Concerto in sol minore per pianoforte e orchestra, op. 10 [15]


Musica: Giovanni Sgambati (1841 - 1914)
  1. Moderato maestoso (sol minore)
  2. Romanza: Andante sostenuto (mi bemolle maggiore)
  3. Allegro animato (sol maggiore)
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, archi
Composizione: Bagni di Lucca, 17 settembre 1879
Edizione: Schott, Magonza, 1880
Dedica: principessa Caroline de Sayn Willgenslein nata Jwanowska
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Concerto per pianoforte e orchestra in sol minore op. 15, scritto fra il I 1878 e il 1880, è un lavoro innovatore e di grande struttura formale, oltre che di forte impatto espressivo, non solo per la pregevole scrittura virtuosistica affidata al pianoforte, ma per l'abile impianto concertante dei movimenti estremi. Il dialogo fra solista e orchestra, il virtuosismo supremo del pianoforte in specie nella grande cadenza del primo tempo e i momenti cameristici fanno di questo concerto uno dei più rilevanti e godibili di tutto il repertorio ottocentesco. Cronologicamente si colloca nell'ambito della grande letteratura concertistica tardo romantica, tra Brahms, Grieg, Saint-Saëns e Cajkovskij (è contemporaneo al Concerto n. 2 in sol maggiore op. 44), ma anticipa al tempo stesso la dialettica tra virtuosismo trascendentale ed espressività tardo-romantica di Rachmaninov, con una ricerca timbrico-armonica foriera del Novecento tonale.

Notevole è l'impianto motivico del primo movimento, un Moderato maestoso nel tono base di sol minore, che vanta un'imponente e articolata introduzione orchestrale; non più un primo e secondo tema, ma un primo e un secondo gruppo tematico spesso con idee motiviche derivate per germinazione l'una dall'altra. Le idee musicali sono sviluppate in un costante rapporto dialettico che fa pensare a una sinfonia concertante o a un concerto-sinfonia, sullo stampo dei due concerti pianistici brahmsiani, del tutto personale però quanto a costruzione, orchestrazione e caratterizzazione timbrico-melodica. La struttura di forma sonata è usata liberamente: tutto sembra svolgersi in presa diretta, senza uno stampo formale precostituito, ma al tempo stesso con una ferrea elaborazione motivica. Riscontriamo temi o cellule generatrici che acquisiscono man mano le più poliedriche sfaccettature timbrico-tematiche sorrette da un'armonia spiraliforme, con uso di modulazioni, svolte armoniche, cromatismi ed enarmonie che rendono prodigiosamente vario tutto il primo ambizioso movimento. Alla severità dell'introduzione e del primo gruppo tematico, in sol minore, fa seguito un secondo gruppo motivico in la bemolle minore (Tranquillo) dalla seducente cantabilità romantica, di un lirismo intimo, molto diverso dalla gestualità melodica dell'opera. L'ingresso del solista è annunciato da due fanfare solenni che possiamo definire come elemento "retorico-tribunizio" nel senso carducciano del termine e interpretare come celebrativo dell'orgoglio unitario postrisorgimentale, ma anche della romanità che in quegli anni prendeva forma nel progetto del Vittoriano: una magniloquenza affidata agli ottoni, che riapparirà nelle due sinfonie e che sembra anticipare le trombe e buccine di Respighi dei Pini di Roma.

La retorica si dissolve del tutto nella splendida enunciazione del secondo tema, cui si aggiungono il violoncello solista e gli altri archi che ci riportano a una scrittura cameristica. Nella parte centrale Sgambati vuol dare meritata tregua al solista, avviando una lunga transizione dell'orchestra in vista della prima grande cadenza pianistica. Segue uno dei momenti più felici e originali di tutto il movimento, il lungo pedale sul fa diesis del solista assieme al quartetto d'archi tematico. L'aspettativa accumulata si scioglie felicemente nelle scale e negli arpeggi del pianoforte, che poco dopo portano a un nuovo climax orchestrale (Più mosso), in una caleidoscopica motilità di figurazioni musicali. La ripresa, col ritorno al sol minore, è del tutto variata e comincia sul secondo gruppo tematico, quello melodico, ma cantato ora dal quartetto d'archi sul fluttuare del solista. La seconda grande cadenza, che riassume tutto il materiale musicale del movimento, è un arduo banco di prova per il solista, mentre la coda è concepita in una scrittura presaga di Rachmaninov.

In contrasto con le ambiziose proporzioni del primo tempo, la Romanza (Andante sostenuto) è una breve e delicata pagina nel tono di mi bemolle maggiore che ci riconduce alla sensibilità elegiaco-contemplativa di Grieg, con un seducente melodismo timbrico. Il finale, Allegro animato in forma sonata, sta come carattere fra un rondò all'ungherese e un saltarello italiano, ma di ritmo binario: da qui la vivacità e il carattere leggero, quasi scherzando. Pagina di sicura originalità, esordisce con una fanfara di corni e trombe sul la bemolle maggiore che, alla quinta battuta, si sposta sul tono d'impianto (sol maggiore) con gli archi in pianissimo. È nella seconda idea tematica che sta la singolarità di questo Finale, un motivo "buffo" che ne costituisce il rompicapo: l'anticipo sull'ultimo ottavo della battuta del movimento successivo, in battere, con una sfasatura tra metro e ritmo che crea un caratteristico andamento zoppicante, quasi a singhiozzo. Sono i legni a iniziare questa sfasatura metrica, mentre il solista si produce in arabeschi di terzine, quindi è il solista a riprendere la figurazione claudicante. Il gioco fra pianoforte e orchestra è leggero, talora impertinente, ma al tempo stesso arduo nell'insieme, e si conclude con una coda che ripropone il movimento a singhiozzo in un crescendo parossistico, fino alla vorticosa stretta finale.

Francesco Attardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Concerto per pianoforte e orchestra in sol minore op. 15 (il numero d'opera fu dato dell'editore in quanto Sgambati lo aveva numerato come op. 10), composto tra il 1878 ed il 1880, è il primo lavoro del genere in Italia nella seconda metà dell'Ottocento. Nel monumentale impianto architettonico di questo concerto, regolarmente diviso in tre movimenti, una scrittura pianistica portata al massimo grado di abilità di invenzione, viene posta al servizio di una forma ampiamente sinfonica. In questo lavoro Sgambati dimostra quindi la sua vocazione di sinfonista, vocazione che confermerà nelle successive tre sinfonie e che era stata anticipata da due overture, Cola di Rienzo del 1866 e Ouverture festosa del 1878; le larghe sezioni orchestrali del primo movimento e la perfetta integrazione pianoforte-orchestra nel movimento finale lo dimostrano.

Il rapporto tra il solista e l'orchestra non è quindi di semplice subordinazione ma di integrazione e contrapposizione, così come avviene, se non ancora in maggior misura, negli altri grandi concerti tardo-romantici. Il primo movimento, Moderato maestoso, inizia con una elaborata e amplissima introduzione orchestrale, cui segue l'entrata del pianoforte, che conquista il suo predominio imponendosi con spavaldo virtuosismo. Questo indirizzo ampliativo del Concerto verso la Sinfonia comporta una struttura costruita sulla giustapposizione di episodi e su un incedere rapsodico del solista, secondo i criteri della tecnica della trasformazione tematica.

I temi quindi, proliferando nelle varie sezioni, acquisiscono di volta in volta un carattere differente: per esempio il primo tema, dal carattere lirico, accennato nell'introduzione, viene riproposto successivamente con accenti drammatici e in seguito trasfigurato in un episodio epico subito dopo la prima cadenza del solista. Il secondo gruppo tematico, in si bemolle maggiore, è composto da due episodi, uno appassionato, l'altro giocoso e arditamente virtuosistico e viene più volte utilizzato in varie soluzioni e contrapposto al primo tema offrendo interessanti esempi di trasformazione ciclica nel corso dello sviluppo. L'ampia cadenza solistica porta alla conclusione, in più sezioni, dagli accenti sempre più drammatici e persino tetri. All'ampia e complessa struttura del primo movimento fa seguito la semplice forma di romanza dell'Andante, che inizia con una breve introduzione orchestrale composta da un motivo di terzine discendenti dei violoncelli tolto da un frammento del secondo tema, cui fanno eco gli interrogativi accordi dei fiati, che preparano l'entrata del solista. Lasciato solo, il pianoforte espone in modo del tutto originale il primo tema, la cui linea melodica è come lacerata, nascosta negli accordi (nella seconda edizione l'Autore distanzia le note del tema, all'interno degli accordi, posponendole di una biscroma al fine di evidenziarlo, certificando una prassi esecutiva dell'epoca). Un commosso breve dialogo fra il pianoforte e l'orchestra porta al secondo tema, di più aperta e serena cantabilità, e dopo un breve episodio drammatico, viene riproposto il primo tema dalle viole all'unisono con il corno inglese, mentre il pianoforte lo accompagna con delicati arabeschi. Il terzo movimento, in sol maggiore, Allegro animato, è in forma-sonata, pur ispirandosi al carattere di rondò. Il ritmo è sincopato, dall'inflessione popolaresca, briosa e spigliata. Pur essendo assimilabile a tanti finali "all'ungherese" del suo maestro Liszt, sembra piuttosto rimandare ad accentuazioni dal carattere più tipicamente italiano di danza romanesca (salterello in 2/4). Una breve cadenza del pianoforte introduce la coda, che, con una successione di passaggi in crescendo conclude il movimento nel più estroverso e flamboyant dialogo fra il solista e l'orchestra. Il concerto fu spesso eseguito dallo stesso Sgambati, anche sotto la direzione di Arturo Toscanini e fra gli altri, dal suo allievo Ernesto Consolo, da Emil von Sauer e da Josè Vianna da Motta sotto la direzione di Ferruccio Busoni.

Francesco Caramiello


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 304 della rivista Amadeus
(2) Tactus: Giovanni Sgambati The Complete Piano Works, Voll. I-VII


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Ultimo aggiornamento 3 marzo 2016