Due pezzi per ottetto d'archi, op. 11


Musica: Dmitri Shostakovich (1906 - 1975)
  1. Preludio - Adagio (re minore)
  2. Scherzo - Allegro molto - Moderato - Allegro (sol minore)
Organico: 4 violini, 2 viole, 2 violoncelli (doppio quartetto - le parti vengono aumentate per l'orchestra d'archi)
Ottoni aggiunti (ad libitum): 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni
Composizione: 1924 - 1925
Prima esecuzione: Mosca, Stanislavsky Art Theatre Mozart Hall, 9 Gennaio 1927
Guida all'ascolto (nota 1)

Scritti all'età di diciotto anni, i Due pezzi op. 11 rappresentano uno dei numerosi interessanti esiti del cosiddetto primo periodo di Sostakovic, quello definito dell'avanguardia e databile tra il 1924 ed 1936. È infatti nel 1924 che Sostakovic iniziò la sua Prima Sinfonia, terminata l'anno successivo, che ne rivelò il talento in patria ed all'estero; è del 1936, invece, l'articolo sulla "Pravda" dal significativo titolo Caos anziché musica in cui si criticava con durezza l'ultima opera del pietroburghese, Lady Macbeth del distretto di Mtsensk del 1932, e si dava il via ad una campagna di "normalizzazione" che ponesse la musica al servizio della propaganda sovietica. Cosa c'era quindi nella musica di Sostakovic che impensieriva i burocrati del realismo socialista tanto da porre al compositore un severissimo aut-aut, o con noi o contro di noi?

Diplomatosi giovanissimo in pianoforte e composizione eccellendo in entrambi i campi, il giovane Sostakovic iniziò la sua carriera di artista socialista in un periodo di grande fermento, in cui la parola futuro era accompagnata da trasformazione, novità e libertà. L'Associazione della Musica Contemporanea tra il 1924 ed il 1929 era riuscita a garantire una buona libertà d'espressione ai compositori che volevano esplorare le strade della cultura musicale "contemporanea" alla ricerca di un linguaggio personale con cui interpretare la rivoluzione socialista; per Sostakovic sono gli anni della Prima Sinfonia, (1925), della Seconda Sinfonia "Ottobre" (1927) e della Terza Sinfonia "1° Maggio" (1929), delle opere Il naso (1928) e Lady Macbeth del distretto di Mtsensk (1932), dei balletti L'età dell'oro (1930) e Il bullone (1931), e dei Due pezzi op. 11 per ottetto d'archi (1924/1925). La personalità musicale di Sostakovic si rivela matura sin dagli esordi, e le composizioni sopra citate possono essere definite giovanili dal punto di vista anagrafico, ma non certo per contenuti. Le suggestioni dei grandi maestri del passato, da Bach a Bruckner si coniugavano a quelle dei maestri contemporanei come Mahler, Hindemith e Stravinsky, per dar modo al linguaggio del giovane compositore di prender forma in maniera robusta ma personale. Questa fu infatti l'impressione riportata da chi all'epoca s'imbattè nelle opere d'esordio di Sostakovic, rimanendo catturato tanto dalla sapienza nella costruzione ed elaborazione del materiale musicale e sonoro, quanto dalla irruenta vitalità che esse sprigionavano, frutto di una visione politica della musica e delle sue potenzialità comunicative nei confronti delle masse popolari. Dell'Occidente si coglie quanto di innovativo la cultura borghese ha saputo produrre, e lo si piega alla volontà del proletariato attraverso il filtro di un' intellighentia, culturale vitalissima che aveva reso la neonata URSS (1922) un grande laboratorio per l'arte del ventesimo secolo. Con il Primo Piano Quinquennale varato da Stalin nel 1929 le cose iniziarono a prendere una piega diversa. Le associazioni degli scrittori (RAPP) e dei musicisti (RAMP) con vedute assolutamente antioccidentali e legate in maniera ortodossa alle volontà del regime, ebbero come linea politica il trasferimento della lotta di classe nell'arte. Tutto ciò che era occidentale e quindi borghese, doveva essere eliminato, ed i punti di riferimento per i musicisti dovevano essere i maestri "rivoluzionari" dell'Ottocento (per esempio Musorgskij), nonché le produzioni musicali del folklore slavo. Questo nuovo indirizzo politico creò notevoli dissidi all'interno della vita musicale sovietica, ed a poco a poco condusse molti, più o meno volontariamente, e tra questi Sostakovic, a modificare nel corso della prima metà degli anni Trenta le proprie posizioni moderniste.

Il secondo periodo di Sostakovic viene infatti definito "normalizzato", in quanto il compositore aderì alla linea del regime divenendone talvolta addirittura un fulgido esempio; l'interpretazione però semplicistica di quegli anni che vanno dal 1935 circa sino alla vigilia della morte nel 1975, come anni di adesione pura e semplice al realismo musicale socialista, deve essere corretta da un'analisi più profonda dell'agire del maestro sovietico, in quanto, come scrive Gianfranco Vinay: «Sostakovic si uniforma alle norme estetiche imposte dal regime ma riservandosi un proprio spazio di autonomia creativa più o meno grande, e più o meno tollerata, secondo i casi ed il momento politico. Questo carattere contraddittorio dell'arte musicale di Sostakovic, che la rende così stimolante per la coscienza estetica occidentale salvandola - talora in extremis - dall'appartenenza ad una dimensione artisticamente subalterna - a quella dell'arte politica e celebrativa - è stato interpretato come risultato di un conflitto tra coscienza estetico-creativa ed un dramma della comunicazione artistica». Lo spazio dell'autonomia è spesso quello della musica da camera, luogo musicale in cui Sostakovic aveva poco lavorato prima del 1944, e che tra il 1960 ed il 1975 diverrà fucina d'idee e riflessioni così com'era stato precedentemente per il genere sinfonico.

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I Due pezzi op. 11 sono la terza composizione nel catalogo della cameristica di Sostakovic. Nel 1923 vi era stato il Trio n. 1 per violino, violoncello e pianoforte, seguito nel 1924 da Tre pezzi per violoncello e pianoforte, andati in seguito perduti; l'opera 11 giunge nel 1925 ed è per ottetto d'archi. I due brani che la compongono, il Preludio e lo Scherzo, portano in nuce alcuni tratti fondamentali dello stile cameristico del compositore pietroburghese; per esempio la forte vena costruttiva del discorso melodico abbinata ad un vitalismo dinamico che tende a privilegiare il dato ritmico del discorso musicale. Il Preludio è un brano fortemente intimistico in cui appaiono come lampi le sonorità del primo Schönberg ed i fraseggi del concertismo bachiano e della sua riproposizione in chiave neoclassica, fusi in un'atmosfera di tenebrosa malinconia che si snoda dalle prime ampie battute attraverso il tema spezzato tra i vari strumenti. I tratti di una già matura riflessività sono dunque qui evidenti, inseriti da Sostakovic nella ricerca di un equilibrio fra tradizione (impostazione del tema) e innovazione (sviluppo). Lo Scherzo ha forse più parenti invece con il motorismo di Prokof'ev e le ricerche che Bartók effettua sulle sonorità degli archi in relazione alla produzione musicale popolare slava. Suoni taglienti e dalla ritmica esasperata pervadono questo breve brano che si pone in netta antitesi espressiva con il precedente Preludio, ed alla statica statuarietà del primo, Sostakovic qui da vita ad una sorta di ipnotica vertigine.

Giancarlo Moretti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 27 ottobre 1995


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Ultimo aggiornamento 17 novembre 2011