Der Rose Pilgerfahrt (Il pellegrinaggio della rosa), op. 112

Oratorio profano per soli, coro e orchestra

Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
Testo: Moritz Hörn
  1. Die Fruhlinglufte bringen den Liebesgruss - Im frochlichen Ton (la maggiore) - coro e orchestra
  2. Johannis war gekommen - Ziemlich lebhaft (fa maggiore) - tenore e orchestra
  3. Wir tanzen, wir tanzen in lieblicher Nacht - Ziemlich lebhaft (la maggiore) - coro degli Elfi e orchestra
  4. Und wie sie sangen, da horen sie - Dasselbe Tempo (do diesisa minore) - soprano, contralto, tenore, coro e orchestra
  5. So sangen sie, da dammert's schon - Ziemlich langsam (mi bemolle maggiore) - soprano, tenore e orchestra
  6. Bein ein armes Waisenkind - Etwas schneller (fa maggiore) - soprano, contralto e orchestra
  7. Es war der Rose erster Schmerz - Etwas langsamer (re minore) - soprano, tenore, basso e orchestra
  8. Wie Blatter am Baum, wie Blumen vergeh'n - Dasselbe Tempo (sol diesis minore) - soprano, contralto, baritono, coro e orchestra
  9. Die letzte Scholl' hinunterrollt - Um die Halfte langsamer (sol diesis minore) - soprano, contralto, tenore e orchestra
  10. Dank, Herr, dir dort im Sternenland - Gebet. Chor der Elfen. Sehr lebhaft (re bemolle maggiore) - soprano, coro degli Elfi e orchestra
  11. In's Haus des Totengrabers - Nicht schnell, sehr getragen (mi maggiore) - soprano, tenore, baritono e orchestra
  12. Zwischen grunen Baumen schaut des Mullers Haus - Lebhaft (do maggiore) - soprano, contralto
  13. Von dem Greis geleitet - Lebhaft (fa maggiore) - soprano, contralto, baritono, basso e orchestra
  14. Bald hat das neue Tochterlein - Massig (si bemolle maggiore) - tenore e orchestra
  15. Bist du im Wald gewandelt - Frisch (mi bemolle maggiore) - coro e orchestra
  16. Im Wald gelehnt am Stamme - Ziemlich langsam (sol minore) - contralto e orchestra
  17. Der Abendschlummer umarmt die Flur - - Ziemlich langsam (mi bemolle maggiore) - soprano, contralto e orchestra
  18. O sel'ge Zeit, da in der Brust - Ziemlich langsam (sol minore) - coro e orchestra
  19. Wer kommt am Sonntagsmorgen - Ziemlich lebhaft (la bemolle maggiore) - basso e orchestra
  20. Ei Muhle, liebe Muhle - In muntern Tempo (do maggiore) - soprano, contralto e orchestra
  21. Was klingen denn die Horner - Kraftig (fa maggiore) - coro e orchestra
  22. Im Hause des Mullers, da tonen die Geigen - Etwas lebhafter (fa maggiore) - coro e orchestra
  23. Und wie ein Jahr verronnen ist - Langsam (re bemolle maggiore) - soprano, tenore e orchestra
  24. Engelstimmen: Roslein! Roslein! zu deinen Blumen nicht - Etwas bewegter (do maggiore) - coro e orchestra
Organico: soprano, mezzosoprano, 2 contralti, tenore, baritono, basso, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Düsseldorf, 3 aprile - 27 novembre 1851
Prima esecuzione privata: Düsseldorf, residenza di Schumann, 6 luglio 1851
Prima esecuzione pubblica: Düsseldorf, 5 febbraio 1852
Edizione: Kistner, Lipsia, 1852
Trama

Una rosa vuol vivere l'esistenza umana e, per intercessione della regina delle fate, il suo desiderio viene esaudito. Il fiore, tramutato in fanciulla, prende il nome dì Rosa e a sua vòlta riceve in dono dalla regina degli elfì una rosa. Si tratta di un talismano che dona salute ed eterna felicità e dal quale la giovane non dovrà mai separarsi.

Fin dall'inizio del suo pellegrinaggio umano, ella incontra tristi esperienze: respinta ovunque cerchi ospitalità, si rifugia infine in un cimitero dove si sta sotterrando una giovane donna morta per amore. Il becchino è mosso, da pietà per Rosa, la prende con sé, portandola presso certi buoni mugnai (i genitori di colei che egli ha appena seppellito), i quali credono di riconoscere nella nuova arrivata la loro figlia scomparsa. Rosa trova poi marito, dà alla luce un bambino e sacrifica la propria vita regalando a lui il fiore dell'eterna felicità. Congedandosi dal mondo degli uomini, ella non riprenderà l'aspetto primitivo, ma diverrà un angelo accolto in cielo dai serafini.


Guida all'ascolto (nota 1)

Nel primo Ottocento il genere oratoriale, ormai glorioso sia per il contributo händeliano che tornava in voga sia per i lavori più recenti di Haydn, rappresentava una preziosa alternativa al teatro d'opera: meno spese, meno convenzioni a cui asservirsi, libretti migliori (non sempre...), libertà di spaziare in luoghi fantastici e di spostarsi nello spazio e nel tempo senza scontrarsi con la materialità del palcoscenico. Schumann studiò, recensì, ammirò parecchi Oratori degli anni Trenta e Quaranta, ma per parecchio tempo non si risolse a scriverne: ci arrivò per gradi e solo dopo aver saggiato il pianoforte, il Lied, la musica da camera, la Sinfonia. A ben vedere, l'unico vero Oratorio di Schumann è il primo, Il Paradiso e la Peri, anno 1843; l'alternanza di soli e coro, il filo connettivo della vicenda, l'intersecarsi di narrazione e soggettività trovano un equilibrio davvero esemplare per il genere. Il pellegrinaggio della Rosa, ricavato da un poema in versi di Moritz Horn, nasce alcuni anni dopo, nella primavera del 1851, e con connotazioni diverse: innanzitutto la durata è minore, ma in fondo anche molti Oratori di Spohr e di Loewe erano stati piuttosto brevi. Ciò che conta soprattutto è piuttosto la vocazione domestica del lavoro, composto in origine per voci soliste, piccolo coro e pianoforte ed eseguito in questa veste il 6 luglio dello stesso 1851 per festeggiare e inaugurare con gli amici il nuovo appartamento degli Schumann, che si erano trasferiti da poco a Düsseldorf. Quasi costretto dall'entusiasmo degli amici, ma non del tutto convinto, Schumann si decise a orchestrare l'Oratorio solo nel mese di novembre; in questa veste il lavoro potè accedere alle sale da concerto e venir eseguito pubblicamente a Düsséldorf il 5 febbraio del 1852 sotto la direzione di Schumann stesso, da dove prese l'abbrivio di una certa popolarità.

La natura cameristica originaria non potè tuttavia essere rinnegata, nemmeno negli inserti corali, propensi a note di intimismo; non sarà una coincidenza che proprio nell'autunno 1851 Schumann avesse provato a organizzare un coro domestico, formato da quello stesso gruppetto di amici che avevano tenuto a battesimo Der Rose Pilgerfahrt.

Märchen, fiaba: qualificando cosi il suo lavoro, Schumann riconobbe esplicitamente di aver puntato su una dimensione poetica e immaginativa che si discosta dal solco più abituale dell'Oratorio. Non storie bibliche né evangeliche, come nei precedenti illustri di Schneider, Spohr, Mendelssohn; e nemmeno solidi pannelli storici, tipo il Gutenberg di Carl Loewe; nel soggetto schumanniano è protagonista un fiore, una tenera rosellina, sorella spirituale della Violetta di Coethe, dei tanti gigli e fior di loto di Heine che l'arte di Schumann aveva già incontrato più volte nei Lieder. La Rosa (personificata fin dal suo primo apparire) è malata della patologia romantica per eccellenza, la Sehnsucht, imprecisata nostalgia, struggimento che si nutre di se stesso. Già la Peri, l'angelo caduto del precedente Oratorio di Schumann, ne era affetta e non si dava pace fin quando non riusciva a ritrovare l'abbraccio cosmico del paradiso da cui era stata scacciata. La Rosa desidera invece l'amore di un uomo, simile in questo alla Sirenetta di Andersen e come lei pronta a mutare il suo corpo, ad affrontare la sofferenza, l'esclusione dal suo mondo, la mortalità; forte dell'unica protezione di un talismano, sarà pronta a sacrificarlo di propria iniziativa per il bene della sua bimba, avendo ormai scoperto che il vero talismano è l'amore.

Parlando del suo Paradiso e la Perì, Schumann aveva commentato nel suo diario il 28 giugno 1843: "in musica non conosco niente di simile, a parte alcuni Oratori di Loewe, che però hanno un retrogusto troppo didattico". Se il timore era di scivolare nel didascalico, Schumann poteva proprio dirsi contento: anche Der Rose Pilgerfahrt è del tutto immune da enfasi, formulazioni esemplari, caratteri maiuscoli, proprio perché nel suo patrimonio genetico è rimasta indelebile la concezione cameristica originaria, con il pianoforte a far le veci dell'orchestra: tanto da assomigliare molto al cosiddetto Liederspiel, vale a dire, catena di Lìeder, teatro fatto di istantanee liriche. A ciò si aggiunga la dimensione di lontananza prodotta dalla fiaba stessa e il sapore arabeggiante indotto dalla delicata simbologia floreale: ed ecco i contorni armonici (e quelli timbrici, una volta aggiunti al disegno iniziale) perdere spesso la loro plastica evidenza e prediligere soluzioni ambigue, sospensioni, sviamenti che irradiano sul lavoro il fascino sottile dell'orientalismo. Questa, ormai a metà Ottocento, potrebbe sembrare una conquista lessicale abbastanza ovvia; era invece ancora una rarità, dato che ben di rado l'esotismo di testi e didascalie si incarnava poi realmente anche nelle partiture, fatti salvi pochi esempi spesso estranei al teatro, fra cui proprio un brano di Schumann di pochi anni prima, Bilder aus Osten per pianoforte a quattro mani.

Quasi ad anticipare la natura tutta intcriore di questo Oratorio, il suo esordio porta come unica indicazione uno stato d'animo, Im fröhlichen Ton (con accento lieto), ed è infatti fresco e cordiale come un refolo di primavera; le prime note sfiorano in amichevole, forse inconsapevole omaggio un altro celebre incipit, quello mendelssohniano delle Ebrìdi: primo sintomo del clima fiabesco che si verrà delineando. Quando poi entrano due chiare voci femminili e riprendono la melodia intrecciandosi a canone come due giunchi, Schumann ottiene un effetto di trompe-l'oeil che supera in presa emotiva molti tentativi, forse più sofferti e certo più complessi, di appropriarsi del dotto stile imitativo: una delle mete a cui più ambisce lo Schumann degli ultimi anni. Nella stupefatta commozione con cui l'intero coro femminile prende la parola lodando la primavera (O sel'ge Frühlingszeit) sedimenta un ricordo del Fidelio di Beethoven, quando i prigionieri risalgono dal carcere e rivedono la luce del giorno; in questo punto, fra l'altro, l'accompagnamento strumentale sparisce quasi del tutto, con un tocco d'arcaismo che suggerisce leggendarie purezze, da età dell'oro.

Ecco alzarsi la voce narrante (Johannis war gekornmen), per ora affidata al tenore solista, che in questa prima sortita canta un vero e proprio Lied, pieno di screziature raffinate; il senso di contemplazione traspare dalle svolte a sorpresa dell'armonia, con transizioni dirette fra tonalità lontane (fa maggiore-re bemolle) che sembrano portare in un altro mondo. Arrivano infatti le voci degli elfi a schiudere gli orizzonti del sogno e della fantasia: qui Schumann abolisce di fatto i confini fra un brano e l'altro, lasciando che ogni momento scivoli nel successivo e crei un pannello più esteso e unitario. Il vero e proprio 'mormorio della foresta', che comincia a serpeggiare sotto le ultime parole del tenore, prosegue come una danza sotto il coretto di spiriti: voci esclusivamente femminili, a denotare l'immagine positiva e affettuosa che Schumann vuol darne (in diverse Opere romantiche gli elfi hanno più aspre voci infantili o persino timbri maschili di testa). La danza si interrompe sollecita non appena le orecchie fini degli elfi captano una 'melodia lamentosa'; tacciono, e si pongono in ascolto: ed ecco, preannunciata da un cromatismo tanto breve quanto pregnante del pianoforte, una tenera voce sopranile, quella della Rosa, che fra tanta gioia piange perché le è preclusa la sorte dei mortali, che amano e sono amati. La Principessa degli elfi cerca di dissuaderla, ma alla fine si intenerisce ed esaudisce il desiderio, anzi, le dona come talismano una rosa fatata, ammonendola a non perderla, perché all'istante tornerebbe a trasformarsi in fiore. Mentre il dialogo prosegue, gli elfi riprendono a intrecciare le loro danze, e il clima è ancor più immateriale di prima; l'effetto di sospensione si accentua con un minuscolo espediente armonico, quello della 'sesta aggiunta', e la prossimità con un Preludio di Chopin risalta con particolare evidenza nel nitido bianco e nero della versione pianistica; cosi come poco dopo (Und wie ein Blitz) solo la stesura originaria fa spiccare lo svolazzo enigmatico dell'Uccello profeta, protagonista della raccolta pianistica di due anni prima dal fiabesco titolo di Scene del bosco.

Ed ecco Rosa sola nel vasto mondo, come in una fiaba: che però comincia subito male, con la fanciulla che bussa a una casetta e chiede accoglienza col tono schietto e senza fronzoli del canto popolare, ma viene scacciata con piglio bisbetico. Riprende il suo cammino, e il tenore che ce lo racconta (und weiter unter Abendglüh'n) torna sulla melodia di prima (Sie steigt den Hügel still hinauf), a tendere fili connettivi fra scena e scena (per un attimo si sente già fremere qualcosa del canto primaverile di Walther, quando sarà poi bocciato dai Maestri cantori).

Altra casetta, questa volta sul limitare del cimitero; e infatti Rosa ci trova il becchino, col suo vocione fondo di basso-baritono ma l'animo gentile: a lui, con uno stile non lontano da certi Lieder dì Schubert, spetta far capire all'inesperto fiorellino come l'amore possa far soffrire tanto da uccidere. La pulsione greve e ipnotica dei bassi (strumentati saranno tromboni) fa già pensare al Brahms del Begräbnìsgesang (Canto di sepoltura); su questa massa plumbea la voce chiara della protagonista si staglia con un vero grido di dolore: in cui però si misura la lontananza astrale dal mondo del teatro d'opera, e la sintonia con il Lied; anzi, dopo l'attacco del coro funebre Wie Blätter am Baum, la frase di Rosa arieggia un frammento dello schubertiano Nacht una Träume: coincidenze casuali dovute alla lunga frequentazione di pagine amate, utili nondimeno a documentare l'affinità di scrittura e di intenti espressivi.

Dopo il lungo compianto funebre, il narratore riprende il filo del racconto (Die letzte Scholl' hinunterrollt), con una dolcezza che sembra voler accarezzare la spaurita Rosa; e qui riaffiora l'espansività del Paradiso e la Perì, in cui i chiaroscuri erano tendenzialmente più marcati. Il dialogo di Rosa con il becchino, che le parla della propria vedovanza, si tinge di una trepidazione prewagneriana nell'uso di armonie cromatiche, che stingono le une sulle altre, col senso di un dolore ormai congenito. Esausta dopo questo suo primo giorno di vita umana così movimentata e avara di gioie, Rosa recita una preghiera e poi, prima di addormentarsi, manda un pensiero ai suoi amici elfi: "Chissà, mi penseranno ancora?". La risposta non tarda a venire: ecco un coretto di elfi, mormorato in pianissimo, come un'eco di sogno; qui Schumann riscrive in modo magistrale un archetipo che affonda le sue origini almeno nel Faust di Spohr (1816): voci suasive e cantilenanti sopra un accompagnamento leggero e pulviscolare; gli spiritelli fanno del loro meglio per insinuare in Rosa la nostalgia di casa, ma restano inascoltati.

Su questa immagine si conclude la prima parte dell'Oratorio, nel segno dell'aspetto più fiabesco e caratteristico del Romanticismo. La seconda comincia col mattino seguente: commosso dalla gentilezza di Rosa, il becchino vuole aiutarla e la porta in una nuova famiglia che la possa amare. Due voci femminili (soprano e contralto) descrivono la casetta del mugnaio con il tono più gioioso e compensano il lirismo drammatico delle scene precedenti con una ventata di folclore (Zwischen grünen Bäumen). E dopo il finissimo dialogo fra Rosa, il becchino, il mugnaio e sua moglie (esempio di quella sintesi di Opera e Lied a cui tanto si sforzava di approdare il teatro musicale in lingua tedesca), ecco proseguire l'evocazione di una vita normale, immersa nella natura e nella serenità domestica, con l'immancabile coretto di cacciatori (Bist du im Wald gewandelt). Fra di loro uno se ne resta in disparte, appoggiato a un albero, come tramortito di gioia; è il figlio del guardiaboschi, che ancora non riesce a capacitarsi di poter sposare la sua cara Rosa; e il momento in cui la voce narrante (questa volta di contralto) mette in musica questo turbamento supera persino in intensità il successivo duetto degli innamorati (Ich weiss ein Röslein prangen). Per le nozze, Schumann costruisce di nuovo un pannello più ampio (Wer kommt am Sonntagsmorgen?), in cui si sente la vicinanza con quattro ballate per coro e orchestra successive di alcuni mesi; non manca nemmeno uno squarcio vividissimo di musica popolare, con l'eco fuggevole e discreta di un celebre coro venatorio del Franco cacciatore di Weber.

Conclusi gli sponsali, eccoci all'epilogo: è trascorso un anno e Rosa è diventata madre; affiora di nuovo lo svolazzo arcano dell'Uccello profeta; e su questa cifra enigmatica ecco la madre donare il suo talismano alla creatura, perché possa sempre proteggerla. Questa soluzione fu inserita per richiesta di Schumann, che aveva coinvolto lo stesso Moritz Horn nella stesura del testo dell'Oratorio; in una lettera del 9 giugno 1851 gli propose di non far tornare Rosa al mondo dei fiori, ma di farla salire in cielo, affidando l'ultima parola a un coro di angeli: "La progressione rosa, fiaba, angelo mi sembra poetica e allusiva di quella dottrina sulle superiori affinità tra gli esseri viventi che è cara a noi tutti". Trasfigurata in una Berceuse, la morte perde cosi la sua drammaticità e il lavoro si spegne in un soffio, confermando l'osmosi continua della forma grande con la vocazione mai sopita di Schumann per l'istantanea minuscola e privata.

Elisabetta Fava


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 19 dicembre 2008


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Ultimo aggiornamento 23 giugno 2013