Kazn Stepana Razina (L'esecuzione di Stefano Razin), op. 119
Poema sinfonico per basso, coro misto ed orchestra
Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
Testo: Yevgeni Yevtushenko
- Moderato non troppo. Poco meno mosso. Andante.
Adagio. Moderato.
Allegro. Allegro. Adagio. Moderato
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 3 oboi (3 anche
corno inglese), 4 clarinetti (4 anche clarinetto piccolo e clarinetto
basso), 3 fagotti (3 anche controfagotto), 4 corni, 3 trombe, 3
tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, frusta, tamburello, tamburo,
grancassa, piatti, tam-tam, campane, xilofono, 2 arpe, celesta,
pianoforte, archi
Composizione: 14 settembre 1964
Prima esecuzione: Mosca, Sala grande del Conservatorio, 28 dicembre 1964
Le gesta del leggendario Stenka Razin, leader cosacco del XVII
secolo, hanno ispirato in più occasioni molti scrittori e
compositori sovietici che vi hanno trovato argomento per valorizzare un
capitolo abbastanza tormentato e significativo della storia, russa.
Infatti si sa che questo «eroe popolare»
guidò nel 1670 una schiera di contadini e dì
servi della gleba in una rivolta contro la zar Alessio (1645-1676),
riuscendo a conquistare anche alcune città, come Tsaritsyn
(oggi Volgograd), Astrakhan, Saratov, Samara, fino a quando, rimasto
sconfitto a Simbirsky, venne fatto prigioniero e giustiziato a Mosca.
La musica composta da Sciostakavic nel 1964 si avvale del
testo del poema omonimo scritto da Evghenij Evtuscenko, che tende ad
idealizzare la figura di Stenta Razin; invece di un bandito generoso,
ma sanguinario, come ce lo ha tramandato la storia, il personaggio
audace e pittoresco di Stenka (diminutivo di Stepan) appare nella veste
di un capo rivoluzionario che cerca di riscattare dalla miseria e dalla
condizione di servaggio il popolo cosacco.
Il poema si articola in quattro parti sviluppate senza
soluzione di continuità: l'animazione della folla moscovita
sulla piazza dell'esecuzione, che viene descritta con accesi colori
strumentali e corali che ricordano sia il «Principe
Igor» di Borodin che il «Boris»
mussorgskiano; il monologo di Stenka Razin (è un Andante espressivo)
che rivendica il diritto dell'uomo alla dignità e alla
giustizia; la scena del patibolo e della condanna a morte del
protagonista, preceduta da un Adagio
orchestrale molto efficace; la sfida beffarda lanciata dagli occhi
ancora vivi della testa mozzata di Stenka contro l'autorità
dello zar, con una ripresa in modo più tagliente e marcato
del tema iniziale che costituisce il leitmotiv di questo
vigoróso affresco corale, che sembra richiamarsi alla
lezione dei grandi modelli operistici della letteratura musicale russa,
senza dimenticare lo stile epico delle cantate di Prokofiev dominate
dal ritmo e dalla percussione.
SOLISTA
E CORO MASCHILE
Or nella bianca Mosca in
festa un ladro
fugge per strada con la ciambella.
Il furore del popolo oggi non lo spaventa.
Le ciambelle non importano...
E' Stenka Razin che portano via!
Lo zar succhia malvasia da una bottiglia,
schiaccia un foruncolo dinanzi allo specchio
e prova un nuovo anello di smeraldo,
e sulla piazza...
E' Stenka Razin che portano via!
Come dietro la botte va il barilotto,
dietro la boiarda rotola il boiardino.
I denti rossicchiano felici un candito.
Oggi è giorno di festa!
E' Stenka Razin che portano via!
Il mercante corre ben sazio di piselli,
vanno al galoppo due saltimbanchi,
s'avvicina lo sbirro mascalzone...
E' Stenka Razin che portano via!
Con passo incerto, più
morti che vivi,
i vecchi con il fazzoletto al collo,
mormorando
qualcosa camminano...
E' Stenka Razin che portano via!
CORO
DI DONNE
Ed anche le ragazze di
malaffare
saltando giù dal letto
ancora ubriache,
impiastricciato il viso di cetriolo
arrivano di corsa
con pruder di gambe...
CORO
E' Stenka Razin che
portano via!
Tra le urla delle mogli degli
arcieri,
sotto gli sputi da tutte le parti,
sopra un carro
malandato sta
con la bianca camicia proprio lui.
SOLISTA
E CORO
Lui tace, non si pulisce
tutto coperto dagli sputi della folla,
soltanto sogghigna amaramente a se stesso:
«Stenka, Stenka, tu sei come un ramo
che ha perduto le foglie.
E tu volevi entrare a Mosca!
Ecco che a Mosca c'entri...
Va bene, sputate, sputate, sputate
tutta la mia gioia è andata in fumo.
Voi sputate sempre, brava gente,
su coloro che vogliono il vostro bene.
Il giudice mi ha picchiato sulla bocca
con la frusta e mi diceva zelante:
«Vuoi essere un ribelle contro il popolo?
Te ne accorgerai presto quale tipo di ribelle tu sia!»
Io resistevo senza volgere lo sguardo.
Con tutta la mia forza rispondevo:
«Contro i boiardi, non è vero?
Un ribelle contro il popolo? No».
Non rinnegherò me stesso,
dato che io ho scelto la mia sorte.
Davanti a voi, uomini, mi pento,
ma non come voleva il giudice.
La mia testa è colpevole.
Vedo, da solo mi sono condannato:
«Ero un ribelle per metà
e avrei dovuto esserlo sino in fondo».
No, gente, non sono colpevole
d'aver impiccato i boiardi alle torri.
Sono colpevole soltanto ai miei occhi
di averne impiccati troppo pochi.
Sono colpevole in un mondo di malvagi
di essere un vero stupido bonaccione.
Sono colpevole, come nemico del servilismo,
di essere anch'io piuttosto servile.
Sono colpevole di volermi battere
per uno zar buono.
Non ci sono buoni zar,
stupido Stenka, ed io
muoio invano!»
CORO
Rimbombano le campane su Mosca.
E' Stenka che portano al patibolo.
Dinanzi a Stenka svolazzando al vento
si muove il grembiule di cuoio del boia
e nelle sue mani, al di sopra della folla,
sta un'azzurra mannaia, azzurra come il Volga.
Appena s'inargenta scivolano nella mannaia
barche, barche, come gabbiani al mattino...
SOLISTA
E CORO
E i visi, la grinta, i
grugnì
dei gabellieri apparvero
come riflessi tra la foschia.
Stenka vide i visi.
C'erano in essi distacco e alterigia
e negli occhi, fermi e liberi,
come in piccole misteriose Volghe
le barche navigavano verso Stenka.
E' un bene sopportare ogni cosa senza lacrime,
la tortura e la ruota,
se presto o tardi gli sguardi
emergono dall'anonimato dei volti.
E tranquillamente (non era vissuto invano)
Stenka posa il capo sul ceppo,
punta il mento sul volto intagliato
e ondina con la faccia in giù:
«Giù la mannaia».
CORO
Ruzzola la testa e rantola
sporca di sangue. Non invano.
Lungo l'ascia non ci sono più barche,
soltanto grumi di sangue...
Non invano! Non invano!
Ehi buona gente, perché non esultate?
In alto i berretti e ballate.
Ma la Piazza Rossa è diventata piccola,
le alabarde appena si muovono.
Perfino i saltimbanchi sono muti.
Nel silenzio di morte saltano le pulci
dalle camicie dei poveri alle pellicce dei ricchi
La piazza ha ormai capito
e tutti si tolgono i berretti,
tre volte rintoccano le campane piccole
e le grosse campane.
SOLISTA
E CORO
Ma la testa pesante di sangue
ancora si rigira e vive.
Dal patibolo sporco di sangue
verso i poveri
lA testa scaglia i suoi sguardi
come lettere anonime...
Accorse in fretta il prete,
voleva chiudere le palpebre a Stenka.
Ma con uno sforzo sovrumano
le pupille respinsero la sua mano.
Sul capo dello zar, terrorizzato
da quegli occhi di demonio,
la tiara del monarca cominciò a tremare,
e brutalmente, senza celare il suo trionfo,
la testa scoppia a ridere allo zar!...
(1)
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Basilica di Massenzio, 8 agosto 1974
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Ultimo aggiornamento 13 marzo 2013