Winterreise, op. 89, D. 911

Ciclo di 24 Lieder per voce e pianoforte

Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
Testo: Wilhelm Müller
Libro I
  1. Gute Nacht: Fremd bin ich eingezogen - Mässig (re minore)
    Prima esecuzione: Vienna, Musikvereinsaal, 10 Gennaio 1828
  2. Die Wetterfahne: Der Wind spielt mit der Wetterfahne - Ziemlich geschwind (la minore)
  3. Gefrorne Tränen: Gefrorne Tropfen fallen - Nicht zu langsam (fa minore)
  4. Erstarrung: Ich such im Schnee vergebens - Ziemlich schnell (do minore)
  5. Der Lindenbaum: Am Brunnen vor dem Tore - Mässig (mi maggiore)
    Prima esecuzione: Vienna, Musikvereinsaal, 22 Gennaio 1829
  6. Wasserflut: Manche Trän' aus meinen Augen
    1. Prima variante - Langsam (fa diesis minore)
    2. Seconda variante - Langsam (mi minore)
  7. Auf dem Flusse: Der du so lustig rauschtest - Langsam (mi minore)
  8. Rückblick: Es brennt mir unter beiden Sohlen - Nicht zu geschwind (sol minore)
  9. Irrlicht: In die tiefsten Felsengründe - Langsam (si minore)
  10. Rast: Nun merk ich erst
    1. Prima variante - Mässig (do minore)
    2. Seconda variante - Mässig (re minore)
  11. Frühlingstraum: Ich träumte von bunten Blumen - Etwas bewegt (la maggiore)
  12. Einsamkeit: Wie eine trübe Wolke
    1. Prima variante - Langsam (si minore)
    2. Seconda variante - Langsam (re minore)
Libro II:
  1. Die Post: Von der Strasse her ein Posthorn klingt - Etwas geschwinid (mi bemolle maggiore)
  2. Der greise Kopf: Der Reif hat einen weissen Schein - Etwas langsam (do minore)
  3. Die Krähe: Eine Krähe war mit mir - Etwas langsam (do minore)
  4. Letzte Hoffnung: Hie und da ist an den Bäumen - Nicht zu geschwind (mi bemolle maggiore)
  5. Im Dorfe: Es bellen die Hunde - Etwas langsam (re maggiore)
    Prima esecuzione: Vienna, Musikvereinsaal, 22 Gennaio 1829
  6. Der stürmische Morgen: Wie hat der Sturm zerrissen - Zeimlich geschwind, doch fräftig (re minore)
  7. Täuschung: Ein Licht tanzt freundlich - Etwas geschwind (la maggiore)
  8. Der Wegweiser: Was vermeid ich denn die Wege - Mässig (sol minore)
  9. Das Wirtshaus: Auf einen Totenacker - Sehr langsam (fa maggiore)
  10. Mut: Fliegt der Schnee mir ins Gesicht
    1. Prima variante - Mässig, kräftig (la minore)
    2. Seconda variante - kräftig geschwind (sol minore)
  11. Die Nebensonnen: Drei Sonnen sah ich
    1. Prima variante - Mässig (la maggiore)
    2. Seconda variante - Nicht zu langsam (sol maggiore)
  12. Der Leiermann: Drüben hinterm Dorfe
    1. Prima variante - Etwas langsam (la minore)
    2. Seconda variante - Etwas langsam (si minore)
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1827
Edizione: Haslinger, Vienna, 1828
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Habent sua fata libelli»: il verso di Terenziano Mauro (De litterìs, syllabis et metris, 1286) è l'epitaffio degli scrittori cui il tenace accanimento della storiografia letteraria ha riservato amorevolmente un posto all'ombra. Fra essi è registrato Wilhelm Müller, poeta di genio e di alta nobiltà che la tradizione critica, o semplicemente manualistica, colloca in postille frettolose o nelle note in calce come un accidente marginale alla creatività schubertiana, secondo il noto cliché costantemente applicato anche al teatro d'opera: grande musica, testo mediocre. Persino un germanista sommo e nemico dei luoghi comuni come Ladislao Mittner non trova di meglio che nominare fuggevolmente Müller, tedesco di nord-est, alla fine del paragrafo sui poeti svevi (Kerner, Hauff), con la strana formula «Ricordiamo qui un poeta non svevo [...]». Insomma, il pezzo che dopo il montaggio è rimasto fuori, e non si sa dove mettere: un curioso modo di definire qualcuno secondo il criterio del "ciò che non è". Meglio affidarsi all'orecchio, organo rivelatore e abitualmente veritiero: i versi di Müller hanno l'energia di quelli di Uhland, a volte suonano con l'eco tenebrosa di Heine, conservano tracce della funerea poesia di quel Matthias Claudius che proprio a Schubert lasciò in eredità lo spettrale balenio di Der Tod und das Mädchen.

S'intenda, nessuna denigrazione (a Müller è sempre assegnato sulla pagina troppo poco spazio, e occorre un certo spazio anche per denigrare), e neppure veri e propri giudizi riduttivi. Piuttosto, si sottintende che Müller fu un poeta estemporaneo, non professionale, e che egli stesso non intendeva prendersi troppo sul serio. Contro questa ignoranza della storia vorremmo trarre il poeta, almeno per poco, fuori dall'angolo buio. Wilhelm Müller nacque a Dessau, al confine tra Sassonia e Brandeburgo, martedì 7 ottobre 1794, da una famiglia di artigiani. A quattordici anni aveva già scritto odi, elegie e una tragedia. Nel 1812 s'iscrisse all'Università di Berlino dove fu allievo del filologo e grecista Friedrich August Wolf; l'amore per l'antichità classica fu dominante nella sua formazione. Il 16 febbraio 1813, mentre ferveva in Germania la guerra decisiva contro Napoleone, troncò gli studi e, diciannovenne, si arruolò volontario nell'esercito prussiano. Combattè a Lützen, Hanau, Bautzen e Kulm, poi in Belgio e in Olanda. Nel 1815 ritornò all'Università. Divenuto nazionalista acceso in seguito all'esperienza bellica, si volse allo studio della letteratura medievale tedesca. Entrò nella "Berlinische Gesellschaft für deutsche Sprache", e nel 1816 pubblicò l'antologia Blumenlese aus den Minnesingern.

A Berlino, frequentando i circoli e i salotti letterari, divenne amico di Gustav Schwab (1792-1850), autore dei Deutsche Volksbücher ed editore della rivista «Deutscher Musenalmanach» insieme con Adalbert von Chamisso; di Achim von Arnim (1781-1831), che insieme con il cognato Clemens Brentano fu autore della silloge Des Knaben Wunderhorn, libro capitale del romanticismo tedesco al pari dei Märchen raccolti dai Grimm; di Friedrich La Motte-Fouqué (1777-1843), autore della celeberrima Undine. Le poesie scritte da Müller in quegli anni d'esordio apparvero per la prima volta nella pubblicazione collettiva di un circolo letterario (Bundesblüten, 1816) ed ebbero radice in un poetico gioco di società, in cui ogni poeta doveva rappresentare in versi qualcosa cui il suo nome alludeva. Müller narrò poeticamente la malinconica storia di un mugnaio (=Müller), e nacque così il ciclo Müller-Lieder (1816) poi divenuto Die schöne Müllerin.

Concluse nel 1817 gli studi universitari, e stava per lasciare Berlino quando la locale Accademia delle Scienze lo incaricò di accompagnare in Egitto un ricco nobiluomo, il barone Sack, come consulente culturale. Attraversando l'Italia, Müller visitò Venezia, Firenze e Roma. Come Goethe, fu vinto dal fascino dell'Urbe: interruppe il viaggio, abbandonò il barone e rimase in Italia per un anno. Da quel soggiorno nacquero due scritti: Rom, Römer und Römerinnen (1820) ed Egeria. Sammlung italienischer Volkslieder aus mündlìcher Überlieferung und fliegenden Blättern (1829, postumo).

Ritornato a Dessau, vi insegnò latino e greco, e nel 1819 divenne bibliotecario del duca di Anhalt-Dessau. Il 21 maggio 1821 sposò Adelheid von Basedow, una giovane colta, ottima cantante, che parlava inglese, francese e italiano, e apparteneva a una delle famiglie più ragguardevoli di Dessau. Era figlia dell'illustre pedagogista Johannes Bernhard von Basedow. Nel 1821, Müller pubblicò il I volume dei 77 Gedichte aus den hinterlassenen Papieren eines Waldhornisten ("77 poesie dal lascito postumo degli scritti di un itinerante suonatore di corno da caccia"). In quel volume era compreso il ciclo Die schöne Müllerin ed era già presente un primo gruppo delle poesie che poi avrebbero costituito Die Winterreise. Nello stesso anno uscirono i quattro quaderni dei Lieder der Griechen, con i quali Müller divenne in Germania il portavoce poetico dei Filelleni, ossia degli uomini di cultura che difendevano le ragioni dell'indipendenza ellenica dalla dominazione turca. Al movimento filellenico appartenevano uomini come re Ludwig I di Baviera e il poeta George Byron. Quella pubblicazione, grazie al significato civile del messaggio politico e culturale in essa implicito, valse a Müller grande fama in Germania.

Nel 1820, Mùller era entrato in stretti rapporti di collaborazione con l'editrice Brockhaus di Lipsia, e aveva fondato il periodico «Askania». Cominciò a scrivere per.altriperiodici editi da Brockhaus: «Das Taschenbuch Urania», «Kermes», «Das Konversationsblatt». Scrisse la prima parte della Winterreise alla fine del 1821, e inviò le dodici poesie all'editore Friedrich Arnold Brockhaus (1772-1823) il 16 gennaio 1822, intitolandole semplicemente Gedichte für «Urania». Sempre alla fine del 1821 scrisse per «Urania» un lungo articolo su Byron, che fu giudicato moralmente e politicamente scandaloso: fu tale articolo a far proibire la diffusione della rivista a Vienna. Tuttavia, il decreto governativo entrò in vigore dopo che nella capitale austriaca aveva cominciato a circolare l'annata 1823 di «Urania», proprio quella in cui erano state stampate le dodici poesie "invernali" di Müller. Fu là che Franz Schubert trovò la prima parte della Winterreise, poiché l'amico Franz von Schober, che allora lo ospitava in casa propria a causa delle condizioni di assoluta indigenza del musicista, aveva preparato per Schubert una piccola biblioteca di cui «Urania» 1823 faceva parte: fatale chiaroveggenza di un uomo magari affettuoso ma non brillante per acume.

Nel 1823 Müller pubblicò dieci poesie, poi destinate a confluire nella seconda parte della Winterreise (mancavano ancora Die Post e Täuschung) su una rivista di Breslau, dove la censura era meno severa: i «Deutsche Blätter für Poesie, Literatur, Kunst und Theater», nel numero del 13/14 marzo 1823. Su «Hermes» 1823 pubblicò un saggio sulla poesia di Thomas Moore, rivelando così un crescente interesse per la letteratura inglese, già emerso al tempo dell'articolo su Byron. Finalmente, nel novembre 1824 uscì il II volume dei 77 Gedichte aus den hinterlassenen Papieren eines reisenden Waldhornisten, in cui apparve la versione completa e definitiva della Winterreise.

Sempre nel 1824 pubblicò Homerische Vorschule: eine Einleitung in das Studium der «Ilìas» und «Odyssee», e scrisse le "voci" Colerìdge, Moore, Byron e Crabbe per il Konversations-Lexikon edito da Brockhaus. Lavorò per altre imprese editoriali di Brockhaus: per l'Allgemeine Enzyklopädie der Wissenschaften und Künste e, come curatore e coordinatore, per la Bibliothek deutscher Dichter des siebzehnten Jahrhunderts. Quest'ultimo lavoro fu per lui l'occasione di esplorare da cima a fondo la poesia tedesca del Seicento. Nel 1827, poco prima della sua immatura scomparsa, pubblicò Lyrìsche Reisen und epigrammatische Spaziergänge, in cui ritornò alle amate memorie italiane, e la novella Der Dreizehnte. Un'altra novella, Debora, fu edita postuma. Müller morì a Dessau domenica 30 settembre 1827. Soltanto nel 1905 apparve a Berlino, a cura di J. T. Hatfield, l'edizione critica di tutte le sue poesie.

Questo nostro scritto non sarebbe, forse, così mosso da profonde motivazioni interiori se poco più di un anno fa non fosse apparso un saggio che come pochi altri fa onore alla musicologia italiana e all'esercizio della Kulturgeschichte in Italia. Il giovane e valoroso autore, Carlo Lo Presti, mostra come la lunga gestazione del ciclo poetico destinato a incarnarsi nella Winterreise di Schubert (due anni, 1821-1823, e varie revisioni con notevoli varianti) sia stata una prassi inconsueta per Müller, abituato a comporre di getto poesie d'occasione in gran copia e a scrivere saggi e recensioni in tempi brevissimi. Scrive Lo Presti: «II ciclo è una meditazione sganciata da occasioni biografiche; quindi più forte è la componente letteraria, che affonda le sue radici nell'humus della cultura multiforme del poeta. Egli costruisce il racconto intorno alla figura del "Wanderer", che diviene una proiezione della posizione dell'intellettuale nell'età della Restaurazione. Partito da un ciclo che racconta la fuga notturna di un amante respinto, Müller abbandona poi il tema amoroso e proietta il percorso dell'errare del "Wanderer" su uno spazio e un tempo indefiniti, trasformando il viaggio in un'allegoria della ricerca di un senso, che permetta di vivere. Il viandante assume alcuni tratti dell'ebreo errante, tema di una poesia coeva, che riecheggia il Song for the Wandering Jew di Wordsworth, pubblicato per la prima volta nella seconda edizione delle Lyrical Ballads, del 1800. Possiamo quindi supporre che Müller conoscesse la raccolta e avesse letto anche la Rime of the Ancient Mariner di Coleridge». Carlo Lo Presti suggerisce, con ampia documentazione, la profonda affinità esistente tra la Winterreise di Müller e i Wanderlieder di Ludwig Uhland, uno dei quali s'intitola appunto Winterreise.

Bei diesem kalten Wehen
sind alle Strassen leer,
die Wasser stille stehen,
ich aber schweif umher.
[...]

Aggiungiamo, sviluppando alcuni cenni impliciti di Lo Presti, un'altra forte affinità: quella tra la Winterreise di Müller e la raccolta Lyrisches Intermezzo di Heinrich Heine, parzialmente messa in musica da Robert Schumann come testo per il suo ciclo liederistico Dichterliebe. Ma una poesia heiniana da un'altra raccolta, Die Heimkehr ("Ritorno a casa", 1823/24) divenne un altro e supremo capolavoro della liederistica schubertiana: alludiamo a «Still ist die Nacht, es ruhen die Gassen», che Schubert, con il titolo Der Doppelgänger, inserì come penultimo Lied (il n. 13) nel suo ultimo ciclo liederistico, Schwanengesang ("Canto del cigno"), composto tra l'agosto e l'ottobre 1828 e ultimato perciò poche settimane prima che egli morisse. L'idea di "sosia nel destino", di "alter ego", di virtuale "Doppelgänger" (il viandante misterioso e spettrale che ha le mie sembianze e mi cammina al fianco sulla neve e sul ghiaccio, come nel finale di The Waste Land di Thomas Stearns Eliot) lampeggia sinistra già in Der Leiermann, l'ultimo Lied della Winterreise.

C'è però un legame di affinità, anzi, di remota e segreta ma foltissima eredità poetica, di cui nessuno finora, per quel che ne sappiamo, si è accorto. Se fosse nostra, omissione e lacunosa conoscenza, e se qualcuno ci smentisse con opportuna documentazione, gliene saremmo grati. Ci riferiamo alla parentela di sangue tra la Winterreise di Müller e Schubert e il "viaggio d'inverno" che nella poesia d'Occidente percorre il ciclo della più alta poesia e raggiunge i vertici del sublime nell'invenzione linguistica, nell'asprezza aggressiva delle idee e nella densità delle immagini tradotta, secondo una celebre definizione di Ezra Pound, nella massima energia semantica: le cosiddette (da Vittorio Imbriani) «rime petrose» di Dante Alighieri. È possibile che nessuno abbia mai notato la consanguineità, rivelata da abbaglianti coincidenze, tra il viaggio d'inverno sceneggiato da Müller e da Schubert e i versi iniziali della rima «petrosa» di Dante?

Io son venuto al punto de la rota
che l'orizzonte, quando il sol si corca,
ci partorisce il geminato cielo,
e la stella d'amor ci sta remota
per lo raggio lucente che la 'nforca
sì di traverso che le si fa velo;
e quel pianeta che conforta il gelo
si mostra tutto a noi per lo grand'arco
nel qual ciascun di sette fa poca ombra...

Il geminato ciclo richiama i Nebensonnen, così come l'acqua divenuta vetro per gelo, in versi successivi della canzone dantesca, richiamano le «lacrime gelate» di Müller. E molte altre coincidenze poetiche si evidenzierebbero ponendo a confronto i testi.

Franz Schubert (Lichtenthal, sobborgo di Vienna, ma oggi pieno centro della città, martedì 31 gennaio 1797 - Vienna, mercoledì 19 novembre 1828) cominciò a mettere in musica la Winterreise nel febbraio 1827, e concluse il lavoro nell'ottobre di quell'anno. Il ciclo fu numerato da lui come op. 89; nel moderno catalogo di Otto Erìch Deutsch reca il numero D. 911. Alcuni commentatori si sono soffermati sul carattere della struttura tonale ideata per i ventiquattro Lieder del ciclo, con osservazioni sovente troppo sottili, tanto da sfuggire di mano. Semplificando, notiamo come il ciclo cominci in re minore (Gute Nacht) e si concluda in la minore (Der Leiermann): il rapporto è di una quinta ascendente. Gli anelli della catena tonale sono costruiti su relazioni prossime (quinta o quarta) quando il tono poetico dei testi e della musica suggerisce una situazione affine e un'aura comune; su lati tonali (come quello dal do minore del n. 4, Erstarrung, al mi maggiore del n. 5, Der Lindenbaum) quando l'atmosfera cambia e crea un contrasto di colore e d'immagine; non di stato d'animo, poiché la tensione della psiche e della sensibilità estetica è immutata in tutto il ciclo, diversamente da quel che avviene, per esempio, in Schwanengesang. È significativa la sensibilità del compositore dinanzi ad alcune figure simboliche di animali: i derelitti, gli "ultimi", gli esclusi dalla natura umana e viventi ai margini di ciò che l'uomo vive e fa, ma anche immagini di coloro che escludono, o di coloro che prefigurano un destino funesto. Tali sono i cani di Gute Nacht, che ululano sinistramente allontanando il viandante dalla casa dell'amata, o abbaiano accompagnati dal rumoreggiare del trillo pianistico in Im Dorfe, o ringhiano contro il misero suonatore d'organetto in Der Leiermann. Tale è, come nunzio di sventura e di morte, ma anche come "Doppelgänger", la cornacchia in Die Krähe, dove il sobbalzo dell'anima, sulle parole «wunderliches Tier» ("strano animale"), si associa alla bizzarria di un'indimenticabile modulazione, prima dalla tonalità minore alla relativa maggiore, poi da questa a una tonalità alla seconda maggiore ascendente.

Il senso della morte come destino ineluttabile, prefigurata dal "viaggio agli inferi" di Das Wirtshaus, trova un'altra immagine simbolica nelle frequenti citazioni di severa musica liturgica; del corale protestante Wachet auf in Im Dorfe, del Kyrie dalla messa di requiem gregoriana in Das Wirtshaus, del Sanctus dalla Deutsche Messe D. 872 dello stesso Schubert in Die Nebensonnen (battute 5-9).

La morte assume una sembianza penitenziale e gotica, alla Dürer, nell'ultimo Lied, Der Leiermann. Il suonatore d'organetto, che nessuno ascolta, nel cui piattino nessuno fa cadere una moneta, contro il quale i cani ringhiano, è il "fratello" in ispirito, colui al quale il viandante del ciclo schubertiano, con le parole di Müller, propone di adattare la musica dell'organetto ai "suoi versi". È la cornacchia in sembianze umane? O piuttosto, ancora una volta, il "Doppelgänger" al quale il viandante irrigidito dal gelo della stagione e dal gelo dell'anima dice: «Tu e io siamo la stessa persona»? Certo, i versi, affidati al povero suonatore, si perderanno nel nulla, così come si perde nel nulla la melodia quasi "aritmica", o ritmicamente disfatta, dell'ultimo Lied. Non ci stupisce che l'eco di un frammento della Winterreise, il finale di Der Lindenbaum, accompagni verso l'annientamento il protagonista Hans Castorp nel romanzo di Thomas Mann Der Zauberberg ("La montagna incantata").

Quirino Principe

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Die schöne Müllerin, im Winter zu lesen e Winterreise, sono i cicli poetici di Wilhelm Müller da cui Schubert trasse i suoi cicli di Lieder; musicando venti delle venticinque poesie di cui si compone il primo, e tutte e ventiquattro le poesie di cui si compone il secondo (delle quali si limitò a mutare leggermente l'ordine). Nato pochi mesi dopo Schubert, morto un anno prima dì luì, il poeta tedesco ebbe più di un punto in comune col musicista austriaco. Il quale probabilmente non scelse i testi di lui perché vi trovasse un livello poetico, fuori dell'ordinario ma, appunto, per le forti affinità del loro contenuto sentimentale con la sua ispirazione e addirittura la sua biografia.

Comunque, Schubert subì Müller come una sorta dì coup de foudre. Nel novembre 1823 gli capitò, di gettare lo sguardo, in casa d'un amico, su alcuni versi della Schöne Müllerin. Pochi minuti dopo aveva il volumetto in tasca, e la sera stessa i primi tre Lieder erano già sulla carta. La Winterreise seguì nel 1827: composta parte in febbraio parte in ottobre (quando Müller morì senza conoscerla).

I due cicli si rispondono a distanza, non tanto perché opera dello stesso poeta, quanto perché vicende interiori d'un personaggio che appare sostanzialmente lo stesso: l'innamorato non corrisposto. Che nel primo indugia tuttavia sul momento della speranza, dei primi incontri: momento primaverile, sebbene avvolto ogni tanto di presentimenti malinconici. Nella Winterreise invece il motivo è completamente pessimistico: l'amante è stato definitivamente respinto, e fugge senza meta, perdendosi in una sorta di Via Crucis in mezzo a un paesaggio invernale ch'è sìmbolo del mortale ghiacciarsi d'ogni ricordo e d'ogni speranza.

La Winterreise ha naturalmente molti caratteri in comune con gli altri Lieder di Schubert; i quali, com'è noto, costituiscono un'affermazione estremamente originale nonostante le loro molteplici ascendenze (i liederisti tedeschi immediatamente precedenti, soprattutto Reichardt; il Singspiel; l'ispirazione popolare; e infine quel Beethoven che costituì per Schubert quasi l'ossessione di tutta la vita). Se ne distacca però, a differenza della Schöne Müllerin, per un tono più interiore che canoro, più dimesso, qualche volta aspramente aforistico. É implicita, in molti Lieder di questo ciclo, un'aspirazione formale nuova e rivoluzionaria, che troverà realizzazione anche più decisa in alcuni dei quattordici Lieder composti l'anno dopo (quello della morte), e che l'editore pubblicò postumi come «canto del cigno» (Schwanengesang).

E' questa la tendenza a sottrarsi al senso strofico della melodia. Materialmente parlando, qui la strofa è ancora presente, quasi sempre; ma dissimulata per quanto possibile. Ciò che più conta, comunque, è la libertà della sua struttura interna: una libertà spesso così grande da mettere in questione il senso stesso del termine «strofa». Sia nel canto che nella parte pianistica Schubert è insomma disposto, ormai, a spostare qualunque schema. E' però opportuno ricordare che questo avviene in termini perfettamente omogenei al suo tipico «volo» melodico. Niente a che fare col recitativo dell'opera, italiana e non, oppure con quello di Bach. Per Schubert declamazione significa, al massimo, interiezione lirica, non mai «recitazione»; cioè frammento tipicamente «cantante» e puramente musicale, che suscita immediatamente echi e simmetrie, non resta mai una semplice intonazione della parola, priva di valore tematico.

Questa tendenza è d'altronde alimentata, nel nostro ciclo, dallo stesso tema poetico: la febbrile inquietudine del personaggio, quel perpetuo divagare fra i fantasmi e per così dire i capricci del pessimismo forniscono alla fantasia una sorta d'impulso centrifugo: prova del fuoco di un'invenzione che si dimostra più che mai d'una ricchezza e incisività senza confini. Al polo opposto è l'impulso unitario determinato dalla continuità del paesaggio, dalle cui metamorfosi risorge sempre, ostinatamente, la stessa atmosfera, la stessa maledizione. E il paesaggio è scandito dal passo del viandante, sempre diverso e sempre uguale, come un incubo. E' l'estrema decantazione di quel segreto ritmo di danza che percorre tutto Schubert, è guida il miracolo di quelle struggenti dissolvenze e trasfigurazioni che avviano dolcemente le più fresche immagini di giovinezza al loro destino mortale, e costituiscono, dell'ispirazione di Schubert, il tema più alto e più tipico.

Fedele D'Amico

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

L'enorme catalogo dei Lieder schubertiani — oltre 600, composti in meno di diciassette anni — è ricchissimo di capolavori. Le pagine meno riuscite sono ben poche; e ciò che più conta, già le prove giovanili — meglio sarebbe definirle adolescenziali, che i primi Lieder di Schubert risalgono al 1811, e sono dunque opera di un musicista meno che quattordicenne — denotano una sicurezza di intuizione e una qualità di risultati senz'altro superiori a quelle di tutti gli altri suoi tentativi compositivi di quello stesso periodo. Vale a dire che Schubert trovò nel Lied un campo d'azione privilegiato, forse il più immediatamente rispondente alle sue esigenze artistiche; e che in esso operò con una felicità e una facilità — nel senso migliore del termine — non sempre eguagliate negli altri generi compositivi cui egli si dedicò. In apparenza, ciò potrebbe suggerire una maggior propensione da parte di Schubert a cimentarsi con il breve respiro delle piccole forme, e di appoggiarsi, nel costruirne il tessuto musicale, alla guida sicura rappresentata dalla regolarità della successione strofica, specialmente quando il Lied avesse in tutto e per tutto la veste e lo spirito di una «canzone», e comunque dai suggerimenti espressivi dettati dal contenuto e dall'atmosfera dei testi poetici. Di fatto, Schubert fu anche un grande creatore di forme, come stanno a dimostrare i capolavori sinfonici e cameristici degli anni più maturi, seppure i suoi sistemi costruttivi, come si conveniva al primo autentico rappresentante del Romanticismo musicale, fossero in molte cose anomali rispetto alle grandiose e concentrate concezioni beethoveniane: sicché niente sarebbe più errato che il ricondurre la magnifica fecondità della sua produzione liederistica a una sorta di svicolamento dinanzi a un problema certamente sentito, ma anche suscettibile di essere risolto in modo quanto mai originale e artisticamente significativo.

Schubert fu fertilissimo compositore di Lieder soprattutto perché in lui vivevano con straordinaria intensità le esigenze spirituali e la sensibilità proprie all'epoca che appunto con lui si apriva alla musica europea: se la natura eminentemente musicale della sua aspirazione artistica non comportò mai, come sarebbe avvenuto poco più tardi con uno Schumann, l'anelito cosciente e battagliero all'unità delle arti, certamente nel suo operare di musicista la poesia rappresentò sempre un irrinunciabile termine di riferimento, al punto che è possibile rintracciarne le influenze nello stesso linguaggio delle sue composizioni puramente strumentali, la cui vena melodica — spessissimo, non per caso, memore di quella dei Lieder fino ad assumerne parecchi nel materiale tematico, citandoli pressoché letteralmente — è continuamente punteggiata dalle scoperte ambizioni narrative di proposte poetiche cui la parola sembra mancare soltanto perché sottintesa ed elevata in tal modo a significare l'inesprimibile. Con la sterminata produzione liederistica di Schubert prese l'avvio — e con una novità di modi e di contenuti in fondo sconosciuta ai suoi massimi predecessori, Beethoven compreso — un filone destinato a percorrere tutta la musica della civiltà austro-tedesca dell'Ottocento — da Schumann a Brahms, allo stesso Wagner — prolungandosi attraverso Wolf e Mahler fino quasi ai giorni nostri, con le stupende creazioni di Richard Strauss, cui sarebbe toccato per l'ultima volta dar vita al Lied romantico con la sublime vittoria contro il tempo celebrata con i Quattro ultimi Lieder, composti dopo che la storia pareva definitivamente e drammaticamente aver voltato pagina. Un confronto con la poesia condotto da un lato realizzando una miracolosa aderenza del discorso musicale al significato e al valore della parola, dall'altro, secondo una genuina esigenza romantica, aumentando ed estendendo la potenzialità di significato della parola stessa sfruttando tutte le risorse evocative e indefinibili della musica; facendo cominciare questa, se è lecito ripetere a questo proposito quanto disse Debussy del suo Pelléas, là «dove finiscono le parole».

La storia stupenda del Lied romantico ha dunque il suo primo capitolo in Schubert. A quasi tutte le sue numerosissime prove in tal campo conferiscono altissimo valore artistico la straordinaria inventiva melodica, la naturalezza con la quale questa si sposa alla parola e al contenuto del testo, l'eccezionale capacità della parte pianistica — e questo, si badi, in un compositore cui talvolta si tende a negare una specifica vocazione a comporre per il pianoforte, addirittura ipotizzando lo scarso interesse, dal punto di vista strumentale, della sua scrittura per la tastiera —, anche quando il suo ruolo si limiti in apparenza a quello di accompagnare il canto, di evocare immagini e atmosfere ampliando enormemente la risonanza espressiva della poesia. E poco importa, a questo proposito, che i testi poetici dai quali Schubert traeva stimolo e ispirazione possano apparire, in sé e per sé, non altrettanto eccelsi delle note che li rivestono, se non semplicemente mediocri. La scelta di una poesia sulla quale creare un Lied — come per il compositore d'opere quella del libretto — obbediva a considerazioni del tutto estranee alla critica letteraria. Come non deve stupirci che un Verdi potesse trovare sublimi tanto il Macbeth o l'Otello quanto i drammoni dai quali avrebbe tratto un Trovatore o una Forza del destino, così non deve apparirci strano che Schubert abbia saputo, confrontandosi con testi poetici senz'altro banali e di maniera, raggiungere risultati non meno alti di quando si trovava a musicare Goethe o Petrarca tradotto da Schlegel. L'essenziale era che il testo — per l'argomento, o per il potenziale sonoro dei versi stessi — fosse capace di portare alla luce dentro di lui una particolare assonanza emotiva e un preciso disegno musicale: fare di un Lied un microcosmo perfetto dipendeva esclusivamente da lui, e dall'importanza che nella creazione compiuta la sua musica sarebbe venuta ad assumere. Nell'ambito di questa felicità e perfezione — raggiunta, s'è detto, prestissimo — v'era poi largo spazio alla realizzazione di diversissime proposte poetiche: e coerentemente, a progressive modificazioni negli orizzonti espressivi di Schubert, di pari passo con il procedere dell'eccezionale evoluzione, più interiore che di stile, della sua personalità artistica.

Le categorie estetiche che con troppa pigrizia si è soliti applicare all'arte di Schubert — l'intimità, l'idillio di sapore Biedermeier, il ripiegamento nella dolce quiete di sentimenti domestici e quotidiani — valgono, si sa, sempre di meno, via via che si segue il procedere dell'itinerario creativo schubertiano dalle prime manifestazioni del suo genio fino ai massimi capolavori della «maturità» (ossia degli anni immediatamente precedenti alla morte precocissima). Il respiro delle concezioni formali cresce fino a farsi grandioso, la ricerca espressiva raggiunge una profondità incommensurabile, la musica perviene a rappresentare le più metafisiche intuizioni dello spirito e del sentimento, toccando una serena e acutissima cognizione del dolore e della morte. Tant'è di tutta la musica di Schubert, e quindi anche dei Lieder: in questo caso, anzi, registrando un mutamento anche nei linguaggi, oltre che nel modo di impiegarli, probabilmente più marcato di quanto non avvenga, per esempio, nella composizione strumentale. I Lieder composti da Schubert nei primi dieci anni della sua attività ci si offrono con tutto il fascino di una inesauribile, commossa, elementare fecondità melodica, riconducendo ogni manifestazione espressiva nel quadro di una affabile e tenera semplicità, di una spontanea effusione di affettuoso lirismo: una dimensione poetica che trova il massimo coronamento nel 1823 con Die schõne Müllerin (La bella mugnaia), il suo primo grande ciclo unitario di Lieder, dove la franchezza con la quale la musica sa ricreare un dato «popolare», inteso come preciso colore lirico, si identifica con assoluta immediatezza con la perfezione della sintesi stilistica. Ma il Lied di Schubert doveva conoscere di lì a poco esiti ben diversi, e di ben diversa connotazione emotiva e linguistica. Alla trasparente cantabilità si sarebbero sostituiti a poco a poco una più sofferta tornitura della parola, alla linearità della melodia sarebbe subentrata una dizione quasi tendente al declamato, la parte del pianoforte avrebbe disegnato prospettive sempre più complesse e ricche di significati e di allusioni. Al culmine di questo processo si sarebbe posto ancora una volta un ciclo di ampie proporzioni, appunto la Winterreise (Viaggio d'inverno), composto nel 1827, il penultimo anno di vita di Schubert.

Nel 1823, l'anno della Schõne Müllerin, Schubert conobbe per caso una raccolta di dodici poesie dello stesso autore delle liriche della Bella mugnaia, Wilhelm Müller, intitolata Winterreise. L'anno successivo Müller avrebbe pubblicato nel secondo volume delle Poesie dalle carte postume di un suonatore di corno girovago il ciclo completo della Winterreise, composto di ventiquattro poesie. Di questa edizione Schubert dovè venire a conoscenza solo dopo aver intrapreso, nel febbraio del 1827, la composizione dei primi dodici Lieder: l'altra metà della Winterreise (forse proprio per questo il ciclo schubertiano è suddiviso in due parti) nacque nell'ottobre dello stesso anno. Nel 1828, ormai sul letto di morte, Schubert apportò le ultime correzioni alla seconda parte; la Winterreise sarebbe stata pubblicata postuma, come l'altro ciclo — estrema testimonianza dell'arte liederistica schubertiana — che altri avrebbe battezato, con una certa ovvietà, Schwanengesang, Canto del cigno. Nelle poesie di Müller (di poco più anziano di lui, essendo nato nel 1794, e anch'egli destinato a morire precocemente, giusto in quel 1827 che avrebbe consegnato le sue liriche a una gloria forse superiore a quanto non meritassero, grazie al capolavoro musicale da esse ispirato), Schubert trovò un terreno fra i più congeniali alla particolare disposizione del suo spirito in quel momento. Il tema del ciclo si riallacciava a uno dei miti più cari del Romanticismo tedesco, quello del Wandern, del vagabondare. Di tutta la fioritura lirica germogliata intorno a quell'elezione a fatto d'arte dello spirito popolare celebrata nel 1806-08 con Des Knaben Wunderhorn, la fortunatissima raccolta curata da Achim von Arnim e Clemens von Brentano, il Viandante, viaggiatore o girovago, era uno dei simboli centrali, figura fra le più mitiche e significative di una peculiare sensibilità romantica, già presente in numerosi Lieder schubertiani. Nel ciclo mülleriano la figura del Viandante si tingeva peraltro di una connotazione inedita: il suo errare aveva più i caratteri della fuga o dell'esilio che non quelli della gioia del vagabondo senza meta; intorno a lui la natura presentava l'aspetto freddo e ostile del paesaggio invernale, la sensazione dominante era quella di una desolata solitudine, la nostalgia non conosceva speranze.

Quanto Schubert fosse compreso del significato che le poesie di Müller avrebbero potuto assumere nella veste musicale che egli era in grado di conferirvi, e quanto profondamente la composizione della Winterreise lo abbia impegnato anche sul piano emotivo, appare con evidenza dalla bella pagina che ci ha lasciata Josef von Spaun, l'amico fedele e il generoso protettore di tutta la vita: «Da un po' di tempo Schubert appariva stanco, e di umore tetro. Gli domandai che cosa avesse, e si limitò a rispondermi 'Lo saprai presto, e allora capirai'. Un giorno mi disse: 'Vieni oggi in casa di Schober, vi canterò un ciclo di Lieder lugubri; sono curioso di sapere che cosa ne direte. Ne sono stato preso più di quanto non mi sia mai successo con altri Lieder'. Con voce commossa, cantò per noi tutta la Winterreise: restammo affatto affatto sconcertati dal carattere tetro di questi Lieder, e Schober disse che solo uno di essi gli era piaciuto, Der Lindenbaum. Allora Schubert disse solo: 'Questi Lieder mi piacciono più di tutti gli altri, e piaceranno anche a voi'; ed era nel giusto: presto tutti ci entusiasmammo all'impressione che esercitavano su di noi quei canti malinconici, magistralmente interpretati da Vogl.

Non vi sono Lieder tedeschi più belli di questi, che furono davvero il suo canto del cigno. Da allora fu profondamente prostrato, anche se le sue condizioni non erano preoccupanti. Parecchi hanno creduto, e forse continuano a credere, che Schubert fosse una persona di scarsa sensibilità, che non si lasciava toccare da niente; ma chi lo ha conosciuto più da vicino sa quanto profondamente egli fosse coinvolto dalle sue creazioni, e come queste nascessero nel dolore. Chi lo ha veduto, anche una volta sola, di mattina, quando componeva, infiammato e con gli occhi lucenti, diverso perfino nel modo di parlare, simile a un sonnambulo (e come mai gli sarebbe riuscito di comporre questi Lieder, senza esserne preso profondamente?), non dimenticherà mai quell'impressione. Di pomeriggio, certo, tornava a essere un altro, era tenero e assai sensibile: solo non amava far trasparire i suoi sentimenti, ma li chiudeva in sé».

La tragica condizione umana del protagonista del Viaggio d'inverno — un dato più esistenziale che narrativo, tanto più che dei motivi della sua vicenda e della sua sorte futura il testo di Müller, significativamente, non fornisce che vaghi accenni — si tinge nella musica di Schubert di sfumature ancor più vaste e profonde. Il linguaggio musicale è teso (specialmente nel Lieder della seconda parte) a un'essenzialità rarefatta e tagliente, non smentita neanche dalle apparenti espansioni liriche di pagine comunque indimenticabili per sublime purezza melodica come Der Lindenbaum (Il tiglio), certo il più amato fra i ventiquattro numeri del ciclo. Nel susseguirsi dei Lieder la concentrazione, l'interiorizzazione, lo scavo introspettivo, la proiezione metafisica si accentuano sempre più, sotto il segno di un'angoscia che non è meno sconvolgente per essere celata dietro la scarna semplicità di una eccezionale economia di mezzi. È uno Schubert drammatico e visionario, quello che appare nella Winterreise, venato di pessimismo e di ironia, capace di elevare le stesse allusioni naturalistiche o descrittive (il corno del postiglione in Die Post, La posta, i latrati dei cani di Im Dorfe, Nel villaggio) alla sfera del simbolo, di introdurre anche nelle più commosse celebrazioni della memoria e del sogno il senso di una contemplazione disillusa e avulsa dal tempo. Appunto all'insegna di un progressivo distaccarsi dal tempo, di un sempre più accentuato trapasso dalla realtà all'emblema, si svolge il cammino del protagonista del Viaggio d'inverno, la cui meta sembra essere il nulla: l'ultima stazione, quell'agghiacciante Der Leiermann (Il suonatore di ghironda) che è forse la pagina più desolata e scabra mai scritta da Schubert, sospende l'errare del Viandante in una assoluta staticità, dove gli echi dell'immagine sonora, della raffigurazione musicale di un fatto musicale, sembrano perdersi nel vuoto assoluto, nella completa obliterazione di ogni categoria di spazio e tempo.

Sulla via tracciata con la Winterreise Schubert si sarebbe di lì a poco spinto ancora più avanti, toccando con alcuni Lieder dello Schwanengesang (specialmente con quelli su versi di Heine, come Die Stadt, La città, o Der Doppelgänger, Il duplice io) i vertici di questa sua straordinaria ultima «maniera». Ma la profonda unitarietà della Winterreise, opera quanto mai organica, e non solo perché di un'organica serie di poesie consta il suo testo letterario, impone di considerare il ciclo nel suo insieme, con tutto che la bellezza eccezionale di tutte le pagine che lo compongono induca troppo spesso alla tentazione di proporli separatamente all'ascolto. E in questa dimensione la Winterreise si afferma come la più alta espressione del Lied schubertiano, sintesi esemplare di tutta la poetica giunta a maturazione negli ultimi anni della vita di lui e autentica pietra miliare nella storia della sensibilità romantica: se lo Schwanengesang oggi ci si offre, con tutte le contraddizioni di una fisionomia espressiva in certo senso bifronte, come la prefigurazione di ancor più nuovi orizzonti, che la morte avrebbe vietato a Schubert di raggiungere, il Viaggio d'inverno rimane nell'assoluta coerenza del suo svolgimento l'ideale conclusione di un'esperienza tanto artistica quanto umana, conseguita attraverso una lancinante e profetica presa di coscienza da parte dello spirito.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 28 novembre 1997
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 marzo 1981
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 16 giugno 1980


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Ultimo aggiornamento 21 ottobre 2018