Szenen aus Goethes Faust
in tre parti e sette scene per soli, coro e orchestra
Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
Testo: Johann Wolfgang Goethe
Organico: 3 soprani, 2 contralti, tenore, baritono, basso,
coro misto, coro di voci bianche, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 4 corni,
2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, arpa, archi
Composizione: I parte: 1844/47; II parte: 1849; III parte: 17 aprile -
28 luglio 1847; Ouverture: Düsseldorf, 13 - 17 agosto 1853
Prima esecuzione: Lipsia e Weimar, 29 agosto 1849 (parziale); Colonia,
Gürzenich Theater, 13 gennaio 1862 (completa)
Edizione: Friedlaender, Berlino, 1858
Struttura musicale
Prima parte:
- Ouverture -
Langsam, fierlich (re minore).
Etwas bewegter (re maggiore)
- Scena in giardino:
Du kamtest mich, o kleiner Engel - Gretchen e Faust - Nicht
schnell (re minore)
- Margherita davanti
all'immagine della Mater Dolorosa: Ach neige, du
Schmerzenneiche (Io ti prego,
Dolorosa) - Gretchen - Im Anfange nicht schnell, spater (do maggiore)
- Scena nella Cattedrale:
Wie Anders, Gretchen, war dir's - Gretchen, Böser
Geist - Langsam (re minore)
Seconda parte:
- Il risveglio di Faust:
Die ihr dies Haupt umschwebt im luft'gen Kreise
- Ariel e coro
Alba - Aria di Faust e coro - Ruhig. Etwas bewegter (si bemolle
maggiore
- mi minore)
- Mezzanotte: Ich
heisseder Mangel - Mangel,
Schuld, Not, Sorge, Faust - Schnell (si minore)
- La morte di Faust:
Herbei, herein, ihr Schlotternden Lemuren - Mefistofele, Faust
- Ziemlich rasch (re minore)
Terza parte:
- Trasfigurazione di Faust:
Waldung, sie schwankt heran - coro e Echo - Ziemlich langsam
(fa maggiore)
- Ewiger Wonnebrand, gluhendes Liebesband -
Tenore solo - Etwas bewegter
(re
minore)
- Wie Felsen-Abgrund mit zu Fussen - Basso
solo - Langsam (si bemolle
maggiore)
- Gerettet ist das edle Glied - Angeli (coro)
- Ziemlich langsam (la
bemolle
maggiore)
- Hier ist die Aussicht frei - Tenore o
baritono solo - Langsam (sol
maggiore)
- Dir, der Unberuhbaren - Coro - Tempo wie
vorher (si bemolle
maggiore)
- Alles Vergangliche ist nur ein Gleichniss -
Coro finale (coro mistico)
- Die Halben etwas langsamer wie vorher (re minore)
Sembra che già nel 1832, a ventidue anni, Schumann
avesse accarezzato l'idea di mettere in musica il Faust di Goethe,
terminato appena l'anno prima ma a lui ben noto, per quanto riguardava
la prima parte della tragedia (1808), sin dagli anni dell'infanzia. Uno
degli Intermezzi op. 4
per pianoforte - il secondo in mi minore - sarebbe stato ispirato dal
canto di Margherita all'arcolaio che inizia con le parole Meine Ruh' ist hin,
canto sul quale, diciotto anni prima, Schubert aveva creato con Gretchen am Spinnrade
(1814) un tipo di Lied assolutamente nuovo per carattere e forma e che
Schumann avrebbe qui parafrasato mediante il pianoforte; forse a voler
dare espressione a una pena d'amore, più probabilmente a uno
stato interiore di profondo disagio esistenziale, che di lì
a poco sarebbe sfociato in una devastante crisi depressiva: la prima di
una lunga serie. Schumann ne uscì inventandosi un mondo
fittizio - la lega dei fratelli di Davide - e un impegno fantastico -
la lotta contro i filistei -, abbandonando per il momento ogni idea
faustiana.
Ripresa oltre un decennio più tardi, quest'idea si
sarebbe sviluppata in una delle più corpose e impegnate
partiture di Schumann, di un genere la cui definizione risulta a prima
vista problematica: non oratorio profano, benché sia intriso
del suo spirito, impieghi i suoi mezzi compositi e ne adotti la veste
drammatica non rappresentativa; non vera e propria opera destinata al
teatro, benché il titolo - Scene
dal "Faust" di Goethe
- sembri sottolineare l'importanza dell'elemento scenico-drammatico;
non sinfonia con voci e coro, per quanto l'incidenza della componente
sinfonica sia rilevante. E neppure, da ultimo, semplice illustrazione
dei passi virtualmente «musicali» presenti nel
Faust, giacché l'intento di Schumann mirava a raggiungere la
piena unità e corrispondenza non soltanto di parole, fatti e
suoni ma anche, in un senso assai più profondo, di pensiero,
poesia e creazione musicale.
La stessa genesi, lunga e tormentata, della composizione, alla
cui realizzazione occorsero quasi dieci anni, rispecchia l'impegno con
cui Schumann, nel rivestire di musica un testo che lo entusiasmava
tanto quanto lo ossessionava, strenuamente agì al fine di
appropriarsi del Faust
e ritagliarne un'interpretazione congeniale alla sua natura di artista;
un'interpretazione che dovendo fatalmente scegliere fra una massa
incredibilmente ricca di temi e di situazioni, fin dal principio
privilegiò quelle valenze mistiche e quelle risonanze
spirituali che sembravano predestinate a incarnarsi nella musica. La
via seguita appare a questo riguardo estremamente istruttiva e
condizionante per il significato stesso dell'opera.
Fu dunque alla fine del 1843 che Schumann decise di mettere in
cantiere il progetto a lungo vagheggiato. Nel 1844, di ritorno da un
viaggio in Russia con Clara, iniziò la composizione partendo
dall'ultima parte del Secondo
Faust, e precisamente dall'imponente scena finale del
poema che, nella versione definitiva del musicista,
costituirà la terza e ultima parte ma, dal punto di vista
compositivo, è il nucleo centrale e originario del lavoro.
Interrotta più volte, quest'ultima parte fu completata
nell'aprile 1847; salvo aggiungersi, in luglio, una seconda versione
del conclusivo Chorus
Mysticus. Due anni dopo Schumann estese il lavoro a
ritroso alla prima e alla seconda parte. Le tre scene iniziali, tutte
dal Primo Faust (Scena
nel giardino, Margherita davanti all'immagine detta Mater dolorosa,
Scena in duomo), videro la luce nella prima
metà del 1849, insieme con la quarta, prima della seconda
parte (Ariel e il
risveglio di Faust), che si distacca dalle precedenti per
un evidente mutamento di clima ma è in stretta relazione con
esse "per contrasto". Si attua qui infatti un primo passaggio verso
l'atmosfera meno cupamente drammatica e più diffusamente
simbolica del Secondo
Faust, cui appartengono anche le due restanti scene della
seconda parte, Mezzanotte
e Morte di Faust,
composte nel 1850. Alla forma dell'opera così come noi la
conosciamo mancava soltanto l'Ouverture, che Schumann stese per ultima
nel 1853 riassumendovi, in una struttura saldamente sinfonica, il
materiale musicale fondamentale e i toni caratteristici elaborati nelle
sette scene. Il percorso tenuto da Schumann per estrarre dal Faust la materia di
una composizione formalmente sui
generis non segue, come è chiaro, un mero
calcolo compositivo, ma nasce da precise scelte interpretative che
stabiliscono una gerarchla fra le tre parti in base a significati non
soltanto poetico-musicali ma anche metafisico-spirituali. Non
è senza valore che Schumann cominciasse proprio dalla fine
del poema. L'importanza dominante di questa vasta scena articolata in
sette numeri non risiede tanto nel fatto che da sola essa occupi una
buona metà del lavoro quanto piuttosto nel suo significato
di trasfigurazione dei conflitti precedenti, subordinati e finalizzati
alla contemplazione di una realtà immateriale di puri angeli
e di essenze perfette cui la voce del coro (non soltanto nel conclusivo
Coro mistico)
conferisce toni di universale conciliazione. Non sembra esagerato
asserire che Schumann vi abbia potuto vedere quella realizzazione
dell'assoluto musicale cui la metafisica romantica della musica, da lui
ripristinata anche teoricamente dopo l'applicazione pratica nella lotta
contro i filistei, costituzionalmente tendeva; e niente meglio di
questo Finale "incommensurabile" poteva esprimere l'aspirazione
all'assoluto incondizionato, all'infinito come totalità
organica riconquistata e divenuta, attraverso la musica, percepibile ed
eloquente.
È in relazione con questo stadio ultimo delle
possibilità espressive della musica - intrecciato con il
tema della Redenzione e della progressiva conquista della Perfezione
come svuotamento della Sehnsucht
(nostalgia) e dello Streben
(anelito a), stante l'interpretazione schumanniana dell'estrema visione
di Goethe - che si dispongono le altre due parti del lavoro. La prima
parte, drammatica e movimentata, ispirata dal Primo Faust,
dipinge la vicenda amorosa di Faust e Margherita; e ad esserne
protagonista, nella brevità essenziale delle tre scene,
è la giovane donna: vittima predestinata del sacrificio,
appena consumati gli attimi di una felicità fugace, costei
si consegna intera al dolore e all'angoscia, solo per far risaltare
più lucidamente il trionfo del suo riscatto.
La seconda parte, della quale è Faust il
protagonista, trascende l'elemento terreno per svolgersi nel mondo
fantastico degli spiriti (Elfi, ma anche spettri e dèmoni) e
della natura. Il peso allegorico è marcato: Faust
è un simbolo dell'umanità intera. È la
parte più fiorita, suggestiva e romanticamente rigogliosa,
del lavoro: gli stessi elementi descrittivi e illustrativi valgono a
incorniciare i simboli che vi appaiono nel mondo di fiaba di una natura
dai vasti confini.
Se la terza parte è il punto di arrivo e nello
stesso tempo l'origine della partitura schumanniana, sarebbe sbagliato
vederne l'articolazione come un movimento lineare e continuo di ascesa,
o addirittura come un processo di tipo dialettico che trova la sintesi
nella contemplazione mistica, dopo aver attraversato la regione delle
vicende umane e quella degli spiriti e della natura. Le tre parti, o
meglio le sette scene complessivamente, sono altrettanti quadri a
sé stanti, non legati da continuità drammatica
né tantomeno scenica, che illuminano, a livelli differenti,
un unico tema poetico: l'aspirazione all'assoluto incondizionato,
privato da ogni carico materiale. Sotto questo profilo il Faust di Schumann
è opera fortemente ideologica in quanto risultato di una
concezione estetica radicale; ma è anche opera
autobiografica, che ci parla delle ossessioni, delle visioni e delle
più intime aspirazioni del suo autore: e più
volte, nei suoi sogni inquieti, Schumann si era visto circondato dagli
Elfi, dilaniato dai Lemuri, trasportato in cielo dagli angeli.
Né Faust, né Margherita, né
Mefistofele hanno una storia in quanto personaggi di un'azione, men che
mai se intesa in senso unitario e omogeneo: essi sono aspetti di
un'unica realtà la cui vera sostanza sta nella musica che
l'avvolge e ne dischiude le zone più riposte, per depurarsi
infine nella concentrazione assorta e nella solennità
dell'apoteosi finale. E forse nessuno meglio di Schumann ha saputo
cogliere questo senso di perfezione immanente cui il poema di Goethe da
ultimo guarda, in una intuizione mistica che appare romanticamente la
più prossima alla musica. Riassumendo: l'intenzione di
musicare, del Faust,
anzitutto la scena finale, è la ragione stessa dell'opera di
Schumann. Essa condiziona la sua concezione globale. E le altre scene
sono per cosi dire stadi preparatori di essa.
* * *
Il mito di Faust, attraverso il poema di Goethe,
influenzò profondamente la cultura dell'Ottocento ma non
dette, a quanto pare, frutti musicali di pari altezza. Goethe aveva
elevato quel mito, le cui origini risalivano a tre secoli prima, a
paradigma estetico non meno che concettuale e filosofico, senza
tuttavia ridurre il fondo composito e la molteplicità di
motivi che intorno ad esso ruotavano. Così facendo aveva
rappresentato l'antica leggenda in tutta la sua attualità,
ma per così dire esaurendola e non lasciandole spazio per
ampliamenti e prosecuzioni, non almeno in ambito letterario e
drammatico: nella sua incalcolabile ricchezza il Faust di Goethe
è un'opera virtualmente aperta, ma in realtà
chiusa in se stessa, cui soltanto la musica aveva modo di prestare un
contributo congeniale. Del resto, la musica vi è richiesta
in molti passi dichiaratamente operistici e coreografici, senza che per
questo si pensasse a provvederlo una volta per tutte di musiche di
scena originali: segno che, se da un lato la musica - come mezzo
espressivo autonomo - avrebbe potuto esserne incentivata e influenzata,
ciò non sarebbe potuto accadere in una posizione
subordinata, meramente funzionale alla categoria applicata di "musiche
di scena".
Ciononostante, è a prima vista singolare che in
Germania, a parte Schumann, nessun musicista osasse affrontare
direttamente e globalmente il testo di Goethe, che dette invece frutti
doviziosi nel campo del Lied (una parziale eccezione può
essere vista in Die
erste Walpurgisnacht di Mendelssohn, che nella versione
definitiva del 1843 influenzò senza dubbio Schumann). Fuori
di Germania, invece, esso fu oggetto di svariate rielaborazioni, ognuna
in qualche modo debitrice al poema e a suo modo sollecitata da spunti
là presenti. Il filone più denso interessa il
teatro d'opera, ma è quello che più immiserisce
lo spirito originale del poema di Goethe, o quanto meno lo restringe:
al Faust
di Gounod (1859), che divenne una delle opere più popolari
dell'Ottocento, non fu mai perdonata la drastica riduzione del soggetto
goethiano a dramma borghese di tono spiccatamente lirico-sentimentale,
tanto che in Germania essa circolò - e circola tuttora - col
titolo cambiato in Margarethe.
(Che questo banale accorgimento bastasse a trasformare un delitto di
lesa maestà in fortuna duratura, è altro
discorso). Quanto al nostro Boito, che nell'adattare il Faust a melodramma
diversamente da Gounod ne utilizzò abbastanza fedelmente sia
la prima che la seconda parte, già la scelta del titolo - Mefistofele (1868,
seconda versione 1875) - indica un mutamento di rotta che accentua,
rispetto a Goethe, il problema ideologico e spirituale
dell'eternità del male. (La vera debolezza del Mefistofele di
Boito sta nell'incapacità della musica di esprimere tutta
questa ricchezza di motivi drammaturgici e poetici).
Mentre la tragedia goethiana, nella sua identità
intessuta di alti valori estetico-filosofici, sembrava negarsi alla
dimensione operistica - tanto che Wagner, pur tentato, vi
rinunciò, limitando a una Ouverture (1840, seconda versione
1855) e a sette brani sparsi dalla Prima parte (1832) il suo debito al
tema, e un paladino di Goethe come Busoni preferì eludere il
confronto e basare la sua creazione faustiana sull'antico spettacolo di
marionette (Doktor Faust,
1925, incompiuto) -, un altro filone si impadronì del Faust per renderlo
in una prospettiva sinfonico-corale. Sono i casi della Faust-Symphonie di
Liszt (1853-57) e dell'Ottava
Sinfonia di Mahler (1906-07). Per quanto Liszt suddivida
le tre parti della sua Sinfonia - definite
«Charakterbilder», ossia raffigurazioni di
caratteri
- con chiari riferimenti ai personaggi principali di Goethe e Mahler
accosti
direttamente l'inno medioevale Veni
creator spiritus alla scena finale del Faust quasi vedendo
in essa il pendant
di quello, è evidente che l'assunto goethiano è
nel primo caso un programma extramusicale di contenuto spirituale e
ideale, nel secondo un grandioso messaggio di fede e di speranza nella
forza dell'amore (come Mahler spiegava in una lettera alla moglie del
1909). Insomma il Faust
non vale qui per quello che è, summa
di un
atteggiamento estetico e filosofico che si costruisce passo dopo passo,
ma quale sostegno fantastico da cui la grande forma della Sinfonia
può trarre giovamento e nutrimento ampliandosi a dimensioni
abnormi e inglobando anche i mezzi vocali, senza per questo perdere i
suoi requisiti strutturali ed espressivi. I due filoni - quello
operistico e quello sinfonico - si escludono dunque a vicenda in quanto
concezioni radicalmente opposte di uno stesso tema; eppure, entrambe
appaiono giustificate dalla ricchezza stessa della materia, dalla sua
forma insieme spettacolare e astrattamente concettuale.
E Schumann? Schumann sceglie una via intermedia e del tutto
personale che, per quanto effettivamente isolata, ha apparenti punti di
contatto con la leggenda drammatica La Damnation de Faust
(1846), che Berlioz aveva ricavato dalla versione francese del primo Faust di Gerard de
Nerval incorporando le Huit
scènes de Faust composte vent'anni prima. A
parte il titolo della prima versione, punti di contatto in
realtà non ce ne sono. Berlioz tende infatti a distaccarsi
da Goethe nella misura in cui Schumann tenta di decifrarlo;
là c'è un cammino verso una drammatizzazione che,
senza giungere ad essere operistica, sottende una precisa drammaturgia
e un'azione drammatica continua, incalzante, visionaria, per sfociare
nella condanna di Faust e nel suo annientamento; qui invece una
introspezione del dramma verso la pura contemplazione di quadri
staccati, in sé compiuti, tenuti insieme da una logica
musicale che ha il suo fondamento nell'elemento sinfonico e la sua
mèta nell'aspirazione a raggiungere uno stato d'animo
placato - «compenetrato nell'Essere e nel Tutto»
(Schumann) -, nella sfera dell'universalità e del simbolo.
Anche sotto questo riguardo, dunque, la posizione di Schumann
è unica.
* * *
Nonostante le oscillazioni tra fasi d'ispirazione e di
inaridimento, con la maligna incidenza di depressioni e crisi nervose
ricorrenti, gli anni nei quali Schumann lavorò al Faust
circoscrivono un periodo - l'ultimo prima del crollo definitivo - di
relativa tranquillità e di forte impegno compositivo.
Conclusa la serie stupefacente delle creazioni pianistiche giovanili,
consolidata la sua posizione nel campo del Lied con la raccolta
impressionante del 1840 (l'anno del matrimonio con Clara Wieck),
Schumann aveva intrapreso una energica azione di sfondamento sul
terreno delle grandi forme sinfoniche e da camera, per estenderla poi
al teatro (con scarsissimo successo) e ai generi che consentivano di
legare l'orchestra alle voci e ai cori, in un nuovo tentativo, sovente
contraddittorio, di "spontanea" fusione poetico-musicale. L'oratorio Il Paradiso e la Peri
(1841-43), l'opera Genoveva
(1847-50), le musiche di scena per il Manfred di Byron
(1848-51), l'indecifrabile Pellegrinaggio
della rosa (1851), la Messa
e il Requiem
(1852), oltre naturalmente alle Scene
dal "Faust", sono lavori che testimoniano lo sforzo di
agganciare la musica a grandi temi ideologici, cui senza dubbio
Schumann annetteva enorme importanza. L'influenza di Goethe, antica ma
a lungo dissimulata dal più istintivo contatto con Jean Paul
e Hoffmann, s'impone in questo periodo per la sua
complessità meno soggettiva e più controllata. Il
ciclo di Lieder und
Gesänge op. 98a (1841) e il Requiem für Mignon
op. 98b (1849), entrambi dal Wilhelm
Meister - opera che Schumann stimava alla stessa altezza
del Faust
-, segnano l'approdo a un romanticismo più decantato e
più sereno nel quale la musica, senza perdere i suoi
caratteri espressivi, diviene un mezzo per comunicare pensieri e stati
d'animo profondi.
Nelle Scene
dal «Faust», che abbracciano l'intero
periodo della piena maturità di Schumann, è
possibile seguire le tracce di questi diversi atteggiamenti e scorgere
i semi di un lavoro sperimentale sul linguaggio che non appare altrove
in modo così esteso e grandiosamente ambizioso. Il rapporto
con il testo di Goethe, che Schumann adatta alle proprie esigenze
tagliando e ricucendo i versi, parte senza dubbio da presupposti
letterari ma è volto, più che all'intonazione
della parola o della frase, alla caratterizzazione poetica
dell'immagine e alla sua definizione musicale. Il trattamento
estremamente differenziato delle voci soliste, ognuna delle quali
incarna un personaggio reale e uno o più personaggi
simbolici, spazia dalla molteplice varietà dello stile
liederistico a modi di stampo operistico (dal recitativo all'arioso),
mantenendo una linea di autonomia musicale anche nei passi
più drammatici: a metà strada, si crea un
declamato aperto e flessibile, particolarmente adatto alle visioni
estatiche della terza parte. Di grande impegno è la
partecipazione del coro, protagonista di molti episodi e spinto a
tessiture impervie (non soltanto all'acuto) secondo un uso che si
rifà a tradizioni corali specificamente tedeschi: tradizioni
che del resto proprio Schumann contribuì ad arricchire e
consolidare con un diuturno esercizio professionale. Ma è
l'orchestra il mezzo attraverso il quale Schumann crea il clima poetico
dell'opera. Un'orchestra continuamente in primo piano non soltanto nei
passaggi strumentali introduttivi o di collegamento ma anche
nell'azione musicale vera e propria. La ricchissima varietà
delle proposte timbriche, dove Schumann eccelle come maestro dei
particolari e delle sottigliezze combinatorie, sembra nascere da
un'idea di orchestrazione assoluta più che di strumentazione
a tavolino: e a quanto pare è il senso poetico a dettare
questa caratterizzazione. Anche nei passi più compatti e
imponenti circola all'interno della compagine strumentale una
brulicante gradazione di accenti e di tinte che costituisce il tono
fondamentale della scrittura schumanniana, di un musicista
cioè tanto a disagio nella condizione di un discorso
sinfonico autonomo quanto adatto a mediarlo per mezzo di un nucleo
poetico che si espande e, trasmutando, si evolve. Da un percorso
armonico stratificato deriva quella pertinente allusività
tonale che, con le sue deviazioni e riconduzioni cicliche, collega e
chiarisce episodi anche lontani fra loro. E vedremo nel dettaglio come
proprio sotto il profilo armonico-tonale la partitura sia sorretta da
simmetrie e corrispondenze che cementano le diverse scene in
unità non drammatica ma strutturale, quasi a ribadire
l'interpretazione dei significati poetici e spirituali in un'ascesa,
anche musicale, verso lo stadio supremo della definitiva compiutezza.
La prima esecuzione completa delle Scene dal "Faust"
avvenne a Colonia il 13 gennaio 1862 sotto la direzione di Ferdinand
Hiller. I giudizi furono discordi, critici verso le
«disuguaglianze di qualità stilistica»
che ne erano, in positivo il presupposto. Ancora oggi rimane opera di
esecuzione non frequente, ma non più controversa. Schumann
era morto da sei anni. Aveva potuto ascoltarne soltanto un'edizione
incompleta nell'estate 1849 quando il lavoro, nello stato in cui si
trovava, era stato eseguito a Dresda, Lipsia e Weimar - su
interessamento di Liszt - in occasione delle celebrazioni del
centenario della nascita di Goethe. Liszt era stato assai
più generoso dei futuri critici: «Quest'opera
bella e grandiosa» - aveva scritto da Weimar all'amico -
«ha suscitato l'impressione più bella e
più grandiosa». E Schumann gli aveva risposto:
«Gli attestati di simpatia che mi giungono da vicino e da
lontano testimoniano che il mio lavoro non è inutile.
Così noi tessiamo, tessiamo la nostra tela e finiamo per
divenire tutt'uno con essa».
Ouverture
L'Ouverture, composta nel 1853, è uno degli ultimi lavori di
Schumann e in assoluto l'ultima sua pagina orchestrale: la mattina del
27 febbraio 1854 Schumann cercava di suicidarsi gettandosi nelle acque
del Reno a Düsseldorf e, salvato per caso, veniva subito
internato nel manicomio di Endenich presso Bonn, da cui non sarebbe
più uscito fino alla morte (29 luglio 1856).L'Overture
è nella tonalità di re minore e si articola in
una Introduzione («Lento, solenne») e in un
movimento in forma di sonata («Poco più
mosso»). I due temi, pur nettamente circoscritti, tendono
più a confluire l'uno nell'altro che a contrapporsi
drammaticamente; il materiale di contorno richiama figure delle scene
già composte ma non alla lettera: più che una
anticipazione del materiale tematico vero e proprio è lecito
parlare di una esposizione e di una introduzione nel clima spirituale e
psicologico di ciò a cui assisteremo. Ed è in
questo senso significativo che la tonalità di fa maggiore,
quella della trasfigurazione finale, appaia di passaggio già
connotata di valore positivo e affermativo, e che l'Ouverture,
così profondamente imbevuta del modo minore, culmini in una
perorazione di tono innodico nella tonalità di re maggiore,
cui si uniforma anche la breve Coda, quasi a voler sintetizzare le
tappe e i traguardi delle diverse scene e dell'opera intera.
Parte prima
N. 1 -
Scena nel
giardino (Margherita e Faust, poi Mefistofele e Marta).
Tonalità di fa maggiore. (Faust ha venduto l'anima a
Mefistofele, che in cambio si è messo al suo servizio per
esaudirne ogni desiderio. Ringiovanito, Faust anela all'amore: la vista
di Margherita, così pura e timida, lo ha subito conquistato.
Faust chiede a Mefistofele di favorire l'incontro con la ragazza).
Omettendo senz'altro presentazioni e convenevoli, Schumann comincia dal
momento più intenso del dialogo fra i due: poche battute
introduttive bastano a creare un clima di tenero idillio, nel quale il
canto dei due innamorati si inserisce con naturalezza di tono affatto
liederistico. Alla ferma dichiarazione di Faust, contrappuntata da un
motivo arpeggiato ascendente, fa riscontro l'esitazione commossa di
Margherita, echeggiata dall'orchestra con incisi di seconde discendenti
e ascendenti rotti da brevi pause. L'armonia sottolinea
quest'incertezza attestandosi sulla dominante e risolvendo di volta in
volta, a seconda dello stato d'animo in quell'istante prevalente, su
accordi minori o maggiori. Segue poi il giuoco, delicato e ingenuo,
della margherita, che la ragazza sfoglia per conoscere il suo destino:
su un pedale di dominante interrogativamente sospeso, si alternano ora
direttamente triadi maggiori al «m'ama» e triadi
minori al «non m'ama». Solo quando Faust, con
trasporto, dichiara appassionatamente il suo ardore, la
tonalità di fa maggiore si espande in tutta la sua chiara
forza risolutrice, appena increspata da un brivido di presentimento
alle parole di Margherita «Tremo tutta» (effetto di
tremolo nei
secondi violini). Interviene a questo punto Mefistofele per annunciare
che è tempo di separarsi: il suo recitativo, introdotto da
una saltellante figura discendente del fagotto su un ritmo di duine che
sfasa l'equilibrio metrico della scena (in tempo 12/8), più
che interrompere turba per sempre la serenità dell'idillio.
Gli fa eco la brusca interiezione di Marta. Sul congedo rapido dei due
innamorati (le parole della breve chiusa sono di Schumann), l'orchestra
fa riudire, in fa maggiore, le battute introduttive, questa volta
ripiegate su se stesse, piano e come scomparendo.
N. 2 - Margherita
davanti all'immagine della Mater Dolorosa (Margherita
sola). Tonalità di la minore/re minore/la minore. (Con la
complicità di Mefistofele, Faust ha posseduto Margherita.
Oppressa dall'angoscia e dal pentimento per le conseguenze della sua
colpa - costei porta ora in grembo un bambino - Margherita si rivolge
alla madre di Dio, proiettando nell'immagine del suo dolore davanti al
figlio straziato sulla croce il proprio impotente smarrimento. E solo
lei potrà, se non consolarla, almeno comprenderla e
perdonarla.)
Questa scena, di un pathos tutto interiore (tanto diverso
dall'esteriorità ad effetto del melologo di Wagner sullo
stesso testo), è interamente dominata dalla figura del
semitono discendente, cui una lunga tradizione - fin dai tempi di Haydn
e Mozart, se non di Bach - aveva attribuito il valore di lamento, di
"formula del dolore". Il colorito cupo dell'orchestra, dominata da
viole e violoncelli e scossa da
sforzati
e indugi improvvisi, quasi colpi inferti a straziare l'anima,
è lo sfondo su cui si inarca un canto lacerato, che si
innalza verso l'alto solo per ricadere più pesantemente in
basso. Le prime due terzine hanno il loro punto culminante nelle parole
Not (pena)
e
Tod
(morte); la terza, che descrive il dramma della madre di Dio, sfocia in
un «Più mosso» che torna a
intensificare, quasi in un ritorno ciclico, il peso affannoso di
parole-chiave quali
Web
(tormento) e
Weinen
(piangere), ancora una volta in un alternarsi di slanci verso l'acuto
vanificati dal ricadere nella "formula del dolore". Una imprevista,
distesa apertura si ha all'inizio della seconda parte - in re minore -
allorché Margherita, con atto di pietà anzitutto
verso se stessa, depone i fiori bagnati dalle sue lacrime nel vaso ai
piedi dell'immagine santa: e per associazione, al ricordo del risveglio
nella luce del primo sole, si ode una modulazione a fa maggiore. Con
scarto improvviso, scabri accordi in
fortissimo sferzano
l'ultima disperata invocazione d'aiuto; indi, «Poco
più lento», la ripresa variata della prima terzina
sul tremolo dell'orchestra, cui tocca poi di sostituirsi al canto,
ormai fattosi muto, per concludere la scena: e quasi non ci accorgiamo
che la "formula del dolore" si è qui mutata nel suo inverso,
in un semitono ascendente mormorato da viole e fagotti.
N. 3 - Scena in duomo
(Spirito Maligno, Margherita e coro). Tonalità di re
minore/re maggiore/re minore. (La madre di Margherita è
morta in seguito al sonnifero somministratole dalla figlia su
istigazione di Mefistofele; Valentino, il fratello minore che intendeva
vendicare l'onta della famiglia, è stato ucciso in duello da
Faust. La tragedia di Margherita si consuma: mentre assiste in chiesa
all'ufficio dei morti, uno Spirito Maligno le si avvicina e le parla,
ricordandole le sue colpe).
Momento impressionante, di violenta drammaticità, la scena
in duomo innesta su possenti travature sinfonico-corali il dialogo fra
Margherita e lo Spirito Maligno, altra incarnazione di Mefistofele; e
il materiale presentato in precedenza, quello che aveva accompagnato
l'entrata di Mefistofele da un lato e quello del dolore di Margherita
dall'altro, si intrecciano fino a vette di altissima concentrazione
espressiva. Lo Spirito Maligno agisce subdolamente su Margherita
attraverso il ricordo; ed è un peso al quale la donna
può opporre soltanto esclamazioni di disperazione. Intorno a
lei risuonano, sempre più imperiose, le voci ammonitrici del
Dies irae e
gli appelli tremendi delle trombe del giudizio; alla strofa del
Judex ergo una
modulazione a re maggiore rende ancor più massiccia
l'evocazione del giudice supremo. Margherita non regge e, quasi
schiacciata dal carico dei suoni che la circondano e l'ammoniscono,
perde i sensi, mentre ora le voci mormorano, in uno sconsolato re
minore, le parole dello smarrimento e dell'espiazione (
Quid sum miser fune dicturus?),
cui ormai anche Margherita è destinata.
Parte seconda
N. 4 - Ariel. Il
risveglio di Faust (Ariel e coro. Faust).
Tonalità di si bemolle maggiore nel primo episodio (
Ariel), di mi
minore/mi maggiore nel secondo (
Il
risveglio di Faust). (Margherita ha partorito e subito
ucciso suo figlio, ed è stata incarcerata e condannata a
morte. Invano Faust, oppresso dal rimorso, cerca di salvarla dal
carcere: Margherita rifiuta di seguirlo e si rimette al giudizio di
Dio. Sopravviene l'alba. Già quasi dall'oltretomba,
Margherita ripete il nome dell'amato, additandogli nuovi orizzonti
spirituali. Si chiude qui la prima parte del
Faust di Goethe.)
Inizia la seconda parte della tragedia. Un luogo ameno. Faust, adagiato
sull'erba fiorita, riposa inquietamente. È il crepuscolo.
Intorno a lui aleggiano stormi di spiriti e di folletti, guidati da
Ariel. È costui lo spirito etereo e generoso, di
shakespeariana memoria, che ora raduna gli elfi della foresta
affinchè preparino, al sorgere del sole, il risveglio di
Faust, purificato e reso consapevole della sua nuova missione. Il primo
episodio di questa scena è tripartito: nel canto di Ariel e
nella risposta del coro degli spiriti Schumann rispetta scrupolosamente
le indicazioni del testo - che già di per sé
richiede l'intervento della musica - sia nell'accompagnamento di arpe
eolie per Ariel (reso con una geniale combinazione di arpa, violini e
violoncelli) sia nella disposizione del coro a solo, diviso a due e
più, alternando ed insieme. La ripresa della prima parte
è affidata nuovamente al canto solitario di Ariel, che
annuncia il sorgere del sole e il prossimo risveglio di Faust.
L'episodio del risveglio è interamente affidato al canto di
Faust: una nuova energia lo penetra, la contemplazione dell'iride che
il sole mattutino accende dal pulviscolo di una cascata lo restituisce
all'attività. Nella lenta ma inesorabile progressione dal
modo minore al modo maggiore si percepisce un nuovo entusiasmo, una
volontà rianimata. Il canto di Faust è finalmente
ampio e disteso. La natura, con i suoi suoni e le sue pulsazioni,
è lo sfondo magico e misterioso che vivifica e purifica le
sensazioni del personaggio. Alla violenta drammaticità delle
scene precedenti subentra una calma rilassata, carica di attese e di
vita ma non inquieta; della natura, più che semplicemente
descriverla, la musica sembra voler cogliere l'essenza poetica con un
lirismo che, se fa pensare al Mendelssohn del
Sogno di una notte d'estate,
è schumanniano per la dovizia d'intimità e di
slanci effusivi, fino a costituire un repertorio completo di
atteggiamenti e stilemi del romanticismo di sogno.
N. 5 - Mezzanotte
(Quattro donne grigie e Faust). Accentuata circolarità
tonale che dall'iniziale si minore, passando attraverso fa maggiore/si
bemolle minore/re bemolle maggiore/re minore, si ricongiunge a si
minore e conclude perentoriamente in si maggiore. (Dall'inizio della
seconda parte del Faust siamo passati direttamente al quinto atto, alla
peripezia della tragedia. Ormai tutto converge sullo scioglimento del
destino di Faust.)
Quattro fantomatiche figure femminili - Penuria, Insolvenza, Inedia e
Cura - si avvicinano alla casa di Faust, inviate da Mefistofele per
comunicargli che l'ora della morte è vicina. Ma una sola di
esse, la Cura - l'unica che il ricco e operoso Faust possa temere -
potrà presentarsi a lui. Faust, solo nel palazzo, ha sentito
l'arrivo delle quattro donne e sa cosa esso significhi: ma è
stupito del fatto che una sola sia rimasta ad attenderlo. Non si
potrebbe immaginare contrasto maggiore e più efficace tra
questa scena notturna e quella del risveglio che la precede: e
benché la scena della mezzanotte sia soltanto un momento di
passaggio e di preparazione alla morte di Faust, Schumann costruisce
qui qualcosa di spettrale e immaginario portando la scena ben oltre la
facciata persino un po' ironica del simbolismo goethiano. E
bisognerà attendere gli incubi notturni e i deliri di Wagner
per avere qualcosa di simile nell'Ottocento musicale.
Il dialogo tra Faust e la Cura occupa la parte centrale della scena e
richiama un clima sonoro allucinato, teso, inquietante, fatto quasi
solo di recitativi senza canto. Per quanto privo dell'ausilio delle
arti magiche cui ha definitivamente rinunciato, Faust resiste alla Cura
e si erge eroicamente ad arbitro del proprio destino:
riprenderà i grandiosi lavori già progettati e
fiderà solo nella ragione e nell'azione. Sarcasticamente la
Cura lo deride e col suo soffio l'acceca. Faust comprende: ora che non
vede più con gli occhi, saprà scorgere attraverso
la luce interiore e si spingerà risolutamente verso l'ultima
azione. Un tema solenne ed energico in si maggiore, ripreso dalla Coda
dell'Ouverture, annuncia fin troppo inequivocabilmente che il suo
trionfo è vicino, spezzando un poco l'incanto e l'ambigua,
seducente tensione di questa scena oscura.
N. 6 - Morte di Faust
(Mefistofele e coro di Lemuri. Faust e coro). Tonalità di re
minore/la bemolle maggiore (fa minore)/do maggiore. Schumann intitola
Morte di Faust
questa scena, che in Goethe ha semplicemente un'indicazione d'ambiente:
"grande cortile antistante il palazzo". Faust è deciso a
portare a termine un grande atto in favore dell'umanità:
erigere una città ideale e contornarla di una diga. Ma
Mefistofele trama un nuovo inganno: quel che si costruirà
è una fossa per seppellire il corpo di Faust,
giacché l'anima già gli appartiene. E per
ciò chiama a sé i Lemuri: il loro approssimarsi
è descritto in orchestra da una sfrenata danza macabra
ritmata da squilli di tromba. Per la prima volta nella versione di
Schumann, Faust e Mefistofele si trovano l'uno di fronte all'altro;
alle minacce ora serie ora grottesche del demonio Faust risponde con
tranquilla pacatezza: il suo canto, arioso ed espanso assume a simbolo
il semitono discendente di Margherita, ma come fosse trasfigurato e
svuotato del dolore. Nell'ultimo monologo, l'invocazione di Faust
all'attimo fuggente rappresenta il momento di maggiore
intensità espressiva: una modulazione insistita e ripetuta a
do maggiore (che qui appare emblematicamente la tonalità
della morte, contro ogni tradizione) prepara una sospensione in cui la
fatalità dello scorrere del tempo è per
così dire esorcizzata dalle parole stesse di Faust e dalla
sua nobile, calma frase ascendente («Fermati dunque, sei
così bello!»). Egli sa che a quell'attimo
è legata la sua fine. Un vibrante interludio orchestrale,
ancora punteggiato dai segnali dei tromboni, conclude la sua vicenda
terrena. L'epilogo, nel quale il recitativo di Mefistofele si perde e
scompare nel rarefatto diatonismo del coro (ingenua ma di sicuro
effetto la caduta melodica alle parole «va
giù!»), informa che «tutto è
compiuto». Quel che segue, il corale orchestrale che chiude
la seconda parte, già respira l'atmosfera della
Trasfigurazione e
assicura dell'avvenuta salvezza di Faust.
Parte terza
N. 7 - Trasfigurazione
di Faust (scena, finale del
Faust, in sette
parti o sezioni). «Gole montane. Bosco, rupi, solitudine,
Santi anacoreti distribuiti su per il monte fra gli
scoscendimenti»: questo il quadro figurativo dell'ultima
scena. Musicata integralmente nei suoi 267 versi, essa presenta una
straordinaria complessità e varietà di aspetti
pur nella rigida simmetria formale che la governa e nella distribuzione
gerarchica, dal basso verso l'alto, dei personaggi maschili e
femminili, che si corrispondono anch'essi: Pater Ecstaticus, Pater
Profundus e Pater Seraphicus da un lato, Magna Peccatrix, Mulier
Samaritana e Maria Aegyptiaca dall'altro. Al di sopra degli uni il
Doctor Marianus, al di sopra delle altre la Mater Gloriosa.
Parallelamente nella sfera angelica si hanno il coro dei Fanciulli
Beati da una parte e il coro delle Penitenti (da cui
emergerà
Una
poenitentium, colei che un giorno era chiamata Margherita)
dall'altra: essi confluiranno in una nuova triade, quella di Angeli,
Angeli Novizi e Angeli Perfetti, per giungere a contemplare infine
tutti insieme in unità la perfezione della gerarchla celeste
nel conclusivo
Chorus
Mysticus. Vediamo adesso brevemente una per una le sette
sezioni dell'ultima scena (sette, come sette sono complessivamente le
Scene dal "Faust").
La simmetria tonale e formale è qui molto più
stretta che nelle altre due parti e si dispone secondo una figura
ascensionale richiesta dal senso stesso del testo.
N. 1 - Coro. Waldung,
sie schwankt heran.
Tonalità di fa maggiore. In questa introduzione a sfondo
descrittivo la costruzione musicale realizza un senso ascendente col
progressivo sovrapporsi degli strumenti secondo la successione degli
armonici: dal fa basso dei contrabbassi si raggiunge il sol acuto dei
flauti, punto culminante dell'architettura sonora, per poi
ridiscendere, con un incastro sempre più fitto e ravvicinato
di ritardi e appoggiature, alla conquista della triade perfetta di fa
maggiore, tonalità fondamentale di questa scena. L'immobile
fissità che distingue questo prologo è data dalla
regolarità dello schema ritmico ternario composto (9/8) e
dalla trasparenza di una strumentazione che procede per fasce sonore
continue, senza strappi o scosse. All'introduzione orchestrale fa
seguito il coro, basato sull'effetto dell'eco: soprani e contralti
incominciano il canto, tenori e bassi lo riprendono in un sinuoso
intreccio contrappuntistico, che a poco a poco muove lo sfondo statico
del paesaggio poetico-musicale. (Il procedimento usato da Schumann
somiglia a quello concepito da Wagner per l'inizio dell'
Oro del Reno)
N. 2 - Tenore solo:
Ewiger Wonnebrand, gluhendes Liebesband (Pater Ecstaticus).
Tonalità di re minore. Pater Ecstaticus è figura
in perenne movimento, volteggiante in alto e in basso a collegare tra
loro sfere superiori e inferiori: il «fuoco eterno
dell'estasi» significa per lui solo nostalgia infinita e
inappagata attesa di placarsi nella perfetta immobilità
dell'essenza divina. Il suo movimento perpetuo è reso dal
violoncello solo con una figura che, estendendosi all'orchestra,
accompagna da capo a fondo il canto, a sua volta caratterizzato dalla
mancanza di riposo sul tempo forte della battuta, quasi a voler
simboleggiare il desiderio di un "legame ardente d'amore" che non
giunga a realizzarsi. (Si noti di passaggio che il tema del violoncello
è strutturalmente affine a quello che sin dall'Ouverture
caratterizzava la forza del male, ossia Mefistofele, e che qui, con
ardita metafora, esso si ribalta nel proprio opposto - ossia il Bene -
in uno stadio di incompletezza e di ricerca.)
N. 3 - Basso solo: Wie
Felsen-Abgrund mir zu Fussen (Pater Profundus. Poi Pater
Seraphicus e coro di Fanciulli Beati).
Tonalità di si bemolle maggiore. Pater Profundus, confinato
nella regione più bassa della gerarchia celeste, esperimenta
Dio per mezzo della conoscenza razionale e intellettuale: ha
«pensieri profondi e giusti» ma non possiede la
fiamma dell'intuizione rivelatrice. Al suo canto pervaso di immagini
della vita terrena Schumann presta mediazioni di carattere analogico e
imitativo, slanciandosi nell'evocazione della natura selvaggia animata
dal soffio dell'amore divino con una citazione dalla
Sinfonia "Renana",
composta in quell'anno (terzo tempo,
Nicht schnell). Il
canto plastico del Pater Profundus si chiude in una assorta invocazione
affinchè Dio plachi i suoi pensieri e illumini il suo cuore.
Gli subentra senza soluzione di continuità il Pater
Seraphicus (voce di baritono), che abita nella regione media fra la
terra (il cui ricordo è in lui ormai del tutto placato) e le
sfere degli angeli. Egli non è solo. Sono con lui i
Fanciulli Beati (coro di ragazzi) cioè coloro che, nati alla
mezzanotte, sono morti in tenera età e benché
salvi non hanno potuto raggiungere lo stadio superiore degli Angeli in
quanto privi dell'esperienza del male e della vita (si ricordi il Limbo
della tradizione cattolica). Sarà compito del Pater
Seraphicus mostrar loro il mondo attraverso i propri occhi angelici
è trarli gradatamente, colmando l'esperienza che manca loro,
alla perfezione suprema.
Nel suo candore "infantile" e quasi popolaresco, così
prossimo al mondo, innocente e sereno, del
Des Knaben Wunderhorn
prima della "catastrofe" (e dopo la catastrofe avremo i bambini di
Mahler, nell'
Ottava
Sinfonia), questo episodio rappresenta un'oasi di
conciliazione e di tenerezza prima che l'ascesa riprenda verso il suo
compimento. Si ascolti come la musica lievemente accompagna il
progressivo salire dei fanciulli verso l'alto, in un ritmo che via via
si fa più rapido e incalzante senza tradire alcuna fretta,
con la cadenza delle cose prescritte; e invece la nota affettuosamente
umoristica del brivido di paura che si impadronisce dei fanciulli
allorché il Pater Seraphicus accenna al male che pur esiste
sulla terra, ed essi chiedono di tornare subito nel cieli al sicuro.
N. 4 - Coro. Gerettet
ist das edle Glied (Angeli, Angeli Novizi, Angeli
Perfetti, Fanciulli Beati).
Tonalità di la bemolle maggiore/mi maggiore/sol bemolle
maggiore/si bemolle maggiore. Questa vasta e composita sezione tutta
corale, posta al centro delle sette che formano la scena finale,
è assai più che in Goethe un nodo cruciale
dell'interpretazione schumanniana. Si compie qui la vera salvazione di
Faust e la sua trasfigurazione in simbolo dell'umanità
vittoriosa e spiritualizzata. La didascalia definisce il quadro
scenico: «in volo nelle parti più alte
dell'atmosfera, gli Angeli recano la parte immortale di
Faust»; «Chi si affatica sempre a tendere
più oltre, noi possiamo redimerlo», cantano gli
Angeli. Ed è su questi versi, intonati dal coro con
particolare ieraticità, che è costruito l'intero
episodio. La massiccia orchestrazione, la veemente fermezza del coro,
descrivono l'effigie di un trionfo assoluto, scandito al ritmo di una
marcia solenne. Ecco poi il canto di un soprano solo (
Jene Rosen, aus den
Händen), che espone su toni più
leggeri e vivaci il significato della vittoria sul male, subito ripreso
dal coro dei soprani e concluso, con gioiosa esultanza, da tutti gli
Angeli Novizi. Salendo ancora di un gradino, si presentano gli Angeli
Perfetti, che pur nella loro perfezione recano ancora un residuo della
dolorosa esistenza terrena: il loro canto sembra quasi voler figurare
una compiutezza nell'«Amore eterno» inclinando
dall'articolazione contrappuntistica - tendenzialmente qui modulante -
alla quiete e all'unità dell'insieme omofonico. La ripresa
del tema del soprano solo, quasi a mo' di ritornello, rischiara questa
penombra e riporta alla tonalità di la bemolle maggiore,
chiudendo cosi il primo episodio.
Una brusca modulazione enarmonica a mi maggiore introduce il secondo
episodio. Tocca ora agli Angeli Novizi esporre la visione della
trasfigurazione di Faust. Nuovamente il coro si fraziona e si ricompone
come in balìa di un'eccitazione irrefrenabile. Mentre i
Fanciulli Beati accolgono Faust nella schiera celeste, una luce
adamantina si diffonde tutt'intorno. La trasfigurazione sta per
compiersi: una linea ascendente verso l'acuto (esposta in progressione
da clarinetto, oboe e flauto) punteggia la definitiva salita in cielo
di Faust. Il tessuto armonico si apre di nuovo allargandosi
distesamente e modulando a si bemolle maggiore, tonalità
nella quale avviene la ripresa del coro iniziale (
Gerettet ist das edle Glied)
in un fugato robusta e potente.
N. 5 - Basso solo: Hier
ist die Aussichtfrei (Doctor Marianus).
Tonalità di sol maggiore. Il Doctor Marianus, allogiato
nella cella più alta e più pura, è
dunque la figura maschile più elevata:
Doctor e non
Pater per la sua
particolare devozione allo studio dei misteri connessi con la Vergine
Maria. Il suo canto è l'espressione piena di ciò
che la didascalia goethiana suggerisce: uno stato d'estasi (
entzückt)
che si scioglie in lucente preghiera alla Madonna. Il senso di
rarefazione di questo episodio, forse il più eccelso
dell'intera partitura, è dato dall'intima trasparenza
dell'orchestrazione, nella quale gli archi sono ridotti a dimensioni
cameristiche, e dalla flessibilità della linea vocale, che
spazia dal recitativo introduttivo all'arioso lirismo dell'invocazione
alla Vergine, su una pregnante melodia dell'oboe accompagnato
dall'arpa. (La mente corre per associazione alla "canzone della stella
del vespro" intonata da Wolfram nel terzo atto del
Tannhäuser
di Wagner). Un repentino passaggio al modo minore (sol minore)
evidenzia l'immagine dell'avvicinarsi delle penitenti: l'episodio si
interrompe alla quarta strofa del Doctor Marianus, sospendendosi sulla
dominante del tono fondamentale. Le altre due strofe seguiranno senza
soluzione di continuità nel sesto e penultimo numero della
scena.
N.6 - Basso solo: Dir,
der Unberührbaren (Doctor Marianus, Mater
Gloriosa, Coro delle penitenti, Magna Peccatrix, Mulier Samaritana,
Maria Aegyptiaca, Una poenitentium chiamata un tempo Margherita,
Fanciulli Beati).
Tonalità di si bemolle maggiore/do maggiore/la maggiore.
Aperta e chiusa dalle parole compite del Doctor Marianus, questa
penultima sezione presenta in rapido avvicendamento le figure femminili
delle tre peccatrici pentite, desunte dai Vangeli e dagli
Atti dei Santi
(Magna Peccatrix è colei che singhiozzando versò
ai piedi del Salvatore il suo prezioso balsamo; la Mulier Samaritana
offrì da bere a Gesù; Maria Aegyptiaca fu una
cortigiana che, respinta dal Tempio, si ritirò nel deserto a
vita di penitenza per quarantasette anni, lasciando il proprio nome
scritto sulla sabbia). Il significato dell'ascesa verso il vertice
riguarda ora l'Elemento Femminile, la cui celebrazione
avverrà nel conclusivo
Coro
mistico. La purezza della Mater Gloriosa e la
carità delle peccatrici, il cui canto tende ora a fondersi,
risplende nell'apparizione di una delle penitenti, chiamata un tempo
Margherita: costei, come sappiamo, è già salva,
ma non perdonata, e la giustificazione dei suoi atti si compie ora qui
nel ricordo del suo dramma, ma come vólto in positivo e
riscattato dal tripudio di fede che la circonda e riscalda.
Significativamente questa apparizione è contrassegnata dalla
stessa struttura formale e quasi dalle stesse parole con cui Margherita
si era rivolta, in vita, all'immagine della Mater Dolorosa: divenuta
semplicemente "Una poenitentium", può ora rivolgersi alla
Mater Gloriosa - rovescio di quell'immagine - come placata; e
là dove erano parole di pena e di dubbio sono ora accenti di
gioia e di certezza. Scortata dai Fanciulli Beati, Margherita
può riunirsi secondo il suo desiderio a Faust nella
beatitudine delle supreme sfere celesti.
La trasfigurazione dell'esperienza in spirali sempre più
elevate è il tema di fondo di questo episodio. Elemento
caratterizzante è il ritmo, che nel suo progressivo
intensificarsi e accrescersi rende quasi allegoricamente la propulsione
dell'ascesa e si distende infine nel movimento statico e circolare
delle terzine,
continuum
che fluisce senza più divenire.
N. 7 - Chorus Mysticus:
Alles Vergängliche ist nur ein Gleichnis (soli e
coro).
Tonalità di do maggiore/fa maggiore. I sublimi versi finali
del
Faust
rappresentano per Schiumann il compimento dell'opera ma anche, come
già abbiamo detto, il suo nucleo originario. Il fatto che
egli li abbia musicati in due versioni, la seconda delle quali
è un'ulteriore riduzione di una pagina già
esemplarmente scarna e concisa nonostante la densità dei
significati, rivela la piena consapevolezza di un impegno gigantesco.
Dal punto di vista formale - che ad altra analisi non potremmo in
questa sede neppure avvicinarci - il
Coro mistico finale
è diviso in tre parti. La prima (
Lento,
in do
maggiore) espone integralmente gli otto versi del testo in una
progressiva espansione di concentrata solennità, secondo la
tecnica del doppio coro - a blocchi alternati e poi sovrapposti - e con
sostegno tematico di tre tromboni. La seconda (
Vivace, in fa
maggiore) si articola in un fugato tra orchestra e coro, a cui si
aggiungono i quattro solisti, su un testo costituito dagli ultimi due
versi e a ritroso dal quinto e sesto (invertiti) e terzo e quarto. La
terza (
Più
mosso) chiude l'opera in fa maggiore, ribadendo questi
quattro versi e con particolare insistenza gli ultimi due (
Das Ewigweibliche/zieht uns hinan)
in un contesto che torna omofonico e a cori alternati come nella prima
parte ma tende, più che ad ascendere, a fissarsi in
circolare immobilità, per poi assottigliarsi nel graduale
diminuendo delle sonorità in un diafano velo di pause e di
incisi ribattuti. L'evidente simmetria dell'impianto formale sembra
voler identificare la chiusa con un ordine e una proporzione
d'equilibrio alfine raggiunto anche sul piano linguistico: ed
è in questo senso significativo che do maggiore,
tonalità della morte di Faust, sia qui usato esplicitamente,
come dominante, in funzione di fa maggiore, tonalità della
Trasfigurazione. A sua volta la tecnica ad incastro adoperata da
Schumann può far pensare a tre stadi di uno sviluppo
altrettanto simmetrico, che riassume per l'ultima volta e condensa le
tre parti dell'opera: dal vuoto al pieno (figurativamente, dal basso
verso l'alto) nella prima parte; articolazione e movimento del "pieno"
(anche nella ricchezza di mezzi e di elementi linguistici quali
contrappunto, ritmo e armonia) nella seconda parte; corrispondente
ritorno, "a specchio", dal pieno al vuoto (ossia dall'alto verso le
altezze incommensurabili delle sfere celesti, che si ripercuotono anche
in basso) nella terza parte. Se la pausa "musicale" e la frantumazione
del testo a minimi incisi ribattuti sono gli elementi strutturali della
chiusa, l'ultima intonazione del verso finale ormai non «trae
verso l'alto» ma si spegne in pianissimo nella tessitura
grave, mentre violini e viole tratteggiano un tenue arabesco
discendente per raggiungere, sul pedale dei bassi, le note della triade
di fa maggiore. Da ultimo, il vuoto silenzio. E non appare dubbio che
il silenzio verso cui l'opera tende fosse sentito da Schumann come la
perfezione raggiunta con l'opera, al di là dell'opera.
Sergio Sablich
(1)
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 febbraio 2000
I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti
e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
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agli aventi diritto.
Ultimo aggiornamento 29 dicembre 2012