Sonata in la minore per pianoforte, op. 42, D. 845


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Moderato (la minore)
  2. Andante, poco mosso (do maggiore)
  3. Scherzo. Allegro vivace (la minore) e Trio. Un poco più lento (fa maggiore)
  4. Rondò. Allegro vivace (la minore)
Organico: pianoforte
Composizione: fine maggio 1825
Edizione: Pennauer, Vienna, 1826
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Con il titolo di Première Grande Sonate, questa composizione fu la prima delle Sonate di Schubert ad essere pubblicata (ne aveva già scritte sedici), a cura di un nuovo editore di Vienna, il Pennauer, fra il settembre 1825 e il febbraio 1826; è dedicata all'Arciduca Rodolfo d'Austria, l'illustrissimo allievo di Beethoven, su probabile istigazione degli amici di Schubert che speravano di procacciare al loro protetto un posto come musicista di corte.

Il primo movimento dell'opera testimonia molto bene le vie e i procedimenti secondo cui la classica compagine della sonata veniva trasformandosi nell'età romantica: tutto quanto concerneva i fatti esteriori, come contrasto tematico, tensioni di aree tonali, insomma architettura in senso drammatico, sta gradatamente perdendo di peso; il gioco degli avvenimenti si è ridotto e la fantasia dei compositori si interessa sempre meno alla vicenda di esposizione-sviluppo-ripresa e lavora piuttosto ai riflessi interiori, agli indugi, alle compresenze: non importa più svolgere una trama; importa sentirla liricamente. Bisogna dunque prepararci a molte sorprese: qui, nel Moderato che apre la Sonata in la minore, si assiste a un primo episodio che ha tutta l'aria di essere una introduzione: le due mani assieme, in pianissimo, espongono un tema (più da "momento musicale" che da sonata) desideroso sopra tutto di mimetizzarsi; pesanti accordi preparano scenograficamente qualcosa d'importante, e quando appare un nuovo tema fortemente scandito e dalla modellatura più orchestrale che pianistica, la Sonata sembra davvero incominciare e tutto quanto sentito finora figurare come premessa. Invece il corso del movimento capovolge le previsioni: il tema presentato come principale localizza il suo raggio d'attività alla sua apparizione, mentre il filo del discorso è ripreso dal primo tema, quello falsamente introduttivo: che riappare qua e là come un memento, sempre in luci tonali e timbriche diverse, che copre da solo tutto lo sviluppo, dice l'ultima parola nella cadenza conclusiva e ha addirittura l'ardire d'ingigantire alla fine con carattere fatale.

Il secondo movimento è in forma di tema con variazioni, unico caso in tutte le Sonate pianistiche di Schubert; il tema, in do maggiore, è nel più puro stile liederistico e ciascuna variazione è lavorata a suo modo, ma tutte insieme tendono ad accumulare movimento (prime due variazioni), a modificare il quadro tonale (la terza è in minore), a stipare e accrescere la sonorità (la quarta): tutto per preparare l'avvento della quinta e ultima variazione, seguita ancora da una incantevole coda; in realtà non si pensa a quei finali che chiudono razionalmente un ciclo richiamandosi al tema di partenza, ma piuttosto all'uscire dalla gabbia delle variazioni in una radura tutta nuova: certo, sotto sotto il compito compositivo della variazione è svolto in modo impeccabile, ma l'effetto di quelle sonorità ispirate ai corni silvestri è quello di far dimenticare il punto di partenza.

Lo Scherzo è una pagina di abbagliante genialità; sembra prendere lo spunto ritmico dalla quinta variazione di Beethoven del ciclo famoso, op. 120, su un Valzer di Diabelli: un frammento, un moto d'impazienza, diventa il seme su cui cresce tutta questa pagina balenante e mobilissima; per contrasto, il Trio intermedio è pura stasi, puro Lied beato della sua verità lirica.

Il Finale è un Rondò, ma con magnifica ingegnosità, Schubert contamina la forma tradizionale, individuata dal periodico riaffiorare dei ritornelli, con la forma di sonata, dando ad alcuni episodi centrali la tensione dello sviluppo, con imitazioni, e sovrapposizioni di temi; un tema secondario ha uno spiccato carattere di marcia, ma in realtà l'affiorare dei singoli temi perde importanza perché tutto, fin dall'inizio, assume un carattere di moto perpetuo, di corsa inarrestabile, dal leggero bulicare di note che segnala l'avvio fino alla conclusione dove la corsa trova il suo unico punto di arresto.

Giorgio Pestelli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata in la minore op. 42 di Schubert è stata composta nel 1825 e appartiene dunque al periodo della piena maturità del compositore. Insieme alla postuma Sonata in si bemolle maggiore e alla cosidetta Sonata-Fantasìa in sol maggiore op. 78, essa è uno dei pochi lavori schubertiani di questo genere che compaiono, anche se troppo di rado, nei programmi dei concertisti. Nonostante l'entusiasmo col quale Schumann propagandò, oltre ai lavori sinfonici, anche le musiche da camera e specificatamente quelle pianistiche che Schubert aveva lasciato, le Sonate di quest'ultimo non riuscirono mai a conquistare la popolarità e la diffusione di cui godono tanti suoi Lieder, alcune delle sue musiche sinfoniche e da camera ed anche qualche brano pianistico di minore impegno costruttivo. Ed è proprio sugli aspetti costruttivi delle Sonate pianistiche di Schubert che si appunta un tenace e inveterato pregiudizio critico che impedisce tuttora che i veri e propri gioielli musicali che si trovano nel gruppo di questi lavori vengano apprezzati al loro reale valore.

Troppo spesso si continua a ripetere il giudizio che la forma delle Sonate schubertiane sarebbe sproporzionata alla consistenza delle idee tematiche che la sostanziano; che la maggior parte di tali idee non sarebbe di natura «tematica» - e come tale passibile di sviluppi dialettici - ma di natura puramente lirico-melodica, cioè liederistica, per cui mal si presterebbe a dispiegamenti secondo lo spirito della forma di sonata essenzialmente drammatica. Ora basta por mente al primo tema del primo tempo (Moderato) della Sonata op. 42 per avere una immediata riprova di quanto ingiustificato sia un simile giudizio. Lungi dal consistere di una sola melodia in sé conchiusa, questo tema è in realtà un «gruppo tematico» che nasce dall'organico congiungersi e compenetrarsi di tutta una serie di motivi melodici, ritmici, armonici di stupenda pregnanza. Ad un primo motivo monodico, legato, pianissimo, che sembra risuonare come da leggendarie lontananze, risponde, mezzoforte, un poco ritardando, un motivo in accordi staccati, quasi accenno a passi d'una marcia che s'arresta. Questi due motivi riecheggiano poi su di un altro piano armonico e vengono seguiti da un motivo sincopato che, partendo da note scempie, s'ispessisce e si espande gradatamente in un crescendo di epica drammaticità fino a sfociare in un fortissimo, percussivo scuotimento della tonica alla quale fa eco un nuovo motivo in accordi staccati. Anche questa coppia di motivi subisce una serie di traslazioni, ingrandimenti e crescendi fino a completare l'ampia arcata del ponte che porta al secondo tema che viene raggiunto sul piano tonale di do maggiore. A differenza del primo, questo secondo tema si fonda solo su due motivi i quali non sono altro che delle trasmutazioni dei due motivi che avevano concluso il primo gruppo tematico. Una ripresa modulante dei principali motivi del primo gruppo conclude l'esposizione. L'unità nella varietà di tutti questi motivi si palesa vieppiù nel magistrale sviluppo e nella ripresa in cui i singoli motivi non cessano di apparire in sempre nuove trasformazioni pur serbando una coerenza ed una logica discorsività che non vengono mai meno.

Il secondo tempo, Andante con moto, pur non portando la relativa designazione, si configura come un tema con variazioni. Il tema, in do maggiore, è delicato e grazioso. In qualche tratto assume un andamento danzante che ricorda il vecchio minuetto. Le variazioni, in numero di cinque sono di tipo ornamentale: fioriscono il tema, ne rinfrangono i contorni, lo prospettano su diversi piani tonali senza mutarne l'intima sostanza.

Il terzo movimento è uno Scherzo, per una metà in la minore e per l'altra in la maggiore, con un Trio in sordina, formulato in fa maggiore e in un tempo Un poco più lento.

Il Finale, un Rondò in movimento Allegro vivace, ha inizialmente un carattere leggero e fantastico che sembra già anticipare il Mendelssohn del Sogno di una notte di mezza estate. Sviluppandosi, il brano s'arricchisce di accenti anche rudi e grotteschi che si risolvono però sempre in zone di pura e decantata poesia. Non per nulla Schumann costatava che Schubert «ha musica per i più squisiti sentimenti e pensieri, anzi per ogni avvenimento e circostanza della vita. Quanti aspetti ha l'esistenza umana, altrettanti ne ha la musica di Schubert».

Roman Vlad


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 24 maggio 1996
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 marzo 1968


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Ultimo aggiornamento 15 giugno 2013