Quartetto per archi n. 2 in fa maggiore, op. 41 n. 2


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Allegro vivace (fa maggiore)
  2. Andante quasi Variazioni (la bemolle maggiore)
  3. Scherzo: Presto (do minore). Trio: L'istesso tempo (do maggiore - do minore)
  4. Allegro molto vivace (fa maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Lipsia, 10 giugno - 5 luglio 1842
Prima esecuzione privata: Lipsia, residenza di Schumann, 13 settembre 1842
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1843
Dedica: Felix Mendelssohn
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Robert Schumann compose i tre Quartetti per archi op. 41 in uno dei suoi periodi di furore creativo, tra l'inizio di giugno e la fine di luglio del 1842, il cosiddetto anno della musica da camera, che vide nascere anche il Quintetto op. 44, il Quartetto op. 47 e i Phantasiestiìcke op. 88 con pianoforte. L'incontro del pianista Schumann con il genere cameristico di maggiore dignità estetica e impegno compositivo fu breve, intenso e molto felice. Dopo alcuni tentativi sullo scorcio degli anni Trenta, è appunto nel 1842, dopo aver studiato a fondo i lavori di Haydn, Mozart, Beethoven e Mendelssohn, che Schumann si sente finalmente pronto ad affrontare il quartetto per archi.

Da critico egli richiedeva al compositore di quartetti uno stile improntato a un tono di conversazione e la conoscenza della storia del genere come presupposto per produrre esiti originali in rapporto dialettico con i modelli classici. Idee che si rispecchiano puntualmente nei tre Quartetti op. 41. All'integrazione degli strumenti in un discorso unitario contribuisce l'alto grado di scrittura contrappuntistica, mentre l'assimilazione dei classici diviene l'impulso per una reinterpretazione molto inventiva di processi e modelli formali (sonata bitematica ovvero monotematica, variazioni, forma strofica, rondò). Concepiti come ciclo unitario (nel suo taccuino Schumann parlava di «triplo quartetto in dodici movimenti»), i tre lavori ruotano intorno a un asse dato dal rapporto tra le tonalità (maggiori e minori) di la e di fa.

Il Quartetto n. 2 si caratterizza per la concisione della forma specie nel primo e nel quarto movimento. Il primo tema dell'Allegro vivace è costituito da una fresca e florida melodia cantabile di ampio respiro condotta dal violino I che nella transizione diventa poi occasione di un canone tra tutti gli strumenti. Il distendersi dell'idea melodica e della sua prosecuzione riduce ai minimi termini il secondo tema dalla melodia sinuosa, anch'esso strutturato come un piccolo canone, e quindi la codetta dell'esposizione; segue la replica dell'esposizione. Lo sviluppo coincide con un'elaborazione basata sugli elementi del primo tema e della transizione, il cui stampo ancora una volta imitativo è drammatizzato dal passaggio attraverso tonalità minori, accordi dissonanti e scariche di accordi spezzati. La ripresa ricalca quindi l'esposizione, sino alle armonie cromatiche e ai contrasti di dinamiche del corale che occupa la coda conclusiva.

La curiosa intestazione Andante, quasi Variazioni dà conto della forma ingegnosa del movimento che s'ispira alla sostanza dell'Adagio del Quartetto op. 127 di Beethoven. Il cullante tema di berceuse, la cui origine risale al 1832 e sarà poi pubblicato come Albumblätter op. 124 n. 13 (1854), s'articola in due periodi. Soltanto il secondo, tuttavia, dove la melodia si profila al violoncello e poi al violino I serve di fatto per le variazioni. La prima è contrappuntistica e ha i tratti di un corale figurato; la seconda contiene fruscianti arabeschi e arpeggi veementi. In tempo Molto più lento, la terza malinconica variazione offre grande complessità armonica, con cromatismi e inflessioni minori su pedale, mentre la quarta, in tempo Un poco più vivace, segmenta e frantuma ciò che resta del tema. A questo punto segue una ripresa del primo periodo del tema e la Coda. Un poco più lento che riprende la gestualità della seconda variazione.

Onde di arpeggi continui e incalzanti, dal fraseggio sincopato, danno il tono allo Scherzo in tempo Presto, un brano come da convenzione suddiviso in due parti cui fa riscontro il Trio, intermezzo umoristico con il gioco di brevi frasi e incisi che, dopo la ripresa dello Scherzo, ritorna a echeggiare nella Coda.

Il primo tema dell'Allegro molto vivace è un moto perpetuo leggero e brillante con imitazioni nella successiva transizione; ridottissimo è lo spazio per il secondo tema, che cita il Lied Nimm sie hin denn, diese Lieder dal ciclo beethoveniano An dieferne Geliebte op. 98 (cui Schumann fa riferimento anche nella Fantasia op. 17 per pianoforte e nel finale della Seconda Sinfonia op. 61); segue la replica dell'esposizione. Da un'elaborazione intensiva del secondo tema, inframmezzata dal rincorrersi di accordi accentati, trae avvio lo sviluppo, culminante poi in un assolo del violoncello. La ripresa ripercorre l'esposizione sino alla coda che richiama le figure della sezione conclusiva dello sviluppo.

Cesare Fertonani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tra l'anno in cui Haydn compose il Quartetto in mi bemolle e la data in cui nacquero i Quartetti op. 41 di Schuman, intercorrono più di cinquantanni: mezzo secolo tra i più fecondi e ricchi di conseguenze di tutta la storia delia musica, dal momento che esso abbraccia, tutta l'attività creatrice di Beethoven e vide sorgere e fiorire il romanticismo. I profondi mutamenti verificatisi in questo lasso di tempo nella concezione e nel linguaggio musicale si riflettono con chiara evidenza nei Quartetti di Schumann. Questi mutamenti non riguardarlo tanto il taglio formale e l'insieme della disposizione architettonica (anzi, l'estrinseca matrice entro la quale Schumann cala la materia sonora dei suoi Quartetti è sostanzialmente identica a quella dei suoi modelli classici), quanto la sostanza musicale stessa, nelle sue più sottili infrastrutture, nelle sue premesse e nei suoi significati affettivi ed immaginifici. Nella discrepanza che si dà tra una forma esterna inalterata (ma ridotta a cornice formale) e una sostanza profondamente mutata, gli esegeti sogliono ravvisare il fondamentale momento negativo delle opere composte da Schumann nella classica forma di sonata, sia che si trattì di lavori per solisti, complessi da camera o sinfonici. Si afferma, insomma, che in Schumaiin si verificherebbe esattamente il contrario di quanto abbiamo rilevato in Haydn: nel senso che la cellula, prima dell'invenzione musicale schumanniana - ritmo, armonia, melodia - sarebbe di natura tale che «si esaurisce alla prima enunciazione e non porge appiglio a sviluppi tematici». Perciò «delle sue composizioni più classicamente ambiziose», sarebbero «quasi sempre felicissimi, bellissimi, ardenti d'ispirazione gli inizi dei vari temi, ma quasi sempre artificiosi, faticosi, freddi gli svolgimenti». Un rimprovero mosso sovente alle sue musiche da camera e, in special modo, ai Quartetti, riguarda la scrittura strumentale che, troppe volte si presenterebbe come una mera trasposizione del suo stile pianistico. Tutte le affermazioni di questo genere, sono state, smentite in modo magistrale da Alban Berg, il quale, una trentina d'anni fa pubblicò (nel corso d'una polemica con un compositore nazista) una analisi, rigorosa quanto acuta, di uno dei pezzi più tipici di Schumann, la famosa Träumerei, dimostrando che anche in questo brano estremamente semplice la strutturazione interna e l'articolazione del pensiero musicale di Schumann, presentano una grande e differenziatissima ricchezza di motivi melodici, metrici, ritmici e armonici e che la disposizione pianistica, offre l'esempio d'una perfetta scrittura a 4 parti, la cui realizzazione si potrebbe affidare quasi senza modifiche, ad un quartetto strumentale od anche vocale. Ciò che vale per questo brano, vale a maggior ragione per i temi delle opere in forma dì sonata, temi concepiti in partenza per gli svolgimenti che tale forma comporta ed ai quali essi non sono affatto inadatti, ma si prestano proprio in virtù della ricchezza di motivi di cui sopra. Non è dunque nella struttura formale dei temi, che va cercata la ragione del mutato rapporto tra forma classica e il contenuto tematico che si dispone in essa: la ragione sta piuttosto nella qualità, nell'indole espressiva di quei temi e nella disposizione d'animo del compositore che li intesse in una trama musicale procedendo non per quelle associazioni per contrasto, per quelle antitesi dialettiche che determinano il carattere originario, eminentemente drammatico della forma di sonata, ma allineandoli sul piano d'una purissima, guanto ardente contemplazione lirica che mira per lo più a cogliere staticamente i singoli momenti d'un decorso affettivo e non il dinamismo del suo divenire. Irr questo modo Schumann continua e sviluppa, traendone delle conseguenze a volte estreme, il tipo di «sonata lirica» inaugurato dal tardo Beethoven, e nello stesso tempo preannuncia il dissolvimento, la macerazione impressionistica della sotanz musicale che si riscontrerà nel Quartetto dì Debussy, composto esattamente mezzo secolo più tardi. In questo senso si giustifica un'assunto come quello formulato dal Mila per cui l'arte di Schumann «conduce per la prima Volta a una sorte di impressionismo musicale». Assunto e qualifica che vanno accettate naturalmente, nel loro senso interamente positivo, così come il mutamento che a partire da Beethoven si verifica nell'intima indole della forma sonatistica va inteso non come un travisamento del suo spirito, ma semplicemente come un suo mutamento evolutivo.

Questo stato dì cose risulta con molta evidenza nel Quartetto dì Schumann programmato oggi. Esso è il secondo di una serie di tre Quartetti, i soli che Schumann abbia' scritto per questo complesso. Ersi datano del periodo della maggiore felicità e virulenza creatrice del compositore, di quel periodo cioè, che segue immediatamente il raggiungimento dell'agognata unione con Clara Wieck. Schumann, che fino al 1870 aveva composto quasi esclusivamente lavori pianistici, creò in quell'anno più dì cento dei suoi più bei Lieder; nel 1841 egli si gettò con lo stesso impeto sulla composizióne orchestrale (componendo, tra l'altro, tre dei suoi cinque lavori sinfonici). Il 1842 invece fu l'anno in cui, con lo stesso straripante impeto creativo, mosse alla conquista del terreno della musica da camera. D'un sol getto, nel tempo incredibilmente breve d'un solo mese, nacquero tre Quartetti op. 41, che Schumann volle dedicare «al suo amico Felix Mendelssohh-Bartholdy». Il secondo Quartetto in fa maggiore fu eseguito per la prima volta l'8 gennaio 1843 nella, sala del Gewandhaus di Lipsia. Il successo fu grande e valse a conquistare al compositore la stima anche di coloro tra i critici contemporanei i quali fino a quel momento lo consideravano solo come autore di «cosette carine, curiose e assai interessanti, ma senza un vero centro focale» (M. Hauptmann) e che adesso esprimevano la loro alta meraviglia sull'entità per loro «insospettata» del talento schumanniano. Il compositore stesso le teneva nella massima considerazione: «Penso sempre che siano il miglior lavoro dei miei primi tempi, e anche Mendelssohh si è espresso spesso in questo senso». Il primo tempo si fonda quasi tutto su di un tema dolce ed espansivo, così ricco di spunti e di motivi da sviluppare che si intuisce come Schumann ne abbandoni quasi a malincuore l'enunciazione per far posto ad un brevissimo secondo tema in la maggiore, più quieto e svolto in strette imitazioni contrappuntistiche dai violini e dalla viola, per cedere immediatamente il posto al primo tema «preferenziale» di cui un motivo s'insinua tra i due membri della frase che costituisce questo secondo tema, quasi a conferma della associazione per affinità e non per contrasto delle idee di questo tempo di sonata. Lo sviluppo, ricco e arioso, si connette alla riesposizione mediante una nuova idea di transizione: accordi in valori metrici uguali, ma con accenti ritmici spostati, la cui disposizione melodica si apparenta al primo motivo del primo tema. Questa idea, alquanto più sviluppata, chiuderà il tempo, in guisa di Coda. Il secondo tempo (Andante, quasi Varìani) è costituito da una serie di deliziose, poeticissime divagazioni intorno ad alcuni motivi proposti nella prima sezione, senza costituirsi come un vero e proprio tema, nel senso classico, cosstruttivo, del termine ma ponendosi solo come spunti iniziali di una meditazione che si sviluppa secondo le libere traiettorie della fantasia e dell'abbandono lirico. Lo Scherzo è costituito da un Presto di tono fantastico, scritto, nello scorrevole ritmo di 6/8, nella tonalità di do minore, e d'un Trio (nell'«istesso tempo»), in do maggiore dal ritmo di 2/4, dove sopra un accompagnamento scherzosamente sincopato s'inarca una melodia, la cui seconda frase fu ripresa quasi testualmente nel primo tempo della III Sinfonia di Brahms. Una Coda, che segue alla ripresa dello Scherzo, presenta codesti, diversi motivi in una magistrale sovrapposizione contrappuntistica in virtù della quale è come se essi si illuminassero e si trasfigurassero a vicenda. Il Finale (in forma di «rondò sonata»), scritto nel tono principale del lavoro, lo conclude nel modo più vivace ed estroso intessuto com'è di tre temi di capriccioso contrasto dinamico se non di clima espressivo, intrisi del, più genuino e fantastico humour schumanniano, dove si alternano. e confluiscono lirici abbandoni, ironia romantica e un irresistibile slancio vitale. Una lontana eco di questo Finale la sentiremo con sorpresa non solo in Debussy, ma ancora e vieppiù nella vicace iterazione di taluni finali dei Quartetti di Bartòk.

Roman Vlad


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 262 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 16 febbraio 1953


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Ultimo aggiornamento 10 novembre 2016