La «Messa n. 6 in mi bemolle maggiore» fu composta da Schubert nell'estate del 1828, a Vienna. La prima esecuzione fu tenuta, il 15 novembre dello stesso anno, nella Pfarrkirche Maria Trost di Vienna. Schubert non era presente; ammalatosi di febbre tifoide agli inizi del novembre 1828, il 15 del mese era già gravissimo e il 19 si spegneva, a soli 31 anni. Moriva così uno tra i più grandi e più sfortunati compositori: sfortunato al punto che l'esecuzione della «Messa n. 6» apparve come la presentazióne del lavoro di un «esordiente» (e infatti i precedenti del compositore Schubert erano stati così oscuri che nel 1821 l'opera «Alfonso und Estrella», rappresentata dopo la morte del musicista, era stata brutalmente rifiutata dai teatri viennesi; mentre nel 1828 la «Settima Sinfonia», anche questa eseguita postuma, era stata respinta dagli sprovveduti censori della Società degli Amici della Musica di Vienna.
La «Messa in mi bemolle maggiore» è divisa nelle rituali sei parti dell'«Ordinarium Missae»; e cioè nelle parti che sono comuni a tutte le Messe, eccezion fatta per la «Missa pro defunctìs» e per le Messe destinate alla Settimana Santa. Precisamente: «Kyrie», «Gloria», «Credo», «Sanctus», «Benedictus», «Agnus De ».
Il «Kyrie» (Andante con moto, quasi allegretto), inizia con una brevissima introduzione orchestrale ripresa poi, all'undicesima battuta, dal coro. Il quale, fin dall'esordio, qualifica lo stile del componimento: che è in gran parte quello disadorno e parco di complicazioni strutturali, della «Missa cantata» (e infatti gli episodi più significativi di questa «Messa» propendono più per la monodia accompagnata e per la polifonia isoritmica che non per il contrappunto fiorito e per la polifonia multiversale: condizioni proprie di quel genere che trasforma la «Missa cantata» in «Missa solemnis»).
Robusta e incisiva appare la corale compattezza del «Gloria in excelsis Deo» (Allegro moderato e maestoso); corale compattezza rotta, in rare occasioni, da appena accennate proposte contrappuntistiche (tale è, nelle prime battute, l'intreccio ad imitazione aperto dai contralti ed esaurito dalle risposte delle altre voci). Il «Gloria» si adegua, dal punto di vista della struttura generale, ad una quadruplice partizione: prima l'Allegro moderato e maestoso di cui si è detto; poi, alle parole «Domine Deus», un Andante con moto che apre una parentesi più intensa e drammatica; quindi ripresa (alle parole «Quoniam tu solus sanctus») della robusta coralità dell'Allegro; infine, all'attacco dei bassi sulle parole «Cum Sancto Spiritu», un Moderato, aperto alla polifonica ricchezza di una fuga. Particolare attenzione merita, forse ancor più della grandiosa impalcatura dell'episodio fugato, l'Andante con moto: segnato dalla profonda incisione degli accordi suonati a tutta forza dal fagotto, dai tre tromboni e dal «tremolo» degli archi (ai quali si aggiunge, dopo poche battute della sola orchestra, la ferma linea vocale dei tenori e bassi in ottava, cui fa contrasto, al «mìserere nobis», l'implorante proposizione cantata dall'intero quartetto corale).
Il «Credo» conta sulla contrapposizione di tre distinti episodi. Il primo (Moderato) è vincolato alla compatta prospettiva vocale del «Gloria» (il che non esclude una compostezza immaginativa tale da spingere il compositore lontano dalla retorica: al punto che l'affermativa proposizione iniziale canta nel tono di una raccolta meditazione). Secondo episodio è quello costituito dall'Andante successivo («Et incarnatus est»); qui il contesto vocale è affidato, con entrate successive, al primo tenore, al secondo tenore, al soprano (tutti e tre condizionati dalla medesima fluidità cantabile del disegno melodico), e, infine, al coro (un improvviso oscuramento espressivo, segnato dal brusco passaggio dal «maggiore» al «minore», che sottolinea drammaticamente il testo: «Crucifixus etiam pro nobis»). Il terzo episodio riconduce al Moderato iniziale; sulle parole «Et resurrexit» il discorso si apre ad una densa amplificazione polifonica, suggellata dal trionfo maestoso dell'«amen» conclusivo (a proposito di quest'ultima parte va osservata l'omissione, rispetto al testo usuale della «Messa», delle parole «Et in unam sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam»; omissione forse dovuta alla trascuratezza del compositore - come dimostrerebbero altri «tagli» operati in questa Messa da Schubert - ma forse anche riferibile, come più di un critico ha opinato, ad una deliberata insofferenza nei confronti della chiesa cattolica).
Il «Sanctus» è composto di due parti. La prima (Adagio) è caratterizzata dalla luminosa apertura attraverso la quale si amplifica la triplice ripetizione della parola «Sanctus»; la seconda (Allegro ma non troppo) rompe la struttura isoritmica della prima parte con la festosa animazione contrappuntistica che esplode nell'attacco dei tenori sulle parole «Osanna in excelsis».
Ancora bipartita è la struttura globale del «Benedictus». La prima parte (Andante) apre con la plastica nobiltà del disegno melodico - imparzialmente divisa fra il quartetto dei solisti e le quattro voci del coro - e la fluida scioltezza del contesto orchestrale; la seconda (Allegro ma non troppo) riprende l'«Osanna in excelsis» già ascoltato alla fine del «Sanctus».
L'«Agnus Dei» è diviso in quattro parti. La prima (Andante con moto) è dominata dalla ferma proposizione, a valori larghi, esposta dai bassi, e dalla vigorosa fioritura vocalizzata del controsoggetto introdotto dai tenori. La serrata concitazione dell'episodio si distende nella pacata dimensione del successivo Andante, dove il coro intona, nella solidale compattezza della scrittura a ritmo univoco, il «Dona nobis pacem». Il discorso musicale si riaccende alla ripresa del tempo iniziale (ancora iniziato dai bassi e dai tenori e ancora potentemente esaltato dal massiccio intervento degli ottoni e dal ritmo stravolto dei violoncelli e dei contrabbassi). Conclude, infine, un Andantino che ripropone la serena prospettiva del «dona nobis pacem»: mutando la morbida effusione dell'accompagnamento orchestrale (che ne aveva caratterizzato la prima apparizione) nell'austera compostezza della scrittura strumentale (qui parificata, nel segno della più totale unità, al procedere del canto nelle voci corali).
Giovanni Ugoloni