Quintetto in mi bemolle maggiore per pianoforte e archi, op. 44


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Allegro brillante (mi bemolle maggiore)
  2. In Modo d'una Marcia. Un poco largamente (mi bemolle maggiore). Agitato (fa minore)
  3. Scherzo. Molto vivace - Trio I et II (mi bemolle maggiore)
  4. Allegro, ma non troppo (do minore - mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Lipsia, 23 settembre - 16 ottobre 1842
Prima esecuzione privata: Lipsia, residenza di Voigt, 6 dicembre 1842
Prima esecuzione pubblica: Lipsia, Gewandhaus Saal, 8 gennaio 1843
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1843
Dedica: Clara Schumann
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Sin dagli anni giovanili Schumann mostrò particolare interesse alla forma del quartetto d'archi, un genere tra i più difficili ed elevati della musica da camera, anche se passò diverso tempo prima che si dedicasse a questo tipo di composizione. Nel 1829, durante il primo soggiorno del musicista a Lipsia, Schumann abbozzò degli schizzi di un quartetto per archi in fa minore, al quale fece seguito tra il 1831 e 1832 un secondo quartetto con pianoforte in si maggiore, mai completato e messo da parte in un momento in cui i pezzi per pianoforte ebbero la preferenza e lo resero celebre nei circoli artistici tedeschi. Dopo avere approfondito l'esperienza pianistica e senza tralasciare la composizione dei Lieder per canto e pianoforte, una vera miniera di originali capolavori intrisi di straordinaria "Stimmung" romantica, egli studiò con scrupolosa attenzione e passione la produzione quartettistica di Haydn, Mozart e Beethoven, cercando di impadronirsi delle regole e della tecnica che sono alla base di questa forma musicale. Nel 1839, in una lettera ad un suo amico, Fischof, Schumann accenna ad un quartetto «che mi ha reso particolarmente felice, anche se non può essere considerato come un semplice saggio». Nello stesso anno egli torna ad esprimere la sua intenzione di scrivere un quartetto e successivamente confessa a sua moglie Clara «di aver cominciato a comporre due quartetti che mi sembrano ben fatti come quelli di Haydn». Solo nel 1841 ci sono riferimenti precisi in una serie di lettere del musicista a proposito dell'elaborazione di alcuni quartetti: il 4 giugno egli iniziò a comporre il Quartetto in la minore op. 41 n. 1, ai primi di luglio era pronto il Quartetto in fa maggiore, il secondo dell'op. 41, e il 22 dello stesso mese era terminato il Quartetto in la maggiore, il terzo dell'op. 41. Un ritmo creativo vertiginoso e stupefacente, riguardante, tra settembre e ottobre dello stesso anno, anche il Quintetto con pianoforte op. 44 e il Quartetto con pianoforte op. 47.

In questi lavori cameristici, che tengono conto naturalmente del modello predominante e assorbente dei sedici quartetti beethoveniani, si può avvertire la particolare sigla creatrice schumanniana, al di là del rispetto di certi schemi formali classicisti. Oltre ad una straordinaria fantasia nell'inventare e collegare fra di loro i vari temi c'è nei Quartetti dell'op. 41 e nel Quintetto op. 44 quella sensibilità poetica di gusto romantico, fatta di improvvisi slanci e di teneri ripiegamenti, molto tipica di un musicista essenzialmente liederista, presente quando compone per il pianoforte o per la voce o per l'orchestra. Anche nel caso del Quintetto op. 44 ha un ruolo da protagonista il pianoforte, che costituisce il punto di incontro e di raccordo fra le due diverse parti in un gioco dialogante di elegante scrittura, in linea con lo stile della musica da camera romantica. Tale scelta appare evidente sin dall'attacco dell'Allegro brillante, dove si impone imperiosamente il tema robusto e marcato del pianoforte, al quale fa da contrappeso espressivo, con particolare dolcezza di cavata, la magnifica frase del violoncello. Il discorso quindi si allarga, si infittisce e si colora dei più svariati accenti psicologici, così da raggiungere momenti di intenso lirismo. Un movimento che reca in sé i segni della personalità creatrice schumanniana è il secondo (In modo di una marcia) che si ispira chiaramente al modello dell'"Eroica" beethoveniana. È un tema di marcia funebre esposto con voce rotta e spezzata dal primo violino su un accompagnamento del pianoforte. Non manca l'esplosione drammatica e tesa, ma tutto ritorna al clima dolente iniziale. Festoso, brillante e perfettamente incastonato in un classicismo formale è il terzo tempo (Scherzo molto vivace), arricchito da due Trii, dei quali il secondo con la sua cordiale esuberanza ritmica sembra presagire gli appassionati Allegri pianistici del giovane Brahms. L'Allegro ma non troppo conclusivo sviluppa e completa, per così dire, il discorso dell'ultimo Trio e vede il pianoforte in funzione di stimolo e di guida degli altri quattro strumenti. Infatti da esso si dipartono e si ramificano i suggerimenti tematici che investono il discorso dell'intero movimento, tanto da far pensare ad un tempo di concerto per pianoforte e orchestra.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 1842 fu un anno del tutto peculiare per la creatività di Robert Schumann, l'anno dell'incontro con la musica da camera, genere in precedenza pressoché ignorato dal compositore. Dopo un periodo di inattività - legato forse all'assenza di Clara, impegnata nella sua prima grande tournée pianistica dopo il matrimonio - fra giugno e luglio Schumann crea di seguito ben tre quartetti per archi. Il "giornale coniugale" registra le tappe serratissime di questa straordinaria fioritura: "[...] 5 luglio: terminato il mio secondo quartetto. [...] 8 luglio: cominciato il terzo quartetto. [...] 22 luglio: finito il terzo quartetto, felicità". Sempre nello stesso anno, fra settembre e novembre, vedranno la luce quasi contemporaneamente altri due brani cameristici, il Quintetto per pianoforte e archi op. 44 e il Quartetto per pianoforte ed archi op. 47.

In realtà già negli anni precedenti Schumann aveva tentato l'approccio con la musica da camera, non andando oltre l'abbozzo di due quartetti con pianoforte (1828-30, 1831-32) e quattro quartetti per archi (1829, 1838, 1839). Proprio tale circostanza chiarisce come il progressivo orientamento dell'autore verso generi compositivi più complessi (liederistica, sinfonismo, cameristica) debba essere interpretato come un lungo processo di acquisizione di nuovi strumenti tecnici, di nuovi orizzonti compositivi, da parte di un autore che si era affermato essenzialmente per la sua fisionomia di pianista. Al di là dei problemi tecnici di scrittura c'era poi una sorta di timor reverentialis verso le grandi forme, proprio non solo di Schumann ma di tutta un'epoca. Dopo gli esempi inattingibili di sonate, quartetti, sinfonie forniti da Haydn, Mozart, Beethoven, il confronto con tali generi era divenuto il confronto con il passato, con la storia. Non a caso anche in campo pianistico Schumann aveva prediletto i cicli organici di miniature rispetto alle sonate o fantasie.

Logico che la nascita dei lavori cameristici del 1842 sia stata preceduta da un attento studio dei modelli del passato, Beethoven in testa (fra questi modelli, tuttavia, un posto di primissimo piano spetta alla polifonia bachiana). Tuttavia, proprio nel considerare il particolare rapporto di Schumann rispetto a tali modelli è possibile apprezzare da una parte il rapporto di continuità con essi, e dall'altra l'audacia del progetto compositivo. Nell'accingersi a scrivere il Quintetto per pianoforte op. 44, infatti, Schumann aveva certo ben presente una "regola" del consumo del tempo: il carattere intrinsecamente "sereno", meno "impegnato" della musica da camera con pianoforte rispetto a quella per soli archi, tecnicamente più complessa e concettualmente più profonda. Una distinzione, questa, che era dovuta in origine alla diversa destinazione della musica con pianoforte ai "dilettanti" piuttosto che agli "intenditori". A questa sorta di "regola" si erano adeguati tutti i grandi autori del classicismo; non solo Mozart e Haydn, ma anche Beethoven - il Trio dell'"Arciduca" ingigantisce lo schema del trio senza dimenticare la cordialità espressiva propria del genere - e Schubert, il cui Quintetto "della Trota", per pianoforte e archi, risente di una immediata piacevolezza, amabile e mondana, del tutto ignota alla concettuosità ardita del Quintetto per archi op. postuma.

Schumann fu dunque il primo compositore a porsi un obiettivo di portata rivoluzionaria: portare la musica per pianoforte ed archi in un ambito concettuale affine a quella per soli archi. Ecco quindi che nel Quintetto op. 44 possiamo riscontrare una densità sinfonica di scrittura, una intonazione alta e complessa sconosciuta anche alla produzione cameristica con pianoforte di Schubert, e proiettata verso quell'idealismo romantico da cui Brahms prenderà direttamente le mosse. Così nell'Allegro brillante iniziale troviamo la consueta contrapposizione fra due temi ben distinti, una idea affermativa in mi bemolle e una più lirica in do minore; ma è soprattutto il rapporto di plastica integrazione fra il pianoforte e gli archi ad imporsi. Segue In modo d'una Marcia, con un sospirante tema di marcia funebre e una melodia più consolatoria, contrapposti a una sezione centrale più agitata. Dopo lo Scherzo - animato da brillantissime scale e da due diversissimi Trii - il finale, Allegro ma non troppo, è un rondò dall'intonazione entusiastica, il cui refrain possiede un che di slavo. L'ultima sorpresa di questo variegatissimo movimento è la riapparizione, con entrate in imitazione, del tema dell'Allegro brillante iniziale, a riaffermare l'unità concettuale della partitura e il debito tutto romantico verso la polifonia bachiana.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 30 gennaio 1987
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 1 febbraio 2001


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Ultimo aggiornamento 21 febbraio 2015