Sette Romanze su poesie di Alexandr Blok per soprano e strumenti, op. 127


Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
Testo: Alexandr Blok
  1. Pesnja Ofelii (Canzone di Ofelia) – Moderato - per soprano e violoncello
  2. Gamajun ptica veshchaja (Gamayun, uccello profeta) - Adagio - per soprano e pianoforte
    ispirato da un quadro di Viktor Vasnetsov
  3. My byli vmeste (Eravamo insieme) - Allegretto - per soprano e violino
  4. Gorod spit (La città dorme) - Largo - per soprano, violoncello e pianoforte
  5. Burja (Tempesta) - Allegro - per per soprano, violino e pianoforte
  6. Tajnyje znaki (Segni segreti) - Largo - per soprano, violino e violoncello
  7. Muzyka (Musica) - Largo - per soprano, violino, violoncello e pianoforte
Organico: soprano, violino, violoncello, pianoforte
Composizione: 3 Febbraio 1967
Prima esecuzione: Mosca, Sala piccola del Conservatorio, 23 Ottobre 1967
Dedica: Galina Pavlovna Vishnevskaya
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La produzione vocale per organico da camera di Sostakovic è interamente improntata ad una caratterizzazione soggettiva di peculiare intimismo e si sostanzia in una pronunciata attenzione al contenuto, al significato più recondito dei versi del testo, di volta in volta scelti per un intento psicologico ed estetico deliberato. Tale orientamento assume uno spiccato risalto nei cicli dell'estrema sua stagione creativa, organizzati in forma di suite, cioè le Sette Romanze su poesie di Aleksandr Blok op. 127, le Sei poesie di Marina Cvetaeva op. 143 la Suite su versi di Michelangelo Buonarroti op. 145 (formata da undici brani) e le Quattro poesie del Capitano Lebjatkin op. 146. Quattro cicli che attestano la versatilità stilistica del musicista russo ed anche la sua genialità artistica. Nel maggio 1966, pochi mesi prima di compiere i sessantanni, Sostakovic fu colpito da un infarto: da una dozzina d'anni la sua salute aveva dovuto registrare numerosi prodromi d'infermità cardiaca. E già nella primavera del 1958, alla conclusione della stesura dell'Undicesima Sinfonia, dolori fortissimi alle mani avevano progressivamente rallentato e poi cancellato la sua attività solistica pubblica al pianoforte. All'indebolimento muscolare vennero ad accompagnarsi problemi d'osteoporosi, ritenuti una conseguenza d'una specie di poliomielite sofferta da ragazzo, e la complicata rottura d'una gamba. Si rese necessario il ricovero in ospedale per parecchi mesi, nel corso dei quali il compositore non fu assolutamente in grado di scrivere una sola nota, salvo vergare qualche schizzo su un taccuino. In compenso, Sostakovic ebbe l'opportunità di dedicarsi prolungatamente alla lettura, non soltanto di autori russi, anche se la costante sua predilezione per la letteratura poetica lo condusse a rimeditare il senso dei Poemi di Aleksandr Blok, uno dei quali, I dodici, era da lui amatissimo. Nell'inverno 1966 si riaccese d'improvviso l'ispirazione e il 3 febbraio 1967 fu portata a termine la composizione delle Sette Romanze op. 127 che prevedono la presenza d'una voce nel registro di soprano e d'un violino, d'un violoncello e d'un pianoforte in singolari ed inconsuete combinazioni strumentali.

Al pari di quanto era accaduto in anni ormai lontani, ebbe a verificarsi per quest'opera una divaricazione tra la destinazione pubblica - la celebrazione del cinquantesimo anniversario della Rivoluzione d'Ottobre - e l'effettivo stimolo dell'inventiva, con il connesso significato psicologico e personale della musica. Per Sostakovic infatti il ciclo dell'op. 127 venne ad assumere il senso d'un approfondito ripiegamento interiore, quasi egli avesse concepito una partitura per se stesso, escludendola da qualsiasi officialità. Ed in effetti nel precipuo linguaggio di queste Romanze si può individuare l'avvio d'una tendenza lessicale che troverà sbocco nelle ultime composizioni del proprio catalogo, a testimonianza d'una vocazione espressiva fragile ed intimistica, d'una poetica introversa, tormentata ed estenuata.

Tra le liriche di Blok (1880-1921), Sostakovic volle soffermarsi su quelle dei primi anni, per lo più raccolte nel volume Ante Lucem (1898-1900) che riflettono il clima sereno e patriarcale, ottocentesco, della famiglia Beketov in cui il poeta trascorse l'infanzia, presso il nonno materno, a Pietroburgo e a Sachmatovo, nel distretto di Klin della regione di Mosca. Spiccatamente durante la vita a Sachmatovo, a diciotto verste dalla stazione di posta di Podsolnecnaja, il ragazzo Blok individuò in sé la vocazione lirica ma anche una passione per il teatro - e sempre negli anni e negli scritti successivi avrebbe rimembrato i tigli secolari che davano ombra all'antica palazzina, dal cui balcone la vista spaziava sulla limpida lontananza della campagna russa, il giardino folto di serenelle e ciliegi selvatici, di bianchi narcisi e di iridi lillà, un sentiero ripido che conduceva allo stagno e ad un burrone coperto di frutici e luppolo, dietro al quale c'era un grande bosco. Nelle poesie della giovinezza Blok ebbe a riflettere gli influssi di Fet e Polonskij, in genere della letteratura lirica del secondo ottocento d'intonazione elegiaca. Domina in tali sue liriche una diffusa trama nebbiosa, con l'emergere qua e là di inattesi bagliori, di improvvisi squarci su scenari misteriosi ed evanescenti, in un'atmosfera intrisa di languida malinconia. Ma non è raro enucleare in queste liriche anche il riverbero della sensibilità morbosa della madre di Blok, che scriveva poesia per bambini e traduceva in russo testi di autori francesi, e che era sovente soggetta a crisi di esaltazione religiosa e a cupi eccessi d'angoscia che l'inducevano sull'orlo del suicidio. Di tale mondo oscillante tra il misticismo e la psicologia del profondo, Blok è stato un cantore assieme inconsapevole e convinto, ancor prima d'entrare in contatto con le liriche e i testi di Solov'ev e Belyi e di far propri i fondamenti poetici e visionari del simbolismo, e di partecipare alle riunioni d'un gruppo di artisti che assunsero il nome di "Argonauti" all'alba del Novecento russo a Mosca. A differenza però di alcuni suoi colleghi, Blok ha intrecciato, come in sovrimpressione, sugli impalpabili palpiti di arcane lontananze e di misteriosi presagi, alcune improvvise trasmutazioni di segno realistico che hanno sullo sfondo Pietroburgo. Non la Pietroburgo neoclassica dalle architetture solenni ed austere, che fu esaltata da Puskin nel Cavaliere di Bronzo, ma la città che fu alla base dell'ispirazione di Gogol e Dostoëvskij, del Nevskij prospekt ma anche di vicoli sordidi, di taverne grigie e di casupole periferiche e squallide.

Tra le liriche di Blok, Sostakovic scelse e dispose in successione per la propria suite quelle scritte, rispettivamente, l'8 e il 23 febbraio 1899, il 9 marzo 1898, il 23 e 24 agosto 1899, nell'ottobre 1902 e nel settembre 1898; la seconda, in particolare, fu anche ispirata dalla contemplazione d'un quadro di Viktor Vesnecov. Mentre ancora stava attendendo alla composizione della musica, Sostakovic s'era convinto che l'interprete ideale di canto sarebbe stata Galina Pavlovna Visnevskaja, alla quale questo ciclo è dedicato. In sé il musicista coltivò anche il desiderio di sfidare il destino e tornare a suonare in pubblico il pianoforte alla première, senza rendersi conto delle effettive condizioni proprie. Com'era prevedibile, tale intento non potè realizzarsi: e l'infermità di Sostakovic fu aggravata da un'altra rottura d'una gamba, verificatasi il 18 settembre 1967, che lo costrinse di nuovo a letto: e per radio, in diretta dalla Sala Piccola del Conservatorio di Mosca, il compositore ascoltò la prima esecuzione assoluta delle Sette Romanze op. 127 nell'interpretazione della Visnevskaja, con David Oistrakh al violino, Mstislav Rostropovic al violoncello e Moisej Vainberg al pianoforte (in sostituzione del previsto Svjatoslav Richter ammalato) la sera del 28 ottobre 1967. Il successo fu entusiastico e, per bis, l'intero ciclo venne eseguito la seconda volta.

Dell'emozionante clima in cui si svolse quell'esecuzione c'è una commossa testimonianza in uno scritto di Oistrakh (1976): «Ricordo quella sera come un accadimento unico, senza uguali. Partecipare alla resa sonora di quel lavoro fu per me un'esperienza straordinaria anche per l'insolita sua struttura, dal momento che la voce non è mai accompagnata dallo stesso organico, con un'idea, in un certo senso, ascensionale all'acuto: le prime tre Romanze sono accompagnate rispettivamente da violoncello, pianoforte e violino; le altre tre da piano e violoncello, piano e violino, violoncello e violino; solo nell'ultima, a guisa di commiato, il trio strumentale è al completo. Quindi, io dovevo ascoltare, senza suonare, i primi due pezzi: non m'era mai capitata una circostanza del genere e diventai tremendamente nervoso nell'attesa del mio turno d'attacco. Era un periodo che già soffrivo di cuore durante i concerti e avvertivo il dolore nonostante la concentrazione dell'esecuzione: quella sera però avvertii una fastidiosa tachicardia sin dall'avvio della composizione... e sapevo che non potevo piantar tutti in asso e andarmene dalla sala. Sapevo che Sostakovic era chino sulla radio a captare ogni attimo dell'esecuzione e il mio nervosismo cresceva. Poi finalmente toccò a me di suonare e, nonostante il forte dolore al petto, attaccai Eravamo insieme. Le sofferenze cardiache sembrarono attenuarsi, credo d'aver suonato bene, ero molto concentrato. Gli applausi scrosciarono entusiastici alla fine dell'opera e decidemmo di risuonarla tutta».

Canzone di Ofelia fu per Blok il ricordo d'una recita improvvisata in casa Beketov a Sachmatovo, al cospetto dei familiari e di alcuni contadini che ridacchiavano senza comprendere nulla del testo: intabarrato in un mantello corvino, il poeta sosteneva la parte di Amleto mentre Ljuba, la futura moglie sua, era Ofelia. Sostakovic affida, nel Moderato in 3/4, a due voci, canto del soprano e del violoncello, un'intensa e appassionata frase melodica che lessicalmente evoca l'incedere d'una nenia popolare russa: tale connotazione gradualmente scompare e ad essa subentra un andamento ritmico originale che non forza i termini e attinge una dimensione espressiva un po' magica.

Gamajun, uccello profeta, (Adagio in 3/4): la leggerezza cullante del primo episodio di questa suite cambia, in Gamajun, d'improvviso le carte in tavola, trasformandosi in un crudo realismo. Anche in questa pagina però predomina il carattere simbolico: e, pur riallacciandosi ad un accadimento visuale, quello del dipinto di Vesnecov, il carattere della musica più che a raffigurare l'autenticità realistica, mira a dar evidenza ad una connotazione eccitata, iperrealistica. E, di conseguenza, il senso della tonalità che afferma in maniera inequivocabile e, a prima vista, tradizionale, è invece, per il peculiare suo ambito di pensiero, orientato ad una parvenza inusuale. La linea del canto rimane di segno popolaresco: nell'insieme però l'evocazione del volatile sacro della favolistica folclorica russa, oltre a forzare gli accenti nel registro acuto, esplicita una tensione emozionale peculiare nel linguaggio magico, raffinato.

Sul pedale di la bemolle in Eravamo insieme (Allegretto in 4/4) l'incedere del violino propone uno stilema tipico di Sostakovic, l'intervallo di sesta: l'idea del ricordo d'amore senza sofferenza assume il significato d'una rievocazione ossessiva. Ed il canto allude al tracciato sonoro dello strumento ad arco, anche al suo mormorio quasi alle soglie del silenzio, sino alla conclusiva dissolvenza sulla tonalità principale.

La città dorme (Largo in 3/4) è una pagina di straordinaria efficacia. Già nella lirica di Blok l'evocazione di Pietroburgo con le sue nebbie, i rossi crepuscoli che l'avvolgono come le fiamme d'una cromosfera, le notti bianche, le cicatrici degli stagni, suggerisce uno scenario allucinato e sferzato dalle raffiche della Neva. Il pianoforte con i suoi rintocchi gravi, il violoncello con la costante tensione sulle doppie corde che procedono sempre a due voci, e la linea del canto quasi ferma su toni vicini - ove le pause si riferiscono soltanto alle parole - sembrano definire tre piani timbrici che non si incontrano, divenendo il simbolo d'una dilatazione del paesaggio della natura e del paesaggio dell'anima, sino ad assumere un aspetto minaccioso e sofferto.

Tempesta (Allegro in 4/4), la pagina più breve della suite, nel descrivere la furia d'una notte di tregenda, un'immagine cara alla letteratura russa da Lermontov ad Ostrovskij, conferisce la massima evidenza all'omofonia tra pianoforte e violino che dà il senso d'uno stridore inaudito e inaudibile. A tale continuità sonora subentrano delle pause molto efficaci non appena il significato delle parole si fa più introspettivo nel rapporto tra le emozioni intime e la realtà esterna.

Segni segreti (Largo m 3/4) instaura un clima arcano ed enigmatico, tipico dell'arte russa dell'Ottocento, di Puskin principalmente. S'individua nella musica il tentativo riuscito di Sostakovic di cancellare il carattere tonale della melodia con il contrappunto delineato dal violoncello e dal violino che, in modo magistrale, conduce al prevalere di una sorta di totale cromatico atonale, quasi alle premesse della dodecafonia. E tutto questo è funzionale a dare in termini sonori l'equivalente del senso di oppressione del testo, nel senso d'una predestinazione fatale, d'una trasfigurazione ma anche d'una certa drammatica ambiguità.

Musica (Largo in 3/4), ultimo pannello dell'op. 127, è un brano di magia che ha l'impronta del genio. Sostakovic ha precisato d'aver apposto il titolo «Musica perché nei versi si tratta proprio di lei: voglio chiamare così l'intero ciclo perché è stato scritto su parole molto musicali». L'idea di far suonare assieme i tre strumenti accanto alla voce si lega alla concezione formale dell'impiego più parsimonioso possibile dei mezzi d'espressione. E, di conseguenza, il pianoforte ritorna a proporre i suoi rintocchi gravi, mentre il violino e il violoncello intonano note lunghissime e frasi melodiche a volte omofone a volte dialoganti, sempre però estremamente dilatate. Il canto del soprano perde il carattere popolareggiante per condurre l'ascoltatore in un clima insolito e antico, quasi elisabettiano, d'una religiosità laica. Nella sezione centrale il pianoforte con poche note in maniera percussiva sembra suggerire uno squarcio di luce, un grido, mentre alla conclusione i rintocchi in pianissimo ("morendo") assumono l'aspetto di interrogativi esistenziali.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La parte meglio conosciuta della musica di Dmitrij Sciostakovic è il blocco delle quindici Sinfonie: la sinfonia in effetti era per lui molto di più d'un genere musicale come gli altri, era un poema in cui convogliare materiali epici e lirici (e spesso grotteschi), era un manifesto in cui proclamare e difendere i propri ideali, era una risposta ai problemi e alle tragedie del suo tempo, era un luogo in cui gridare la propria speranza e la propria disperazione, era un edificio in cui coabitavano valori musicali, esperienze personali e dichiarazioni politiche, in una sovrapposizione volutamente abnorme, caotica, impudica. Le Sinfonie avevano una dimensione "pubblica", erano il modo per parlare a gran voce e farsi sentire ovunque e da tutti. Ma c'è anche una dimensione "privata" nella musica di Sciostakovic, che ha i suoi capolavori in composizioni intime, introverse, fragili, cupe, pessimistiche, quali gli ultimi Quartetti (il quindicesimo e ultimo consta di sei movimenti, tutti Adagio) e in alcuni cicli di liriche da camera, risalenti anch'essi agli ultimi anni di vita.

Non è solo l'ambito espressivo a contrapporre la musica da camera di Sciostakovic alle sue Sinfonie ma anche l'estrema economia dei mezzi impiegati: nelle Sette romanze su poesie di Aleksandr Blok la voce del soprano è affiancata da tre strumenti, che però suonano insieme soltanto nell'ultima romanza, mentre nelle prime tre intervengono uno alla volta, iniziando dal più grave (il violoncello) per giungere al più acuto (il violino), e nelle tre successive vengono abbinati nei tre diversi modi possibili (violoncello e pianoforte, violino e pianoforte, violino e violoncello).

A queste calcolate scelte timbriche, sempre diverse e sempre così esatte nel definire il colore d'ogni lirica, questo ciclo deve indubbiamente non poco della sua grande forza di suggestione. Ma protagonista è sempre la voce, che raggiunge un'essenziale e scabra efficacia espressiva, memore indubbiamente di Musorgskij, ai cui capolavori Sciostakovic aveva dato negli anni precedenti una nuova orchestrazione.

Il ciclo è concepito non come una raccolta di romanze separate ma come un insieme inscindibile, con un arco espressivo che sale fino all'estrema e concitata drammaticità della quinta romanza {Tempesta) per poi placarsi e spegnersi nell'ultima (Musica). Le poesie qui messe in musica risalgono agli anni giovanili di Aleksandr Blok (1880-1921), uno dei maggiori esponenti del simbolismo russo, molto amato da Sciostakovic, che tornava spesso a rileggerne i versi. Composte rapidamente nelle prime settimane del 1967, le Sette romanze vennero eseguite a Mosca il 18 settembre dello stesso anno, avendo a interpreti straordinari Galina Visnevskaja (cui vennero dedicate), David Oistrakh, Mstislav Rostropovic e Moisej Vainberg, che sostituiva Sviatoslav Richter ammalato: il successo fu enorme e il pubblico chiese e ottenne che l'intero ciclo venisse eseguito un'altra volta seduta stante, come bis.

Nella prima romanza, Canzone di Ofelia, il canto appassionato del soprano ha un tono da nenia popolare russa, che poi si trasforma sia melodicamente che ritmicamente, con un effetto trasognato e irreale, mentre il violoncello prosegue il suo mesto incedere. È netto il contrasto con gli accordi violenti e marcati del pianoforte e gli accenti tesi del soprano in Gamajun, uccello profeta: l'evocazione del favoloso uccello sacro non suggerisce a Sciostakovic prevedibili atmosfere magiche e sospese ottenute con preziosismi timbrici e armonici, ma un'atmosfera tesa ed eccitata. In Eravamo insieme sono le parole stesse di Blok a suggerire il suono d'un violino: questo canto scheletrico, ora ossessivo, ora tremolante e inafferrabile come l'immagine d'un fantasma, sembra ipnotizzare la voce, che ne segue le linee come un lontano riflesso. In La città dorme una singolare estraneità tra le linee e i colori del violoncello, del pianoforte e della voce - che si muove appena su poche note contigue - descrive le luci lontane baluginanti nella nebbia ma è allo stesso tempo il simbolo dell'uggia esistenziale in agguato.

La furia della Tempesta risuona nel grido della voce e nello stridore delle dissonanze del violino e del pianoforte, che si placano a due riprese, quando dalla descrizione della violenza degli elementi i versi passano a riflessioni più interiorizzate. Arcana e ipnotica è la sesta romanza, Segni segreti. Il canto diventa quasi un recitativo, avvolto dal violino e dal violoncello in un'atmosfera armonicamente sfuggente, densa di strani cromatismi e di dissonanze che possono anche suonare dolcissime: un mondo inquietante, ambiguo, allucinante. Musica è il titolo della settima romanza e Sciostakovic pensò per un momento di farne il titolo dell'intero ciclo. Qui il canto ha inflessioni arcaiche, quasi religiose, ed è accompagnato per la prima e ultima volta da tutti gli strumenti. È sempre e comunque un accompagnamento scarno, essenziale: violino e violoncello alternano note tenute e frasi melodiche estremamente dilatate, mentre il pianoforte fa risuonare gravi rintocchi. Ai soli strumenti è affidato l'epilogo, pianissimo e "morendo", che è un'ultima meditazione, una domanda esistenziale senza altra risposta che il silenzio.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Le Sette romanze su poesie di Aleksandr Blok op. 127, vennero composte da Sostakovic nel 1967 per un organico comprendente un trio strumentale (violino, violoncello e pianoforte) e la voce di soprano. In realtà solo nell'ultima romanza, Musica, l'organico è al completo, perché nelle sei romanze che la precedono il soprano è via via accompagnato da una sempre diversa formazione strumentale. Il linguaggio di Sostakovic è qui complesso, quasi ostico nella sua arcaicità; la sensazione finale è di un'umana rassegnazione velata di tristezza. I soggetti delle poesie di Blok, il più grande poeta lirico del Novecento russo, riguardano l'amore, i funebri presagi, l'arte e la musica, i paesaggi russi e ben si sposano alle essenziali nenie melodiche che Sostakovic riserva alla voce.

Il canto di Ofelia rappresenta il dialogo amoroso fra Ofelia, rappresentata dalla voce del soprano, e Amleto, cui dà voce il violoncello. Le due linee, più insinuante quella del violoncello, più triste e malinconica, a volte tesa, quella del soprano, si intrecciano incessantemente per tutta la lirica.

Gamayoun. L'uccello profeta è ispirata al quadro di Viktor Vasnecov, il più noto pittore russo di soggetti mitologici. All'inizio il canto è teso e drammatico, mentre il pianoforte sostiene la voce con regolari semiminime in ottava; poi le drammatiche profezie di Gamayoun vengono sottolineate da Sostakovic con una nervosa linea cromatica al pianoforte, Verso la fine ritorna la calma e la rassegnazione della prima parte, con le semiminime in ottava del pianoforte. L'amara conclusione («la vera profezia risuona dalle labbra bagnate di sangue») viene sottolineata da un accordo fortissimo, una specie di mannaia che cala impietosa sulla scena musicale.

Noi eravamo insieme è un dolce ricordo d'amore; il violino, con una linea melodica serena e lineare, fa da preludio alla voce del soprano, distesa e pacata, come il racconto di un tempo felice ormai passato. Poi la linea melodica del violino si vivacizza in un vorticoso disegno di biscrome a sottolineare «il tranquillo mormorare delle acque». Il finale è tutto strumentale, col violino che riprende la linea melodica e il mormorio in biscrome.

Ne La città dorme ritroviamo la passacaglia, forma cara a Sostakovic: qui pianoforte e violoncello espongono un tema di passacaglia sul quale si leva il canto del soprano, dolce e statico come la città che dorme «avvolta nell'oscurità». Poi il discorso si anima sulle crome staccate del violoncello. Questo piccolo omaggio del suo autore alla città amata, San Pietroburgo, si conclude con la ripresa del tema di passacaglia.

La tempesta, che «crudele ulula e strepita fuori dalla finestra», viene rappresentata in musica da un inquieto motivo del pianoforte sostenuto da un incessante movimento di semicrome del violino. Il canto è drammatico, con la voce impegnata nel registro acuto che segue e asseconda i due strumenti. Poi il movimento precedente si placa e la voce del soprano è come immobile nella ieratica ripetizione della stessa nota: è la pietà e la compassione per le vittime della tempesta.

In Segni nascosti l'introduzione strumentale affidata al violoncello disegna un motivo oscuro e misterioso sul quale si leva il canto del soprano, quasi omoritmico nella sua ieraticità («Ardono i segni nascosti su un muro desolato»). Nel momento più intenso e criptico della poesia, le tre voci si uniscono e il soprano raggiunge il suo apice melodico (sol diesis): «Fuggono i momenti del passato, chiudendo i miei occhi nella paura delle pagine di un freddo libro nel quale vedo una treccia dorata di una vergine sopra di me il cielo si sta abbassando un sogno pesante pesa sopra il mio petto».

La raccolta viene conclusa dalla romanza Musica per soprano, violino, violoncello e pianoforte, nella quale suoni arcani sembrano provenire dal passato. I tre strumenti si producono in una sorta di ostinato sul quale il soprano adagia il suo canto; un tremolo negli archi e dure dissonanze nel pianoforte introducono la parte più concentrata e significativa della lirica: «Accetta, o Sovrano dell'Universo, tra sangue, sofferenza, morte, il calice spumeggiante della passione finale del tuo schiavo indegno». La linea del canto si fa aspra, quasi disperata nel suo delirante proclama. La coda strumentale riprende le movenze ritmiche e melodiche dell'inizio.

Alessandro De Bei


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 8 novembre 1996
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 gennaio 1997
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 201 della rivista Amadeus


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 7 luglio 2017