Quintetto in sol minore per pianoforte e archi, op. 57


Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
  1. Preludio: Lento - Poco piu mosso - Lento
  2. Fuga: Adagio
  3. Scherzo: Allegretto
  4. Intermezzo: Lento
  5. Finale: Allegretto
Organico: pianoforte, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1940
Prima esecuzione: Mosca, Sala piccola del Conservatorio, 13 Settembre 1940

Scritto per il Quartetto Beethoven
Guida all'ascolto (nota 1)

Il Quintetto in sol minore fu composto nel 1940: quindi circa cinque anni dopo il notissimo episodio che si inserisce nella produzione musicale di Sciostakovic determinandone la divisione in due versanti distinti. Ci si riferisce alla pubblicazione sulla Pravda di un articolo (pare dettato personalmente da Zdanov) in cui l'opera Katerina Ismailova, che già da due anni raccoglieva sui palcoscenici di Leningrado vasti consensi da parte del pubblico e della critica più avveduta, veniva violentemente e «ufficialmente» attaccata come prodotto di un'arte estranea alle aspirazioni delle masse. Sciostakovic, che fino ad allora aveva dimostrato di sapere e di volere partecipare alle vicende e alle battaglie della musica, alle ricerche più avanzate che si sviluppavano tra le avanguardie violentemente e «ufficialmente» attaccata come prodotto di una musicalità tutta segnata dall'estro e dall'esuberanza del «temperamento», sottopose il suo stile, a partire da quel momento, a radicali mutazioni, dirottando la miracolosa, istintiva naturalezza della sua invenzione musicale verso formule la cui appartenenza alla più consolidata tradizione nei campi dell'armonia e degli schemi costruttivi, e la cui semplicità sotto il profilo della definizione melodica e contrappuntistica, garantivano la immediatezza della comprensione e una fruibilità quasi del tutto aproblematica.

Nella produzione sinfonica di Sciostakovic risulta assai agevole individuare il momento preciso di tale svolta: la Quinta sinfonia, sottotitolata dallo stesso autore Risposta pratica di un artista sovietico ad una giusta critica. Diverso è il caso della musica da camera, in cui la situazione si presenta più sfumata; sia perché in questo settore Sciostakovic aveva investito alcune delle sue migliori risorse di innovatore; sia perché, anche successivamente alla critica e all'autocritica, continuò a coltivare - sebbene sporadicamente - alcuni temi di ricerca.

Tuttavia non è azzardato indicare proprio in questo Quintetto una delle opere più significative dei nuovi ideali di chiarezza e di semplicità verso cui si rivolse la musica di Sciostakovic dopo lo sperimentalismo degli anni giovanili. La limpidezza dell'impianto costruttivo, la linearità dell'invenzione e dell'elaborazione tematica, la trasparenza degli intrecci contrappuntistici, la sobria eleganza della veste timbrica, conferiscono al lavoro un senso di impeccabile scorrevolezza, tale da farci chiedere se quello della «facilità», piuttosto che un limite o un fine imposti in determinate circostanze storiche dalle esigenze di chi ascolta, non sia il dono che Sciostakovic sempre possiede nel distendere la sua scrittura musicale. Quest'ultima si snoda senza il minimo cedimento, a determinare la piena omogeneità della composizione: dall'iniziale Preludio che si conclude con l'esposizione ordinatissima - diremmo «didascalica» - di una fuga, alla schietta animazione dello Scherzo; dal discreto lirismo dell'Intermezzo alla rinnovata vitalità del Finale, che conduce il brano ad un congedo non privo - persino - di una sottile ingenuità.

Gian Piero Francia


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 maggio 1977


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Ultimo aggiornamento 10 settembre 2011