Quintetto per pianoforte in la maggiore "Forellen-quintett" (La trota), op. 114, D. 667


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro vivace (la maggiore)
  2. Andante (fa maggiore)
  3. Scherzo. Presto (la maggiore)
  4. Tema. Andantino (re maggiore)
  5. Allegro giusto (la maggiore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello, cotrabbasso
Composizione: autunno 1819
Edizione: Czerny, Vienna, 1829
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Il più grande poeta in musica che sia mai esistito»: così Liszt definì Schubert, che ha toccato momenti di insuperabile felicità inventiva nella estesa produzione liederistica ed anche nell'arte sinfonica, quartettistica e pianistica. Giudizio condiviso da tutti, perfino da uno spirito caustico e tagliente come Nietzsche che ebbe parole di ammirazione per questo artista simbolo del romanticismo, fino a pronunciare la seguente frase che può essere sottoscritta da tutti: «Schubert ebbe, rispetto agli altri maestri, la maggiore ricchezza ereditaria musicale. Egli la elargì a piene mani con cuore buono; ed i musicisti ancora per qualche secolo avranno da nutrirsi dei suoi pensieri e delle sue idee. Nelle sue opere abbiamo un tesoro di trovate non messe a frutto; altri saranno grandi per il modo come sfruttano la loro grandezza». Certo, la freschezza melodica e la sincerità di espressione non trovarono sempre in Schubert una adeguata perfezione di linguaggio e diversi studiosi hanno più volte annotato ripetizioni e lungaggini riscontrate nelle migliori composizioni strumentali del musicista. Ma Walter Dahms, scrittore acuto dell'estetica schubertiana, non ha mancato di osservare che l'autore della Sinfonia Incompiuta «da spirito eminentemente romantico non viene lasciato in pace dal tema una volta proposto. Deve continuamente rivoltarlo e rimaneggiarlo, e può plasmare la sua opera d'arte solo dietro l'impulso di codesto gioco, non già in rapporto all'architettura musicale... Invece di preoccuparci della lungaggine dei suoi tempi dobbiamo badare a ciò che di indefinibile e di indicibile sta all'interno delle sue combinazioni sonore». Soltanto ponendosi in questo stato d'animo si può cogliere il senso più vero e nascosto della creatività idilliaca e crepuscolare di Schubert, il quale non si vergognò a trentun anni, alla vigilia della morte, di chiedere lezioni di alta composizione in quanto egli stesso, vagheggiando maggiore austerità e disciplina dello stile, sentiva di averne bisogno.

Allo Schubert più emblematico per purezza di sentimento e schiettezza di immaginazione appartiene il Quintetto "della trota" (Forellen-quintett) op. 114 uno dei lavori cameristici più esaltati e popolari del musicista, insieme al Quartetto in re minore, meglio conosciuto come "La morte e la fanciulla" (Der Tod und das Mädchen), composto tra il marzo del 1824 e l'inizio del 1826. Il Quintetto "della trota", così chiamato perche il compositore utilizzò nell'Andantino come tema per le variazioni il suo Lied "La trota", fu composto nel 1819 su commissione del mecenate e direttore della miniera di Steyr, nell'Alta Austria, Silvester Paumgartner, musicista dilettante e violoncellista, oltre che animatore di un cenacolo musicale che si riuniva abitualmente in casa sua. Probabilmente il Quintetto fu eseguito in uno di questi incontri musicali a carattere familiare e poi riposto nella biblioteca del Paumgartner: fu pubblicato postumo da Joseph Czerny come opera 114 ad un anno di distanza dalla morte del musicista. Il componimento è una serenata contrassegnata da un tono di cordiale conversazione tra i quattro archi e il pianoforte in cui Schubert rivela tutta la sua abilità di costruttore di finissime ed eleganti armonie. Si tratta senza dubbio di un capolavoro, come appare sin dal primo movimento (Allegro vivace) in cui una dolce melodia cantabile si contrappone ad un gruppo di accordi ora veloci e ora lenti, fra slanci e ripiegamenti, in un gioco tra situazioni statiche e dinamiche. Soltanto alla ventisettesima battuta, dopo la quarta entrata del pianoforte, il tema acquista contorni precisi e la ritmica dello sviluppo diventa più densa e compatta, sino a sciogliersi in piacevoli impasti strumentali, tra i quali si possono cogliere accenti di variazioni. Volta a volta il pianoforte, il violino e il violoncello assumono il ruolo di guida del discorso strumentale esprimendo quel gusto del fraseggio musicale luminoso e cristallino, tipico della personalità di Schubert.

Il successivo Andante, diviso in due momenti in fa maggiore e in la bemolle maggiore, è un canto spianato con qualche appoggiatura armonica di sapore magiaro e un ritmo puntato di gradevole effetto. A spezzare l'atmosfera sognante dell'Andante ci pensa lo Scherzo costruito sui contrasti ritmici tra pianoforte e violino, attenuati nella seconda parte in un morbido gioco armonico. Ed eccoci al purissimo tema del Lied "La trota" con le sei variazioni di lucente levigatezza musicale. Il tema è annunciato dagli archi, poi la melodia passa alternativamente al pianoforte, alla viola, al violoncello, al contrabbasso e al violino, [in realtà la sequenza è: pianoforte, viola, contrabbasso, violino e violoncello. n.d.r.] così da toccare alla fine il più alto godimento estetico.

L'Allegro giusto dell'ultimo movimento è partico-larmente colorito nel suo incedere ritmico all'ungherese, mentre il pianoforte con il suo spigliato e fosforescente tessuto sonoro contribuisce ad arricchire quel senso di benessere spirituale proveniente dall'ascolto del Quintetto, che, come sottolinea giustamente Alfred Einstein, è parte integrante dello Schubert «che non possiamo fare a meno di amare».

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nell'estate del 1819 il ventiduenne Schubert aveva trascorso un lungo periodo di vacanza in Alta Austria, a Steyr, paese natale del cantante Johann Michael Vogl, suo grande amico e campione entusiasta della sua musica; anche durante il viaggio di andata i due avevano eseguito numerosi Lieder schubertiani in una serie di piccoli concerti. A Steyr furono raggiunti anche da Albert Stadler, amico di Schubert fin dai tempi della scuola. Per il giovane compositore fu un periodo di grande serenità, in compagnia di ottimi amici e a contatto con la natura: insieme fecero molte passeggiate - in una lettera di quei giorni Schubert definisce la campagna stiriana bella «al di là di ogni immaginazione» - una gita a Linz, ne programmarono un'altra a Salisburgo, poi sfumata... Il musicista era alloggiato presso un certo dottor Schellmann, la cui casa, con sua grande soddisfazione, era popolata da ben otto ragazze, le figlie del dottore con le loro amiche, «quasi tutte carine» e appassionate di musica.

Proprio la possibilità di fare musica in compagnia fu un altro dei motivi che resero indimenticabile il soggiorno a Steyr: si cantava e suonava spesso in casa del dottor Schellmann, così come in casa di Sylvester Paumgartner, un facoltoso proprie-tario di miniere del luogo che amava suonare diversi strumenti e, in particolare, il violoncello. Durante queste piacevoli serate la musica di Schubert la faceva, naturalmente, da padrona; tantissimi Lieder, innanzitutto, vista anche la presenza di Vogl, poi musica per pianoforte, da camera, perfino sacra: scrisse una lettera a suo fratello Ferdinand per farsi spedire il manoscritto di un suo Stabat Mater che intendeva eseguire con gli amici. Per una delle graziose fanciulle del luogo, la diciottenne Josephine von Koller (descritta in una lettera al fratello come «molto carina, suona bene il pianoforte e canterà alcuni miei Lieder»), compose la Sonata in la maggiore per pianoforte D 664; per il cinquantunesimo compleanno dell'amico Vogl, che cadeva il 10 agosto, scrisse una festosa cantata per soprano, tenore, basso e pianoforte su testo di Stadler (D 666) che fu eseguita dalla stessa von Koller, da Bernhard Benedict e da Schubert in veste di basso, con l'amico Stadler al pianoforte. Sembra che durante il lungo periodo trascorso a Steyr, nonostante la presenza di Vogl, suo interprete prediletto, curiosamente Schubert non compose neanche un Lied. Due lavori di un certo rilievo completati nell'estate del 1819 sono il Singspiel in atto Die Zwillingsbrüder (I fratelli gemelli), che gli era stato commissionato proprio da Vogl, e le musiche di scena per Die Zauberharfe (L'arpa magica).

Un'altra composizione la cui nascita è legata indissolubilmente al soggiorno di Steyr è proprio il Quintetto in la maggiore D 667, detto "La trota", scritto su richiesta del ricco Sylvester Paumgartner. L'organico strumentale richiesto da Paumgartner per questo quintetto con pianoforte - pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso - è alquanto insolito, in quanto non nasce dalla "normale" e più logica unione fra un pianoforte e un quartetto d'archi (due violini, viola e violoncello); questo particolare organico è lo stesso utilizzato nel 1802 da Johann Nepomuk Hummel nel suo Quintetto in mi bemolle maggiore op. 87, considerato generalmente il diretto antecedente del lavoro schubertiano. Ma il brano di Hummel fu pubblicato solamente nel 1821, due anni dopo l'incontro fra Paumgartner e Schubert dunque, e sebbene la grande popolarità di cui godeva in quegli anni la musica di Hummel non possa far escludere la circolazione di copie manoscritte, sembra più plausibile che la richiesta di Paumgartner partisse dalla conoscenza di un'edizione ridotta per quello stesso organico del Settetto op. 74 di Hummel, del 1816, nata proprio sulla scia della popolarità dell'op. 87. Fu probabilmente lo stesso Paumgartner a chiedere a Schubert di utilizzare il tema del suo Lied Die Forelle (La trota) D 550, composto due anni prima, per un movimento in forma di variazioni. Il fatto poi che al violoncello siano affidati alcuni interventi concertanti di un certo rilievo può essere visto invece come un omaggio di Schubert nei confronti del committente.

A quanto sappiamo, Schubert non tentò mai di vendere a un editore questo Quintetto (forse anche perché lo riteneva poco "smerciabile" a causa del particolare organico) che fu pubblicato per la prima volta postumo come op. 114 nel 1829 - pochi mesi dopo la sua morte, quindi - dall'editore viennese Joseph Czerny, che disse di essersi deciso a farlo dopo che un gruppo di esperti da lui radunato per l'occasione lo aveva riconosciuto unanimemente come «un capolavoro».

Fin dal fresco e scintillante Allegro vivace di di apertura apertura si respira un'atmosfera di inscalfibile ed euforica serenità dove ogni elemento - il luminoso e leggero guizzare degli arpeggi ascendenti del pianoforte subito ripresi dagli archi, il vivace accompagnamento in terzine, il brillìo dei trilli, la costante vitalità ritmica e lo sgorgare continuo delle delicate melodie - concorre a conferire al tutto, per usare la splendida immagine di Giovanni Carli Ballola, «una rilassatezza lirica che ha il profumo greve e inebriante delle frutta estive troppo mature».

Una serena cantabilità anima l'Andante in fa maggiore che segue, pagina di levigata purezza, che viene però increspata da un tocco, tipicamente schubertiano, di intensa malinconia nelle modulazioni che introducono lo splendido secondo episodio in fa diesis minore affidato alle calde voci della viola e del violoncello. Anche il brevissimo Scherzo (Presto) in la maggiore, perentorio e spigoloso, contiene al suo interno il piccolo tarlo di un Trio in re maggiore leggermente sognante e malinconico.

Giunto al termine del terzo tempo Schubert, prima di passare al movimento conclusivo, come sarebbe di prammatica nella musica da camera "alta", per sancire ulteriormente l'appartenenza del suo Quintetto ai generi più disimpegnati e di intrattenimento della musica da camera e per sottolineare la sua affinità con gli antichi divertimenti piuttosto che con i classici e seriosi quartetti in quattro movimenti, inserisce un movimento in forma di variazioni, utilizzando, su richiesta di Paumgartner, il tema del proprio Lied del 1817 su testo di Schubart Die Forelle. Esposto dai soli archi in una forma leggermente modificata rispetto all'originale, con l'aggiunta di ritmi puntati che lo rendono più leggero e brioso, il tema (Andantino) viene sottoposto a una serie di cinque variazioni seguita da una coda (Allegretto) in cui invece il tema si ripresenta nella sua forma originaria. In queste variazioni si respira la stessa spensierata gaiezza del primo movimento, che non viene scalfita neanche dalla breve parentesi della quarta variazione, in re minore, attraversata da una concitazione drammatica che sembra quasi parodistica.

Nel Finale, un Allegro giusto indicato da Schubert «all'ongarese», vuoi in analogia con tanti finali di Haydn, vuoi sotto gli influssi del folklore magiaro conosciuto nell'estate precedente a Zseliz, dove il compositore era stato al servizio del principe Esterhàzy, ricompaiono elementi del primo movimento, conferendo così grande unitarietà all'intero lavoro. L'atmosfera espressiva non sembra cambiare, ma ad un ascolto più attento, nei guizzi leggeri del pianoforte e degli archi si insinua una sottile vena malinconica, quasi come se gli strumentisti avessero la consapevolezza di dover presto porre fine alla gioia di suonare insieme; come ha scritto Giovanni Carli Ballola, «la musica si congeda a malincuore dall'ascoltatore come da un innamorato corrisposto, al ritmo rapido e sommesso di una sorta di ritirata notturna, festosa eppure infinitamente triste».

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Quintetto «La trota» per violino, viola, violoncello, contrabbasso e pianoforte venne composto da Franz Schubert nel 1819; la nascita di questo capolavoro, unico quintetto dell'intera produzione schubertiana, fu piuttosto casuale e si deve all'incontro del suo autore con Sylvester Paumgartner, ricco mecenate di Steyr con la passione per la musica, che gli commissionò un quintetto per pianoforte e archi che utilizzasse la melodia di un famoso Lied schubertiano, Die Forelle (La trota), scritto due anni prima. Il compositore, su suggerimento dello stesso Paumgartner, violoncellista dilettante, non utilizzò il classico quartetto d'archi (2 violini, viola e violoncello) ma introdusse il contrabbasso eliminando il secondo violino: ne nacque una delle pagine più popolari e amate dell'intero repertorio cameristico. In questa celeberrima composizione le idee melodiche sgorgano serene e fluenti, prive di complesse elaborazioni motiviche, in un clima generale di serena contemplazione.

L'Allegro vivace si apre con un arpeggio ascendente del pianoforte: è un'immagine musicale aperta e solare che permea di sé l'intero movimento. Dopo poche battute, nelle quali sembra quasi che il materiale sonoro debba trovare ordine e organizzazione, sorge dalle corde del violino il primo tema, spensierato e quasi naif nella sua semplicità. Subito il pianoforte lo riprende e lo varia, prima della transizione alla dominante che conduce al secondo gruppo di temi, esposti dal violoncello prima e dal pianoforte poi. La coda dell'esposizione è un tripudio di gioiosi trilli e sonori tremoli del pianoforte. Lo sviluppo si apre quasi sottovoce, con l'incessante ritmo puntato di viola, violoncello e contrabbasso sul quale il pianoforte fa udire la testa del primo tema. Un secondo episodio, in tonalità minore, si basa ancora sul primo tema che ci appare ora appassionato e intenso; un'ultima sezione di sviluppo rasserena il clima musicale e conduce direttamente alla ripresa, che corre via regolare, non fosse per la riproposizione del primo tema alla sottodominante, "tocco" di colore armonico tipicamente schubertiano.

L'Andante è costituito da tre temi: il primo (fa maggiore), disteso e cullante, viene esposto quattro volte in alternanza fra pianoforte e violino; la terza volta Schubert lo propone nel tono della sottodominante, come aveva fatto nel primo movimento. Il secondo tema (fa diesis minore) è condotto in terze da viola e violoncello con quel velo di malinconia che ricorda alcune delle sue migliori pagine pianistiche; il terzo tema (re maggiore) è caratterizzato per contrasto da un insistente ritmo puntato che richiama l'inizio dello sviluppo dell'Allegro vivace. La seconda parte del movimento riprende integralmente i tre temi trasfigurandone però le tonalità (il primo è ora in la bemolle maggiore, il secondo in la minore, il terzo ritorna al tono d'impianto, fa maggiore), in un caleidoscopio di colori musicali di straordinario fascino sonoro.

Lo Scherzo presenta un tema principale ritmicamente scattante, quasi "nervoso" nelle vibranti terzine ascendenti di violino e viola, che contrasta fortemente col tema del Trio centrale, danzante e quasi popolaresco nell'andamento melodico parallelo di violino e viola.

Il cuore del Quintetto è sicuramente il quarto movimento, costituito dal tema del Lied Die Forelle seguito da cinque deliziose variazioni. Il tema, in tempo Andantino, viene presentato dai soli archi senza pianoforte in una scrittura raccolta e quasi corale; la prima variazione vede il pianoforte fiorire allegramente il tema e arricchirlo con trilletti e mordenti ornamentali. Nella seconda variazione il tema passa alla viola, mentre il violino si lancia in guizzanti terzine staccate; nella terza variazione è la volta di violoncello e contrabbasso a esporre il tema, mentre il pianoforte lo orna con velocissime figurazioni a due mani. La quarta variazione è in tonalità minore e introduce nell'ascoltatore una vena di drammatismo accentuata dalle pesanti terzine di accordi a due mani del pianoforte. La quinta e ultima variazione viene affidata alla calda voce del violoncello, sostenuto con delicatezza dagli altri strumenti. A conclusione del movimento troviamo un Allegretto, nel quale il pianoforte fa udire l'accompagnamento originale del Lied Die Forelle, mentre la vox humana del violoncello intona per l'ultima volta la melodia del tema.

Il Finale (Allegro giusto) è bipartito: la prima parte presenta due temi, il primo dallo spiccato carattere di danza paesana (la maggiore), il secondo più cantabile esposto in imitazione fra violoncello, violino e viola (mi maggiore). La seconda parte è costituita dalla ripresa quasi letterale della prima, con un percorso armonico-tonale inverso: ovvero si parte dal primo tema alla dominante (mi maggiore) per giungere al secondo tema conclusivo nel tono d'impianto (la maggiore).

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 4

Una trota, uno stagno idilliaco, un testo e un Lied già composto. Questi sono gli elementi presenti nella composizione numero 114 D667 di Franz Schubert. Il “più grande poeta in musica”, così lo definiva Liszt, creò un brano brillante e spensierato utilizzando pochi semplici ingredienti, che, come nelle ricette più gustose, se ben amalgamati, sono sufficienti per ottenere uno splendido risultato. Voluto su commissione di Silvester Paumgartner, musicista dilettante, prevede un organico insolito: violino, viola, violoncello, pianoforte e contrabbasso. La composizione deve il proprio nome al tema dell’omonimo Lied, scritto qualche anno prima dallo stesso compositore, su testo di Christian Schubart. La canzone tratta le vicende di una trota che vive spensierata in uno splendido stagno fino a quando, tapina, incontra l’amo del pescatore. Questo elemento poetico è il motore dell’intera composizione, Schubert infatti mette in musica nel Lied, le prime tre strofe della poesia di Schubart e, compiaciuto, decide di riutilizzare lo stesso materiale nel quintetto. Tale processo di “riciclo” musicale, di autocitazione, è presente anche in un’altra opera di Schubert intitolata La morte e la fanciulla tratta dall’omonimo Lied. Il quintetto deve quindi il suo nome al tema della trota che è presentato nel quarto movimento a mo’ di variazioni. I primi tre segmenti, Allegro vivace, Andante e Presto (Scherzo), che anticipano il fulcro della composizione, servono a presentare il materiale musicale. A dolci melodie si contrappongono arpeggi ora mossi ora quieti; una splendida pittura sonora ritrae lo stagno idilliaco che viene leggermente increspato dal vento mentre la trota nuota serena sotto il pelo dell’acqua. Il momento concitato avviene nel quarto movimento l’Andantino-Allegretto, dove la trota viene importunata dall’amo del pescatore, così anche il tema subisce le sei variazioni. Queste non possiamo intenderle severe come nello stile Beethoveniano poiché il materiale di partenza rimane sempre piuttosto riconoscibile all’orecchio; i mutamenti sono più di stampo sentimentale e di decorazione melodica. Giunge poi l’Allegro giusto finale, bipartito simmetricamente, che ribadisce il carattere iconografico dell’opera. Schubert, da poeta della musica, fa rimmergere l’ascoltatore nello stagno, che ormai non più bucolico ma agitato. Chissà se la trota pescata sarà davvero un pesce o forse è seduta su una rossa poltrona.

Lorenzo De Carlo


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 22 febbraio 1991
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 27 gennaio 2000
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD n. AMX 012-2 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 4 maggio 2022