Tema con variazioni sul nome "Abegg", op. 1


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Tema. Animato (fa maggiore)
  2. Tre variazioni (fa maggiore)
  3. Cantabile (fa minore - fa maggiore)
  4. Finale alla Fantasia (fa maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1830
Edizione: Kistner, Lipsia, 1831
Dedica: Pauline, contessa di Abegg
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Schumann iniziò a comporre assai più tardi di quanto non usasse ai suoi tempi: aveva diciotto anni quando scrisse i primi Lieder e poi le Polacche per pianoforte a quattro mani. Ma la sua vocazione creativa, una volta manifestatasi, si incanalò rapidamente verso la composizione di pagine per pianoforte: e fu una vocazione che assunse caratteri persino maniacali, tanto che per dieci anni Schumann non compose se non per pianoforte solo.

All'inizio di questo periodo, quand'era sui vent'anni, Schumann pensava ancora a crearsi il tradizionale repertorio del pianista-compositore. Poi, mano a mano che si vanificavano le speranze di percorrere la carriera concertistica, il pianoforte divenne per lui non più veicolo di personale affermazione ma campo di sperimentazione sulle forme e sul linguaggio. E la sua opera pianistica del decennio 1830-40 si pose e si pone come uno tra i più importanti capitoli nella storia dello strumento, un capitolo che per densità ed importanza di contenuti ha un solo possibile paragone: l'opera che Fryderyk Chopin creò negli stessi anni.

Le Variazioni sul nome Abegg op. 1 si collocano ancora al confine tra la ricerca di autoaffermazione e di successo e la ricerca speculativa. Inizialmente erano state pensate in versione per pianoforte e orchestra (si ricordi che uno dei lavori di esordio di Chopin, salutato da una entusiastica recensione di Schumann, erano le Variazioni op. 2 per pianoforte e orchestra). Più tardi Schumann decise di rinunciare all'orchestra, ma le tracce di una impostazione concertistica si scorgono ancora nella redazione definitiva.

Il nome ABEGG, che secondo la notazione tedesca corrisponde ai suoni la-si bemolle-mi-sol-sol, era quello di una giovane e graziosissima pianista, Meta, conosciuta ad un ballo a Mannheim (il ballo, sia detto per inciso, è una delle costanti nella poetica schumanniana). La graziosa Meta venne però trasformata, nella dedica delle Variazioni, in una inesistente contessa Pauline von Abegg (e anche la creazione di personaggi di fantasia esemplati su personaggi reali è, come tutti sanno, una costante della poetica di Schumann). Il nome di Meta-Pauline divenne il nucleo tematico di un valzer di struttura ed anche di carattere schubertiano: otto battute, ripetute con piccole varianti, ed altre otto battute (sul tema letto per moto contrario, discendente invece che ascendente), anch'esse ripetute con piccole varianti.

La prima variazione è fortemente virtuosistica, con dislocazioni su più ottave che tendono a coprire tutto lo spettro sonoro del pianoforte, e con scrittura a due parti, nella mano destra, di difficile realizzazione. La seconda variazione, a dialogo tra soprano e basso (il Basso parlando, dice la didascalia), capovolge però questa impostazione e ci presenta lo Schumann intimistico che abbiamo più familiare.

I due aspetti ritornano nelle variazioni terza e quarta: la terza è una variazione di agilità leggera e ornamentale, la quarta è una specie di barcarola, molto ornamentata, che introduce il Finale alla fantasia divagazione capricciosa sul tema, che ingloba in sé diversi spunti di variazioni. Prima della coda Schumann trova un effetto di evanescenza di un accordo (le quattro note dell'accordo vengono spente una alla volta, come le luci di quattro lampioni), un effetto della cui invenzione era molto orgoglioso, tanto che lo avrebbe ripreso nei Papillons op. 2 e citato nella prefazione degli Studi da Caprìcci di Paganini op. 3.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il nome Abegg, nella terminologia musicale tedesca, corrisponde alle note La-Si bemolle-Mi-Sol-Sol; ed è su questo breve frammento melodico che Schumann costruisce la lieve trama delle sue Variazioni, prima opera data alle stampe, nel 1831, che, secondo la moda dell'epoca, sfoggia una intitolazione francese: "Thème sur le nom Abegg varié pour le pianoforte". La composizione di questo piccolo gioiello della durata di otto minuti circa, risale agli anni 1829-30, quando Schumann si trovava a Heidelberg dove, secondo i progetti della madre, si sarebbe dovuto laureare in Legge.

L'enorme emozione provata durante un concerto di Paganini, ascoltato a Francoforte il giorno di Pasqua del 1830, e più ancora la rivelazione dell'opera di Beethoven e Schubert, lo convinsero in modo definitivo della sua autentica vocazione musicale, sempre accompagnata, come un'ombra, dalla passione per la letteratura.

Il giovane Schumann è essenzialmente, se non esclusivamente pianista. Ammiratore di virtuosi come Hummel e Moscheles, e lui stesso aspirante alla carriera di virtuoso, troncata prima di nascere dal ben noto incidente che gli paralizzò il dito medio della mano destra, Schumann, nel decennio 1830-40, compone, solo per il suo strumento, una serie impressionante di capolavori.

Quanto mai lontane dalle macchinose e imponenti serie di variazioni composte dai contemporanei, le "Variazioni Abegg", pur nella loro freschezza d'ispirazione, risentono inevitabilmente di quel pianismo brillante e perlato di un Moscheles o di un Weber.

Al tema di sedici battute seguono tre sole Variazioni, di cui la seconda presenta la tipica scrittura schumanniana con il lieve sfalsamento fra linea superiore e basso, e un Finale alla fantasia impreziosito da vorticose, ma elegantissime volute di semicrome.

Giulio D'Amore


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 8 marzo 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 gennaio 1989


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Ultimo aggiornamento 21 dicembre 2013