Rondò in si minore per violino e pianoforte, op. 70, D. 895


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Ottobre 1826
Edizione: Artaria, Vienna, 1827
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Schubert compose tra il 18t6 e il 1817 i lavori più importanti per violino e pianoforte, comprendenti le tre Sonate dell'op. 137, conosciute con il titolo di "Sonatine", forse per la loro brevità, anche se stilisticamente sono un saggio di abilità nello sfruttamento delle risorse timbriche ed espressive dei due strumenti, e la Sonata in la maggiore op. 162, la cui data di nascita si colloca esattamente nell'agosto del 1817. Certo l'autore, che al tempo di queste composizioni sfiorava appena i vent'anni, risente sensibilmente dell'influenza mozartiana e della prima produzione beethoveniana, ma ciò non vuol dire che egli non abbia saputo imprimere alle forme ereditate dai suoi predecessori un accento nuovo e personale. Circola in queste pagine un sentimento di amabile e piacevole gusto popolaresco e una intimità che rifugge da qualsiasi retorica sentimentalistica, secondo le caratteristiche del romanticismo schubertiano. È la stessa sensibilità che l'artista viennese riversava proprio in quegli anni in alcuni dei suoi Lieder più emblematici su testi di Schiller e di Goethe e lo aveva visto impegnato in una delle sue più originali sinfonie, la "Tragica".

Si può dire che anche il Rondò in si minore per violino e pianoforte e la Fantasia in do maggiore per violino e pianoforte op. 159, scritte rispettivamente nell'ottobre 1826 e nel dicembre 1827, non si discostino sostanzialmente dai precedenti pezzi composti per i due strumenti. Essi infatti sono considerati come una "musica leggera" tra i brani da camera con pianoforte di Schubert, perché la componente virtuosistica dello strumento solista primeggia su tutto il resto, anche se non mancano certe qualità stilistiche (specie la varietà armonica e ritmica) del musicista. Il Rondò D, 895, composto per il violinista cecoslovacco Josef Slawjk (1806 - 1833), molto stimato da Schubert e considerato da Chopin un secondo Paganini, è una pagina articolata in due movimenti e concepita per porre in evidenza le doti del violinista, dopo un tema introduttivo molto cantabile e secondo il gusto armonico tipico del creatore della Wanderer Phantasie. Ad una melodia del violino ricca di sognante tensione subentra una situazione tematica vivace e danzante, molto spigliata nelle ardite modulazioni del solista. Non mancano richiami alla frase iniziale prima che il violinista, dopo una serie di eleganti e fiorite variazioni, concluda in maniera spavaldamente brillante e virtuosistica, in tempo Presto e in linea con la migliore tradizione della musica per archi. Il brano fu eseguito da Slawjk con la collaborazione pianistica di Karl Maria von Bocklet in un concerto dato nei primi mesi del 1827 a Vienna su iniziativa dell'editore Artaria e alla presenza dello stesso Schubert. Non si sa quale sia stata la reazione del pubblico e se i giornali dell'epoca siano stati altrettanto negativi, come quando parlarono l'anno successivo della Fantasia op. 159, ritenuta troppo episodica e dispersiva nella sua eleganza melodica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Secondo le note del padre di Schubert, maestro di scuola e dilettante di violino, sugli inizi educativi del piccolo Franz, "nel suo quinto anno di vita l'ho avviato all'istruzione elementare". Successivamente, "quand'ebbe otto anni, gli insegnai i primi rudimenti del violino, esercitandolo fino a che non fu in grado di eseguire abbastanza bene facili duetti; allora lo mandai a lezione di canto dal signor Michael Holzer, maestro del coro di Lichtenthal. Questi ripetutamente mi assicurò con le lacrime agli occhi che non aveva mai avuto un allievo simile. Quando gli volevo insegnare qualcosa di nuovo, mi disse, mi accorgevo che la sapeva già. Posso affermare di non avergli impartito alcun insegnamento, ma di essermi limitato a intrattenermi con lui, in ammirato silenzio".

Nonostante il precoce avvio al violino, cui si era aggiunta la viola, l'interesse del giovane Franz era rivolto allo strumento cui era stato destinato il fratello Ignat: il pianoforte, che s'ingegnò spontaneamente ad apprendere insieme a tutte quelle nozioni che intuiva l'avrebbero aiutato a far sbocciare la sua immensa latente musicalità.

E' noto però che Schubert preferì lasciarsi tacciare di dilettantismo piuttosto che farsi distogliere dalla sua ispirazione per lanciarsi in scritture virtuosistiche che mettessero fine alle chiacchiere dei suoi superficiali detrattori. Con qualche eccezione: poche, però, e una di queste è rappresentata dal Rondò brillante in si minore per violino e pianoforte, op. 70. Bernhard Paumgartner, nella sua biografia schubertiana, suggerisce ai "violinisti provetti" di inserirla nelle loro performance, insieme alla Fantasia in do maggiore, op. 159.

Giusto accoppiamento: Schubert infatti compose i due pezzi a poca distanza l'uno dall'altro, tra il 1826-27, con il deliberato proposito di ottenere quel consenso di pubblico che sino ad allora gli era mancato. Troppo tardi, perché la morte è già in agguato. Il Rondò è eseguito per la prima volta nel corso di un concerto privato in casa di Domenico Artaria (l'editore che poi glielo pubblicherà). Il compositore vi ha inserito tutto ciò che dovrebbe rendere gradevole l'ascolto, come il tema di carattere ungherese, fioriture liriche, e una trionfante fanfara per suggello; ma c'è sempre dietro la mano dell'artista, come intuisce l'involutissimo recensore che ne parlò sul Wiener Zeitschrift für Kunst il 7 giugno 1828: "... Benché appartenga di diritto alla categoria dei pezzi brillanti, questo lavoro, a differenza di tante composizioni moderne, non deve la sua esistenza a semplici figure stravolte in mille contorsioni diverse che ci affaticano lo spirito e nient'altro. Siamo stati trasportati in alto sulle ali possenti di una fantasia musicale inesauribile; pianoforte e violino richiedono interpreti d'eccezione, che siano all'altezza di eseguire passaggi che non dal numero delle ripetizioni hanno ottenuto, per così dire, il diritto di cittadinanza, ma dal succedersi ininterrotto di idee nuove ed ispirate. L'interprete subirà il fascino dell'armonia cangiante, di una rara bellezza...".

Ivana Musiani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 novembre 1983
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 gennaio 1992


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Ultimo aggiornamento 5 maggio 2014