macbeth del distretto di Mzensk" è accolta con grande favore dal pubblico ma con critiche contrastanti dalla stampa sovietica.

Il 29 Gennaio 1936, dopo una rappresentazione dell'opera alla presenza di Stalin, appare sulla Pravda una serie di editoriali che la accusano di "puro formalismo piccolo borghese" deplorandone le "dissonanze volute", il "confuso accavallarsi dei suoni" e soprattutto la deliberata "volontà di allontanarsi quanto più possibile dall'opera classica", condannando tutto il genere musicale a cui appartiene la composizione e minacciando l'autore di gravi conseguenze.

Fortemente colpito da queste accuse Shostakovich ritira immediatamente la Sinfonia n. 4 che è in fase di prove e nel 1937 presenta la Sinfonia n. 5 come "una risposta positiva e stimolante da parte di un artista sovietico a delle giuste critiche".

La sinfonia si rifà al sinfonismo tardo romantico che stava tornando in auge anche a livello internazionale pur cercando una via personale verso una maggiore semplicità di linguaggio.

Shostakovich sa comunque abbinare i riferimenti al repertorio sinfonico e lirico con quelli specifici della musica sovietica (marcia dei giovani Pionieri nel secondo movimento, musica funebre nel terzo e musica per armonia militare nel finale).

Secondo le parole dell'autore la sinfonia ha per tema lo sviluppo della personalità umana. Al centro della composizione, concepita liricamente da capo a fondo, pone un uomo con tutte le sue esperienze; il Finale risolve gli impulsi del primo tempo e la loro tragica tensione, in ottimismo e in gioia di vivere.

La parte forse più riuscita della sinfonia è il "Moderato" iniziale in cui Sciostakovich tratteggia l' esperienza tragica della coscienza umana nella quale raggiunge un' alta e nobile forza di espressione.

Nel secondo tempo "Allegretto" introduce elementi di una danza spensierata mentre nel "Largo" torna un' atmosfera tesa e penosa, come se l' individuo non fosse ancora riuscito a liberarsi del suo intimo dolore; infine l' "Allegro non troppo" finale risolve in letizia con notevoli effetti strumentali gli elementi drammatici dei tempi precedenti.

Cosa pensare della sinfonia nel suo insieme? Credo la si possa definire la "Sinfonia dei misteri". Scritta sotto gli influssi di cui sopra può essere un reale e sentito allineamento ai dettami della musica sovietica ma forse è una parodia della musica di regime; il suo fascino deriva proprio dall'impenetrabilità di questi equivoci.

Certo è scritta da un genio dotato di prodigiosi doni musicali.

Terenzio Sacchi Lodispoto

Guida all'ascolto 2 (nota 1)

L'evento-shock che colpì l'allestimento della Lady Macbeth del distretto di Mcensk, con il pesante intervento censorio del regime sovietico, rischiò di provocare una spirale tragica per l'esistenza stessa di Sostakovic, non solo per il suo futuro d'artista. Com'è noto, la première di quest'opera il 22 gennaio 1934 a Leningrado e a Mosca riscosse un vistoso successo ma due anni dopo, inaspettatamente, la pubblicazione sulla Pravda (il 28 gennaio 1936) d'un articolo non firmato, ma probabilmente suggerito da Stalin ("Confusione invece di musica") con la condanna dell'opera come "formalista", fece velocemente scomparire dalla programmazione teatrale la Lady Macbeth ed anche il balletto L'onda limpida. Sostakovic dichiarò a Volkov: «Due attacchi della Pravda in dieci giorni: era troppo per un uomo solo. Nessuno ebbe dubbi che sarei stato fatto fuori e devo ammettere che il ricordo di quella prospettiva non mi ha più abbandonato». In conseguenza di quella situazione e con la persistente accusa d'esser "un nemico del popolo", Sostakovic decise di non far più eseguire la sua Sinfonia n. 4, alla cui stesura aveva lavorato dal giugno 1935 al gennaio 1936, completandone l'orchestrazione il 27 maggio in vista della première programmata alla Filarmonica di Leningrado sotto la direzione di Fritz Stiedry. Ancora l'autore ricordò al riguardo: «Anche Stiedry era spaventato a morte perché neppure lui sarebbe stato risparmiato». Quanto all'accusa di "formalismo" va chiarito il significato del termine: «In arte il formalismo è l'espressione dell'ideologia borghese ostile al popolo sovietico. Il partito non ha mai cessato di vigilare e combatte ogni manifestazione per quanto piccola di formalismo. Contro coloro che fossero accusati di essere formalisti, l'autorità poteva far ricorso ad ogni sorta di punizione, compresa l'eliminazione fisica».

Di per sé Sostakovic, scrivendo la Quarta Sinfonia, un lavoro di proporzioni mahleriane e di linguaggio avanzato, si era proposto di dar una risposta ai suoi detrattori in termini creativi, esaltando però certi aspetti della propria arte che allora venivano posti sotto accusa. Nell'immediato, l'intervento di Stalin convinse Sostakovic che la lotta era senza speranza ed allora si decise a sconfessare quel lavoro.

Ed in luogo della Quarta - che sarebbe stata conosciuta la prima volta solamente nel 1961, dopo il "disgelo" kruscioviano - Sostakovic presentò la Quinta Sinfonia. La stesura di questa composizione fu iniziata il 18 aprile 1937 e ultimata tre mesi più tardi, il 20 luglio: in particolare il Largo fu redatto in tre soli giorni. Secondo il pensiero stesso dell'autore, il contenuto ideologico della Quinta fu reso esplicito con l'articolo pubblicato sulla Vecernaja Moskva il 25 gennaio 1938, dal titolo "La mia risposta creativa": «II soggetto della mia Sinfonia è il divenire, è la realizzazione dell'uomo. Perché è lui, l'individuo umano con tutte le sue emozioni e le sue tragedie che io ho posto al centro della composizione». Più oltre Sostakovic aggiungeva: «II mio nuovo lavoro può esser definito una sinfonia liricoeroica. La sua idea principale si fonda sulle esperienze emozionali dell'uomo e sull'ottimismo che vince ogni cosa».

In privato, all'amico Volkov però Sostakovic confessava: «Non crederò mai che qua attorno vi siano ovunque soltanto degli idioti. Può darsi che portino maschere, che preferiscano la tattica della sopravvivenza per poter mantenere un minimo di decoro. Dopo la morte di Stalin tutti dicono: "Non sapevamo, non capivamo. Avevamo fiducia in Stalin. Ma ci hanno ingannati, e quanto crudelmente". Quando ho a che fare con gente che parla in questo modo, vado in bestia. Chi era a non capire, a sentirsi ingannato? Tutti quelli che hanno applaudito la Quinta Sinfonia sembravano gente istruita, scrittori, compositori, attori. Non crederò mai che uno che non capisce niente, possa apprezzare la Quinta. Certo che capivano, capivano quel che stava succedendo attorno a loro e capivano di che trattava la Quinta Sinfonia».

Che i timori di Sostakovic nel 1936 non fossero infondati, se ne ha conferma nel prender in considerazione la cerchia degli amici del musicista, la tragica fine che travolse letterati come Leopold Auerbach, Osip Mandel'stam, Nikolaj Kljuev, Boris Pilnjak ecc. Parecchi scelsero la via di scampo di abiurare, sconfessare il proprio operato, così come aveva fatto nel 1933 Nikolaj Bucharin: ma quest'ultimo, cinque anni dopo, fu fucilato dopo un sommario processo. E proprio mentre Sostakovic attendeva alla stesura della Quinta Sinfonia c'era stato l'arresto, poi il processo agli eroi della Rivoluzione d'ottobre: fra questi c'era un amico carissimo di Sostakovic, il generale Michail Tuchacevskij, violinista dilettante e appassionato di musica, che fu d'improvviso accusato di tradimento e senza indugi passato per le armi.

Mentre attendeva che la Quinta entrasse in programmazione, Sostakovic trovò nella famiglia qualche sollievo: nel 1936 era nata la figlia Galina, due anni dopo Maxim. Nel 1937 assunse l'incarico di professore al Conservatorio di Leningrado, prima con la cattedra di strumentazione, poi con quella di composizione. Aveva anche deciso di variare i generi compositivi: e nel 1938 vide la luce il Quartetto per archi n. 1 a cui diede il sottotitolo di "Primavera".

La prima esecuzione assoluta della Quinta Sinfonia ebbe luogo a Leningrado il 21 novembre 1937, proprio nel giorno celebrativo del ventennale della Rivoluzione d'ottobre, con la Filarmonica diretta da Evgenij Mravinskij. La prima in Occidente si svolse il 14 giugno 1938 alla Salle Pleyel di Parigi, sul podio Roger Désormière. Alla Radio americana il 9 aprile l'aveva presentata Arthur Rodzinsky. La partitura, pubblicata nel 1939, fu edita di nuovo con qualche ritocco alla scrittura strumentale nel 1961. L'organico, rispetto a quello della Quarta, è un po' ridotto, pur risultando molto articolato nel settore delle percussioni in rapporto a talune peculiari screziature coloristiche e intensificazioni dinamiche.

Il primo movimento, Moderato, adotta la forma-sonata con due idee principali e due motivi secondari. L'impronta meditativa dell'avvio è contraddistinta dall'austera frase puntata iniziale, esposta in canone all'ottava dagli archi. Spetta al flauto suggerire la prima idea legata a una figura discendente. Del tutto antitetico nella sua fisionomia lessicale è il secondo tema enunciato dai primi violini con una cantabilità dolcemente lirica. Prima della transizione allo sviluppo fa la sua apparizione un motivo secondario che verrà poi ripreso dal pianoforte assieme agli archi nel registro grave. Nell'intera elaborazione la dialettica esaspera la contrapposizione del materiale tematico mentre nella ripresa è la seconda idea a tornare per prima nella tonalità di re maggiore a canone tra flauto e corno. Il clima generale tende a scemare d'intensità e nella coda, di proporzioni concise, ricompaiono alcune delle figure più significative sino alla dissolvenza conclusiva.

In seconda posizione si ascolta lo Scherzo (Allegretto) caratterizzato da quella sbrigatività, asciutta ed anche un po' grottesca che diverrà una costante del sinfonismo di Sostakovic nella singolare sua pesante scansione ritmica. Lo schema formale è A-B-A1-B1. Nella sezione iniziale si ascoltano due soggetti motivici abbastanza affini nello slancio vigoroso mentre nella sezione successiva viene proposta una sorta di Trio, con l'idea principale intonata dal violino solo in do maggiore sul soffice accompagnamento di arpe e pizzicati dei violoncelli. Pure tale materiale viene poi coinvolto nel successivo incedere orchestrale dagli accenti estroversi e bandistici. Dopo la ripresa della sezione "A" ricompare, in la minore, il motivo del Trio nel canto dell'oboe, travolto infine dallo sberleffo conclusivo.

Il terzo movimento è un Largo in fa diesis minore dall'andamento lento e piuttosto libero: vi si individuano almeno quattro motivi d'un certo risalto espressivo, per lo più improntati ad un'esplicita effusione lirica. Nel commentarlo, Sostakovic scrisse: «II terzo movimento mi ha particolarmente soddisfatto: penso d'esser riuscito a presentare un lento e costante processo evolutivo dall'inizio alla fine». Le prime due idee sono avvolte da una serrata trama polifonica degli archi a otto parti: nel clima espressivo generale si può cogliere il senso d'un commosso epicedio per le vittime del terrore staliniano. Intonata da un flauto appare la terza idea mentre il quarto motivo è affidato all'oboe. Riprende vigore la trama polifonica per attingere un robusto crescendo, al culmine del quale si ascolta la quarta idea in fortissimo proposta dai violoncelli all'acuto su un prolungato tremolo al quale sono interessati anche i clarinetti nel registro grave.

Ritorna a questo punto in evidenza la terza idea intonata dai violini mentre per la struggente conclusione Sostakovic fa riemergere il quarto tema nella rarefatta atmosfera delineata dagli armonici dell'arpa e della celesta.

Il quarto movimento, Allegro non troppo, esalta in maniera clamorosa il brusco effetto di contrasto con la poetica conclusione del Largo. Risulta inequivoco il proposito di Sostakovic di far valere gli accenti più vibranti nell'esaltazione dell'evento celebrativo. Scrisse, a guisa di commento, l'autore: «Mi è stato detto che lo stile del quarto movimento è in qualche modo differente da quello degli altri tre. Devo però dire che non è così perché, nel rispettare la principale idea dell'intero lavoro, il finale dà le risposte a tutte le domande emerse nei tempi precedenti. La conclusione della Quinta offre cioè una soluzione ottimistica e gioiosa agli episodi intensamente tragici degli altri tempi».

A differenza della dichiarazione pubblica, in privato Sostakovic comunicò a Volkov: «Ritengo sia chiaro a tutti quel che "accade" nella Quinta. Il giubilo è forzato, è frutto di costrizione, esattamente come nel Boris Godunov. È come se qualcuno ti picchiasse con un bastone e intanto ti ripetesse: "II tuo dovere è di giubilare, il tuo dovere è di giubilare" e tu ti rialzi con le ossa rotte, tremando, e riprendi a marciare, bofonchiando: "II nostro dovere è di giubilare". Si può dunque definirla un'apoteosi quella della Quinta? Bisogna esser completamente sordi per crederlo. Fade'ev (che fu uno dei principali detrattori di Pasternak, nella carica di primo segretario dell'Unione degli Scrittori, e che, dopo la denuncia dei crimini di Stalin fatta da Kruscev, si suicidò) l'ha afferrato perfettamente e nel suo diario, scoperto dopo la morte, dice che il finale della Quinta esprime l'irreparabilità della tragedia. Deve averlo avvertito con la sua anima di alcolizzato russo».

Dal punto di vista formale, lo schema architettonico del quarto movimento è A-B-A1, nell'impiego di due idee principali, ciascuna corredata da un motivo secondario che, per contrasto, è di stampo lirico. Con l'incalzante alternarsi di accenti trionfalistici, squilli di strumenti a fiato, progressioni e intensificazioni d'estroversa caratura espressiva, dall'Allegro non troppo all'Allegro e poi al Più mosso, martellanti interventi delle percussioni al vertice di crescendi d'impressionante potenza sonora, la Quinta sembra approdare all'epidermica conclusione "ottimistica" preannunciata dall'autore. Ma d'improvviso Sostakovic cambia le carte in tavola perché il parossismo fonico cede il campo ad una pausa di distensione, durante la quale il corno intona la seconda idea ed i violini cantano una frase di stampo lirico, che preannuncia tra varie modulazioni il quarto soggetto, esso pure distensivo. La serenità non si addice però alla Quinta e ben presto riconquista il centro della scena la prima idea principale e la sezione "A1" dal re minore torna perentoriamente al re maggiore per siglare l'intera composizione in un clima di emblematica enfasi retorica.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 3 (nota 2)

«Risposta pratica di un compositore a una giusta critica». Suona due volte tremendo il sottotitolo apposto da Šostakovič alla Sinfonia n. 5 in re minore, composta fra il 18 aprile e il 20 luglio 1937 a Leningrado ed eseguita per la prima volta, sotto la direzione di Evgenij Mravinskij, dall'Orchestra Filarmonica di quella città il 21 ottobre 1937, nel giorno dell'anniversario del Ventennale della Rivoluzione. Tremenda è l'enunciazione in sé, che sembrava ammettere che un compositore potesse fare ammenda per le opere che aveva creato (nel caso di Šostakovič, Lady Macheth del distretto di Mszenk, stroncata un anno e mezzo prima dalla "Pravda" con l'accusa di "formalismo" e di "caos cacofonico") e riabilitarsi agli occhi del regime con una sottomissione ufficiale. Ma ancor più tremendo era il significato sottinteso a quella enunciazione: una sfida orgogliosa e sprezzante all'ottuso richiamo all'ordine del potere, sotto la quale si celava una reazione rabbiosa e un'amara coscienza critica.

L'opera di depistaggio messa in atto da Šostakovič a proposito della Quinta Sinfonia comincia dal sottotitolo ma prosegue con le dichiarazioni sul programma che vi è sotteso: «Il nucleo ispiratore della mia Sinfonia è il divenire, la realizzazione della personalità umana. Al centro della composizione, concepita liricamente da capo a fondo, ho posto un uomo con tutte le sue emozioni e le sue tragedie; il Finale risolve gli impulsi del primo tempo, e la loro tragica tensione, in ottimismo e in gioia di vivere». Queste parole bastarono per far salutare la Sinfonia fin da suo primo apparire come l'emblema dell'ottimismo sfrenato e della fiducia nel progresso imposti dall'avvento del regime stalinista. L'eminente scrittore sovietico Aleksej Tolstoj poté affermare: «La Quinta è la 'Sinfonia del Socialismo'. Comincia con il Largo delle masse che lavorano sottoterra, un 'accelerando' corrisponde alla ferrovia sotterranea: l'Allegro, poi, simboleggia il gigantesco macchinario dell'officina e la sua vittoria sulla natura. L'Adagio rappresenta la sintesi della natura, della scienza e dell'arte sovietica. Lo Scherzo rispecchia la vita sportiva dei felici abitanti dell'Unione. Quanto al Finale, simboleggia la gratitudine e l'entusiasmo delle masse».

Bisognerà attendere la postuma Testimonianza raccolta da Solomon Volkov, uno dei documenti più agghiaccianti e insieme problematici sulla storia della musica e della cultura durante l'epoca staliniana, per comprendere quali fossero lo stato d'animo e la visione del compositore al momento della nascita della Quinta Sinfonia: «Ritengo sia chiaro a tutti quel che 'accade' nella Quinta. Il giubilo è forzato, è frutto di costrizione, esattamente come nel Boris Godunov. È come se qualcuno ti picchiasse con un bastone e intanto ti ripetesse: 'Il tuo dovere è di giubilare, il tuo dovere è di giubilare. . .', e tu ti rialzi con le ossa rotte, tremante, e riprendi a marciare bofonchiando: 'Il nostro dovere è di giubilare, il nostro dovere è di giubilare...' Si può dunque definirla un'apoteosi, quella della Quinta? Bisogna essere completamente sordi per crederlo». Pare di ascoltare, per restare nel tema di questo concerto, l'eco amplificata di un Lied di Mahler.

Come in Mahler, sia pure con caratteri storicamente e idiomaticamente diversi, anche la musica di Šostakovič sembra rappresentare un destino: l'irreparabilità della tragedia. La facciata esterna, levigata, dell'orchestrazione (limpida nonostante il gran numero di strumenti convocati, con l'aggiunta di tutte le percussioni, pianoforte compreso), il rigore della forma-sonata classica e l'economia dei quattro movimenti tradizionali (ma con tempo lento e Scherzo invertiti di posto) faticano a contenere l'urgenza simbolica dei temi e la violenza catastrofica delle sonorità, ma soprattutto ad alleviare il profondo dramma umano che, con accenti fortemente interiorizzati, vi si svolge. In altri termini, la logica formale che governa tutto il tessuto compositivo garantendo strette connessioni fra le varie sezioni, il solido bitematismo su cui si fonda il primo movimento e il rilievo che vengono ad assumere le smorfie sardoniche e l'effusione lirica prima del finale trionfale, non riescono a soffocare la vena tragica e desolata, le taglienti e angolose durezze di questo affresco grandioso e apocalittico.

Il contrasto tra apparenza e realtà si realizza in tutta evidenza nel Moderato iniziale. Un tema degli archi in forma di canone, che ricorda il soggetto della Grande Fuga op. 133 di Beethoven, conferisce un carattere arcaico, quasi sovratemporale, al tortuoso cromatismo nelle cui spire si contorce. Il secondo tema, presentato dai violini primi su un'uniforme fascia accordale in ritmo di marcia funebre degli altri archi, introduce un'atmosfera mitemente lirica: ma il significato di contemplativa, estranea fissità di questa oasi lirica è ribadito dalla tonalità lontana dal re minore d'impianto, prima mi bemolle minore e poi mi maggiore. Gli ingannevoli profili classici di questo movimento precipitano ben presto in tragedia, annunciata dal pianoforte in un clima di montante parossismo sonoro. Il tema iniziale viene sommerso armonicamente, si abbatte, sprofonda, esaspera il contrasto con il secondo tema sino a raggiungere il culmine dell'intensità drammatica. Poi tutto rapidamente si arena per lasciar spazio alla ripresa, in una tensione gravemente rilassata. La conclusione è attonita, sospesa tra la melodia spettrale dell'ottavino e i tocchi assorti della celesta.

Il secondo tempo è un vigoroso Allegretto in forma di Scherzo, nella tonalità di la minore e di chiarissima struttura tripartita. L'esordio marcato di violoncelli e contrabbassi instaura subito il tono espressivo generale, che ricorda quello dei Ländler stravolti di Mahler, con qualche effetto bandistico più pronunciato, forse intenzionalmente caricaturale. Anche qui l'ambiguità (o meglio la duplicità) predomina, suggerendo ora uno struggente ripiegamento nostalgico, ora un brutale sogghigno liberatorio. L'ironia diviene disperata, acre, alla fine quasi sarcastica.

Segue un Largo di trasognata cantabilità, in fa diesis minore e tutto dominato dalle sonorità degli archi. Šostakovič lo considerava il movimento più riuscito, nel quale aveva ottenuto di «costruire un tempo che evolve in modo progressivo dall'inizio alla fine». Nella sua forma aperta si susseguono, in un fitto intreccio polifonico, quattro diverse idee tematiche, tutte di affine carattere lirico, che si completano a vicenda senza contrasti, dando all'insieme un senso di compattezza e di flessibilità. Più elegiaco che mesto, pensoso più che serioso, questo movimento è anche il più personale della Sinfonia, quello nel quale il furore represso si stempera in una specie di commossa sublimazione del dolore. È un momento di introspezione e di pietà, forse un atto di sincera devozione alle ragioni ideali della musica, oltre le contingenze della storia.

La Sinfonia si conclude con un finale Allegro non troppo in re maggiore, in cui i toni appariscenti, positivi e ottimistici, giungono a effetti roboanti. Secondo l'autore il finale della Sinfonia doveva dare «una risposta ottimistica e gioiosa agli episodi intensamente tragici dei movimenti precedenti». Ma la soluzione che propone è una risposta ansiosa e dubbiosa a interrogativi che rimangono tutto sommato insoluti: anzi, riaffermati. Il giubilo che la pervade non è soltanto stridente, ma anche troppo platealmente esibito per essere vero. È, intenzionalmente, l'ottimismo del vacuo e del retorico. Ed è dunque qui che l'irreparabilità della tragedia tocca il suo apice: nella costrizione a doversi fingere a tutti i costi entusiasta, e nel far capire, dietro l'apparenza di un'enfasi convenzionale, quasi volgare, tutto il dramma e la protesta per questa condizione. Il pubblico al quale Šostakovič si rivolgeva avrebbe compreso il messaggio in codice della Sinfonia? Certo che l'avrebbe compreso, avrebbe capito quel che stava succedendo attorno a loro e capito di che trattava la Quinta Sinfonia. Questo, non il compromesso, era il senso del mascheramento.

Nel vortice di un conflitto di proporzioni immani, la musica di Šostakovič ci insegna l'arte umanissima del sopravvivere alle utopie con un minimo di decoro, e la necessità di lottare lucidamente con ogni mezzo, anche con il parziale sacrificio di sé, per tenere in vita la speranza.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 4 (nota 3)

Musicista precocissimo (a vent'anni aveva prodotto quel piccolo gioiello della «Prima Sinfonia») e assai generoso di note, Sciostakovic, per la prodigiosa capacità assimilativa, pareva avviato in gioventù sulla strada dell'eclettismo stravinskiano. Nello stesso tempo permanevano in lui elementi strutturali cari al sinfonismo post-romantico europeo, ai quali rinunciava mal volentieri, malgrado all'interno di essi fossero evidenti segni di insofferenza e di sfaldamento formale, riconducibili alla lezione di Mahler. E a Malher, con alle spalle il gusto del grandioso caro a Strauss e a Wagner, Sciostakovic guardò in modo affatto personale. Naturalmente la figura del musicista sovietico assai complessa come diverse sono le direttrici che segnano il suo cinquantennale arco compositivo, teso fra la raffinatissima e disincantata «Sachlichkeit» dei quartetti e di alcuni mirabili nuclei cameristici — particolarmente individuabili all'interno delle ultime sinfonie — alla, perfino insopportabile, magniloquenza di taluni quadri orchestrali: autentici «murales» da leggersi in chiave storico-politica essendo legati alla specifica situazione del proprio paese. Situazione, come si sa, che aveva raggiunto negli anni trenta momenti drammatici e contraddittori: l'eterno scontro dell'intellettuale con il potere costituito, il tacito assenso alle istituzioni, pena l'isolamento e l'emarginazione, il cedimento, alla fine, verso linee culturali ufficialmente riconosciute. In questi termini, secondo i severi censori, non rientravano opere quali «Lady Macbeth» e il balletto «Limpido fiume», di lettura troppo complicata e addirittura moralmente inaccettabile. Tutto questo accadeva fra il 1930 e il 1934. Il musicista, richiamato all'ordine, sentì allora il bisogno di un immediato riscatto, offeso anche nella sua profonda coscienza di uomo politico e di democratico. Nacque cosi la «Quinta Sinfonia», pietosamente definita da lui stesso «Naturale risposta di un artista sovietico ad una giusta critica». L'occasione era propizia: cadeva giusto il ventennale della Rivoluzione e l'opera doveva costituire una sorta di omaggio musicale a quella significativa data. La «Quinta», eseguita puntualmente nel 1937, riscosse un consenso unanime e ancor oggi gode di grande fortuna. Una fortuna, peraltro, malgrado i condizionamenti del caso, tutt'altro che immeritata rispecchiando quel caratteristico «stile lirico», che contrassegna la maturità artistica del compositore: lo stile del «Quintetto per pianoforte», del «Trio con pianoforte», della successiva «Settima», «Ottava» e «Nona» Sinfonia.

Scritta per un vasto organico, la «Quinta» si avvale dell'aggiunta di arpe, pianoforte e celesta e, nell'insieme, strutture e moduli sintattici prediligono il quieto vivere di una classicità, rivissuta secondo gli schemi cari a tanta produzione del primo dopoguerra: vale a dire sapienti intrecci polifonici, strumentazione abilmente elaborata, sicurezza e fluidità di scrittura.

Il primo tempo, «Moderato» in 4/4, si articola in tre parti: due ampi Adagi che racchiudono un crescendo fortemente ritmato (alla Marcia) annunciato dal pianoforte e dagli ottoni e sottolineato da un pizzicato degli archi. L'ombra di Mahler si estende lungo questa sezione intermedia lasciando un piccolo spazio, nel finale, al Prokofiev del «Nievski». Quindi riaffiora il suggestivo tema melodico annunciato nella prima parte e che era stato affidato agli archi.

Il successivo «Allegretto» in 3/4, svolto in forma di Scherzo-Valzer, ha una scrittura piana e trasparente. I chiari accenti popolareschi rivelano l'adesione di Sciostakovic alle nuove direttive estetiche, di cogliere, cioè, alle radici nazionali della cultura musicale russa, evidenziandone al massimo i caratteri. I risultati sono abbastanza tiepidi se si pensa, ad esempio, alla forza, davvero rigenerata, di tali operazioni in Bartók.

Un vasto «Adagio» in 4/4 apre il terzo tempo. I ricordi mahleriani si intrecciano ancora una volta con Prokofiev («Giardini d'inverno»). Affiora, in questa sezione, la personalità più autentica di Sciostakovic, le sue suggestioni letterarie per le brumosità nordiche, il suo lirismo indefinito e trasparente.

Il conclusivo «Allegro ma non troppo», pure in 4/4, inizia con una marcia e utilizza materiali tematici del primo e del terzo movimento. I colpi della percussione introducono la parte finale che si risolve in una gigantesca fanfara, basata sulla trasformazione del tema che apre il finale con un pieno orchestrale.

Marcello De Angelis


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 7 Febbraio 2009
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 novembre 2000
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale. 1 giugno 1978


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Ultimo aggiornamento 9 dicembre 2018