Humoreske in si bemolle maggiore per pianoforte, op. 20


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
Organico: pianoforte
Composizione: 1839
Edizione: Spina, Vienna, 1839
Dedica: Julie von Webenau
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La nascita di questa composizione è annunciata da Schumann a Clara in una lettera dell'11 marzo 1839: «Tutta la settimana sono stato al pianoforte e ho composto, riso e pianto allo stesso tempo; troverai l'impronta di tutto ciò nella mia grande Humoreske». Dunque, un filo intrecciato di gioia e dolore, congiunti in modo inestricabile, come senso profondo del lavoro, traccia e legame di collegamento, secondo la mescolanza più tipica dell'anima schumanniana: già Eusebio e Florestano ne erano stati consapevoli nell'alternarsi alla ribalta dell'op. 6, le Danze dei compagni di David sul cui frontespizio Schumann aveva riportato un antico proverbio che incomincia: "in ogni tempo piacere e dolore si annodano insieme"; non diversamente, l'uccellino del Siegfried si proclamerà ancora "lustig im Leid", "allegro nel dolore", come simbolo araldico della nobiltà romantica più eletta.

Con il termine "Humoreske" Schumann si riferiva appunto a quel pendolo sentimentale, a quella ironica compresenza umorale che è il primo centro della sua invenzione poetica; e scrivendo all'amico belga Simonin de Sire, sempre nel marzo 1839, considerava impossibile tradurre quel termine in francese temendone la troppo tagliente precisione. Per Jean Paul Richter, "Humor" è quasi una forma di conoscenza in cui il soggetto trionfa sull'oggetto; è individualità, originalità collegata all'ispirazione, rapida come una nuvola temporalesca; i frequenti "mit Humor" del catalogo schumanniano portano a totale compiutezza quelle intuizioni, quasi patrimonio inalienabile dell'anima romantica tedesca (si può ricordare che ancora Mahler chiamerà "Humoresken" alcuni suoi Lieder sul Corno magico del fanciullo).

Il concetto poetico-musicale di "scena", tipico prodotto della fantasia di Schumann, è presente anche nell'op. 20; non ci sono titoli, come in Kreisleriana, ma soprattutto c'è di nuovo un desiderio di campire scene più vaste superando lo zampillare frammentario delle op. 2, 6 e 9 in un senso formale di più ampio respiro, anche se lontanissimo dalla forma di sonata; se quelle di Carnaval erano state "piccole scene", queste di Humoreske sono grandi scene, scandite in quadri maggiori da precise riprese e altri fattori di simmetricità. Anche se la composizione si svolge in un solo corso dinamico, si possono individuare tre grandi capitoli con alcune appendici e un quarto episodio a mo' di conclusione (Zum Beschluss): come diceva Alfred Cortot, quasi "una moralità" del grande racconto musicale; i personaggi del quale hanno naturalmente la perenne freschezza del giovane Schumann: proprio sulla soglia sarà facile riconoscere quel "poeta parlante" che aveva congedato le Scene infantili op. 15; e poi via via si avvicendano danze e marce di compagni di David, cavalcate nel bosco, dorate fanfare, confessioni e motti d'arguzia, arabeschi e romanze; ogni titolo preciso sarebbe superfluo, tutto lo Schumann pianistico del miracoloso decennio 1830-40 trovandosi presente nell'Humoreske op. 20 come in un maturo riepilogo.

Giorgio Pestelli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Alla fine del miracoloso decennio risale invece l'"Humoreske" op. 20, composta, insieme con i "Nachtstücke" op. 23 e il celebre "Faschingsschwank aus Wien" op. 26 ("Carnevale di Vienna"), durante un lungo soggiorno a Vienna negli anni 1838-39. L'opera, che è tra le più affascinanti e complesse, ma inspiegabilmente tra le meno eseguite di Schumann, è un caleidoscopio variegatissimo di immagini musicali inserito in un'ampia struttura che abbraccia un arco temporale di circa trenta minuti.

In una lettera alla futura moglie Clara Wieck dell'11 marzo 1839, così scrive il compositore: «Tutta la settimana sono stato al pianoforte e ho composto, riso e pianto nello stesso tempo. Troverai la traccia di tutto questo nella mia grande Humoresque...»; una continua, incessante mutazione di stati d'animo, rispecchiante la personalità tormentata e schizofrenica del musicista, caratterizza infatti il lavoro.

Per comodità di illustrazione si può considerare l'"Humoreske" formata da cinque sezioni. La prima è chiaramente riconoscibile per la sua struttura ciclica e concentrica: un episodio lirico e trasognato col quale ha inizio l'opera cede il posto a un altro di carattere contrastante - Molto vivace e leggero - e sfocia in un turbinoso movimento in cui predomina il tipico ritmo puntato schumanniano. A chiudere il cerchio ricompaiono, in ordine inverso, i primi due episodi. La seconda sezione è imperniata su un febbrile e tormentato disegno tematico che conduce progressivamente a un climax di agitazione e di pathos, per poi misteriosamente placarsi in una sorta di corale appena sussurrato. La terza sezione è in semplice forma ternaria. Il primo episodio - semplice e dolce - nasconde, sotto la linea melodica di struggente malinconia, un tessuto interno particolarmente articolato. L'Intermezzo provoca un brusco scarto espressivo con le sue incessanti e chiassose quartine di sedicesimi, quasi a contraddire, secondo il concetto di ironia romantica, il momento di abbandono e di smarrimento precedente. Ancora un tema di indubbia bellezza, ma questa volta aperto e sereno, introduce alla quarta sezione, improntata a una pungente vivacità, e che si conclude con un pomposo ritmo di marcia.

La Conclusione è un lungo commiato in cui la musica di Schumann sembra quasi ripiegarsi su sé stessa, in un intimissimo discorso interiore. L'ultima parola è però affidata a un brevissimo, fiammeggiante Allegro, spavaldamente impostato su una scala cromatica discendente.

Giulio D'Amore


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 maggio 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 gennaio 1989


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Ultimo aggiornamento 21 dicembre 2013