Sonata per pianoforte n. 2 in sol minore, op. 22


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. So rasch wie moglich (sol minore)
  2. Andantino (sol minore)
  3. Scherzo. Sehr rasch und markirt (sol minore)
  4. Rondò. Presto (sol minore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1833 - 1838
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1939
Dedica: Henriette Yoigt
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La stesura della Sonata in sol minore op. 22 fu per Schumann particolarmente lunga e travagliata. Il primo tassello di questo cammino lo rinveniamo nel 1828, quando il musicista scrive il Lied per canto e piano dal titolo In Herbste: due anni più tardi questo stesso lavoro viene trascritto per pianoforte solo, verosimilmente con l'intento di inserirlo in una serie di alcuni brani. Qualche anno dopo, nel 1833, il compositore mette mano al primo e al terzo movimento della Sonata, cui aggiunge come tempo intermedio il Lied del 1828 nella versione per pianoforte. Nel 1835 Schumann scrive anche l'ultimo tempo, ma il giudizio negativo di Clara Wieck, che lo considera di eccessiva difficoltà, lo fa desistere dall'inserirlo nella Sonata e questo movimento originale rimane così parte a sé stante rispetto all'opera. Tale finale verrà poi pubblicato postumo come Presto passionato in sol minore: oggi si usa eseguirlo come pezzo autonomo, oppure ancora lo si inserisce come finale della Sonata op. 22. Alcuni esecutori preferiscono talvolta aggiungerlo al vero finale della Sonata, che Schumann aveva successivamente composto nel 1838. La Sonata completa e con quest'ultimo finale fu pubblicata da Breitkopf & Härtel nel 1839 a Lipsia. Clara poteva finalmente presentarla al pubblico in un concerto a Berlino l'anno successivo.

Virtuosismo, tecnica, spettacolarità, tutto ciò che Schumann in quegli anni aveva potuto cogliere e ammirare del funambolismo di un Paganini che aveva ascoltato in concerto, sono in qualche modo trasferiti idealmente nella Sonata op. 22. Che, naturalmente, non vive di un virtuosismo fine a se stesso, ma ne utilizza gli strumenti per esprimere esemplari contenuti poetici. Lo vediamo sin dal primo movimento, che formalmente riprende sì i modelli tradizionali delle forma-sonata - con la canonica successione di Esposizione, Sviluppo e Ripresa -, ma li definisce con singolare originalità. Da un inaspettato, violento accordo di sol minore, che potrebbe segnare la conclusione e non l'inizio di una pagina sonatistica, si sprigiona come d'incanto un primo tema forte e passionale, un vortice sonoro che avvolge nel suo travolgente perpetuum mobile l'ascoltatore e caratterizza pressoché integralmente il tessuto connettivo del movimento. Schumann scrive Il più presto possibile, e davvero sembra che la concitazione tutto sommerga come un torrente in piena. Per un attimo il secondo tema restituisce un respiro più largo, risultando cantabile e delicato, ma viene presto sopraffatto dall'agitazione generale in un nuovo, turbinante episodio conclusivo dominato dalla più esasperata motricità. Nello Sviluppo è il primo tema a brillare, costituendo il materiale di base di raffinati cambiamenti e trasformazioni, ma al suo interno, inaspettatamente, contiene ulteriori idee, con un delizioso episodio dall'afflato romantico, rielaborato e infine ripreso in una turbinosa progressione. Ancora si affollano nuove soluzioni, con l'elaborazione dell'incipit del primo tema e un fantasmagorico epilogo in cui si accenna anche a una finta ripresa. Quest'ultima invece giunge poco dopo riproponendo «regolarmente» la sequenza del materiale dell'Esposizione, ma con l'aggiunta di un'ultima appendice emblematicamente indicata, se possibile, Schneller (Più mosso) e - nella Coda - Noch Schneller (Ancora più mosso): una contraddizione in termini per una pagina che, naturalmente, più fremente di così non potrebbe essere, ma che risulta indicativa di questa ricerca del sensazionalismo ottenuto attraverso l'annullamento di qualsiasi termine di riferimento, l'abbandono di ogni controllo, il raggiungimento di un autentico spaesamento dentro la velocità pura.

Di fronte a questo energetico, funambolico scatenamento, forte è il contrasto con il secondo movimento, un tranquillo Andantino che sappiamo derivare da un Lied. Lo percorre un tema semplice e nobile, ripreso in una variante a quattro voci, cesellata nella parte interna da un ondulato movimento melodico. La seconda variazione estende questo movimento ornato a due voci raddoppiandole, e progressivamente diviene più elaborativa, funzionando sostanzialmente da Sviluppo interno: la dinamica si fa via via più intensa, la massa accordale si accresce, diviene massiva, coinvolge e tocca l'animo, si fa quasi grido sonoro sino letteralmente a sbriciolarsi sulle ultime, asseverative enunciazioni. Ritorna allora il profilo del tema principale, con le sue figure perlate che paiono scaturire dal tessuto accordale sottostante, mentre la Coda, costruita sul suo stesso calco ritmico, ne prolunga il respiro in un riflesso sfuggente.

Uno Scherzo di straordinaria brevità spazza via ogni illusione: Schumann scrive Sehr rasch und markirt (Molto allegro e marcato), con un'idea principale tormentata e dai contorni fortemente accentuati. Costruita su nervosi ritmi sincopati, appare come un soffio impetuoso e trascinante subito proseguito in un breve segmento dalle atmosfere tzigane. Un elemento motivico di contrasto, ondeggiante e fantasioso, quasi una danza leggera, impalpabile, si inserisce brevemente inframmezzandosi ai ritorni tematici che si ripresentano infatti con l'enunciazione dell'idea principale. È presente anche il nucleo di quello che potrebbe essere considerato un piccolo trio mediano: un tema carezzevole su formule sincopate - che sono la caratteristica di fondo di questo epigrammatico Scherzo - prosegue senza soluzione di continuità in una fase rielaborativa su varianti dell'elemento, prima dell'ultimo, ciclico ritorno dell'idea principale.

L'ultimo movimento conferma i caratteri del primo. È un Rondò dall'impetuoso moto perpetuo, con un primo tema - che conferma lo scenario tonale di sol minore - sciolto dentro un turbinoso movimento in ottave spezzate di semicrome. Come nel primo movimento gli si contrappone un secondo tema contrastante, improvvisamente sospeso, incantato, sviluppato in una melodia calda e sognante nello stile di un corale figurato. Un epilogo, basato su di una turbinosa serie di progressioni e proseguito su altro materiale proveniente dal primo tema, e infine un'ansante figurazione conclusiva completano la sezione eminentemente espositiva del Rondò. Il ciclo si riavvia con la Ripresa del primo, del secondo tema, dell'epilogo, in una sorta di folle corsa che pare portare allo smarrimento completo, alla vertigine sonora. Di nuovo ancora una volta si riaffaccia il primo tema, riproponendo con una circolarità sorprendente il materiale. Pare, questo, un movimento senza fine, e invece, ex abrupto, eccolo infrangersi su pochi, vibranti accordi sospensivi che interrompono bruscamente il flusso: con una trovata teatrale Schumann ha fermato il tempo, ma solo per accumulare energia e riprendere immediatamente. Eccolo infatti segnare Prestissimo. Quasi una cadenza, e poi, poco dopo, Immer schneller und schneller (Sempre più presto e presto): in pochi istanti, quasi per magico effetto, dal riverbero dell'accordo precedente scaturisce un nuovo, mirabolante moto propulsivo che via via si espande e tutto travolge, così che la frase finale è ora un precipitoso, avvolgente vortice di strabiliante virtuosismo.

Marino Mora

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tre Sonate per pianoforte ci ha lasciato Robert Schumann: la prima, in fa diesis minore, op. 11, scritta nel 1833-35 e dedicata a Clara Wieck, la seconda, in sol minore, op. 22, quasi contemporanea della prima, perchè scritta tra il 1833 e il 1838, la terza, infine, in fa minore, che consiste nella revisione operata nel 1853 del Concerto senza orchestra op. 14, scritto nel 1835-36 e dedicato ad Ignazio Moscheles.

Si è lungamente dissertato sulla maggiore o minore disposizione di Schumann alla forma-sonata, in relazione così alle sue Sinfonie orchestrali come alle sue Sonate pianistiche. Dissertazioni destinate ad esiti assai incerti, che non esiste una forma «predeterminata», bensì la forma di ciascuna opera si crea in uno con l'opera stessa. Ed allora può parlarsi d'impaccio formale, come si è fatto nel caso delle Sonate di Schumann, sol quando manchi la finitezza della rappresentazione, e la forma appaia non combaciare col contenuto appunto perchè il contenuto stesso non è interamente «espresso». Il giudizio si riporta insomma ancora una volta al valore dell'opera. Ed il metro non può più essere quello della sua rispondenza a certi canoni scolastici. Cosa significa, allora, dire - come fa il Beaufils - che con la Sonata in sol minore Schumann «attinge la più esatta approssimazione della forma classica»? Significa solo che in questa Sonata la brevità degli sviluppi corrisponde esattamente alle necessità dell'ispirazione. E così nei due movimenti estremi la dinamica assume una sorta d'inesorabile insistenza che rinserra, lasciando nel contempo loro il campo di una maggiore libertà d'espansione, i due movimenti centrali, lo strofico andantino («nel tono di una distesa elegia», lo caratterizza il Terenzio) e il suggestivo, estroso scherzo.

Carlo Marinelli


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 128 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 31 ottobre 1962


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Ultimo aggiornamento 3 marzo 2015