Der Hirt auf dem Felsen (Il pastore sulla roccia), op. 129, D. 965

Lied per voce, pianoforte e clarinetto

Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
Testo: Wilhelm Müller e Helmina von Chézy Organico: voce, pianoforte, clarinetto
Composizione: ottobre 1828
Edizione: Haslinger, Vienna, 1830
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Der Hirt auf dem Felsen D. 965 è dell'ottobre 1828 e costituisce una autentica novità, per l'insolita presenza del clarinetto che si aggiunge nell'accompagnamento al pianoforte. Qualcosa del genere s'era però già verificato nel marzo del medesimo anno in Auf dem Strome D. 943 su testo di Ludwig Rellstab, quando al pianoforte s'era aggiunto il corno per venir incontro al desiderio d'un amico strumentista intenzionato a partecipare direttamente al concerto pubblico, con lo strumento a fiato che in realtà dialoga con la voce, non di rado con effetto d'eco. In Der Hirt auf dem Felsen sembra quasi superata la fisionomia originaria del Lied, configurandosi l'opera quasi come un'aria da concerto miniaturizzata. Fu un lavoro su commissione, ordinato da Anna Milder-Hauptmann, recapitato però postumo nel settembre 1829 con prima esecuzione nel marzo 1830 a Riga a cura della medesima committente. Il testo presenta un aspetto curioso, risultando dall'amalgama di versi di Wilhelm Müller (all'inizio e alla fine) e di Helmina von Chézy, la poetessa di Rosamunde, per la sezione centrale. L'avvio è un Andantino in 3/4 in si bemolle maggiore, la medesima tonalità dell'ultima Sonata (D. 960) del settembre precedente. Una lunga introduzione strumentale, con il clarinetto impegnato a ricamare il tracciato del pianoforte, precede l'intervento della voce, alla quale il clarinetto sembra replicare con effetto d'eco. Nell'insieme Der Hirt auf dem Felsen si configura come un rondò con due episodi principali, svolgendo il ritornello in si bemolle la funzione di raccordo ma anche d'ambientazione descrittiva con grandi intervalli melodici, l'imitazione dello "Jodel" tirolese da parte del clarinetto in corrispondenza delle parole "Ich singe", e marcata libertà d'incedere, specialmente negli abbellimenti. La prima strofa è appassionata nel trascorrere dal sol bemolle al re maggiore, con un pronunciato effetto d'abbandono, quasi d'una caduta nel precipizio. La ricomparsa del ritornello conduce alla seconda strofa, immersa in un clima opprimente e malinconico, mentre il pianoforte modifica il tracciato dell'accompagnamento, sin'allora costante, e la tonalità passa al sol minore, mentre il canto sigla la strofa in maggiore. Una transizione strumentale conduce Der Hirt auf dem Felsen al secondo episodio: cambia la scansione ritmica, dal 3/4 al 2/4, il tempo da Andantino si fa Allegretto e nell'aereo canto del clarinetto si coglie l'inno della primavera. Una strofa di ripresa sembra oscillare tra il si bemolle e il re maggiore, risultando affidato alla tonalità di si bemolle un allusivo significato di buon augurio, magari verso una sorte migliore, mentre alle tonalità di re maggiore si lega la rittovata luminosità del canto del pastore. Seguono la ripresa e la conclusione vigorosa ed appassionata in un Più mosso in cui il canto della voce umana fa a gara con il clarinetto nel gioco virtuosistico. Come dice l'Einstein, «la primavera con tutte le sue voci, invita al viaggio, a concepire un futuro migliore, ad auspicare una volta ancora l'eterno grande sogno della libertà».

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Der Hirt auf dem Felsen (Il pastore sulla rupe) è un esperimento isolato di Lied con accompagnamento di pianoforte e clarinetto, che Schubert fece nel 1828, l'anno della morte, su commissione di Anna Milder-Hauptmann, cantante allora famosissima e generosa (1785-1838; era stata la prima interprete del Fidelio nella prima versione e nella definitiva del 1814). Il Lied, l'ultimo che Schubert ha composto, è una graziosa descrizione imitativa del canto di un pastore che si accompagna col suo flauto e degli echi della natura circostante.

Franco Serpa

Testo

DER HIRT AUF DEM FELSEN
IL PASTORE SULLA ROCCIA
Wenn auf dem höchsten Fels ich steh',
Ins tiefe Tal herniederseh',
Und singe:
Fern aus dem tiefen dunklen Tal
Schwingt sich empor der Widerhall
Der Klüfte.
Quando sto sulla cima, più alta,
guardo giù nella valle profonda,
e canto:
dalle remote profondità della valle oscura
si alza l'eco e rimbomba
dai precipizi rocciosi.
Je weiter meine Stimme dringt,
Je heller sie mir widerklingt
Von unten.
Mein Liebchen wohnt so weit von mir,
Drum sehn ich mich so heiß nach ihr
Hinüber.
Quanto più lontano giunge la mia.voce,
tanto più chiara mi ritorna l'eco
dal basso.
Il mio amore abita lontano da me,
per questo anelo tanto caldamente a lei,
di là.
In tiefem Gram verzehr ich mich,
Mir ist die Freude hin,
Auf Erden mir die Hoffnung wich,
Ich hier so einsam bin.
Di profondo dolore mi struggo,
la gioia mia è scomparsa,
m'è svanita la speranza sulla terra,
resto qui tanto solo.
So sehnend klang im Wald das Lied,
So sehnend ldang es durch die Nacht,
Die Herzen es zum Himmel zieht
Mit wunderbarer Macht.
Der Frühling will kommen,
Der Frühling, meine Freud,
Nun mach ich mich fertig,
Zum Wandern bereit.
Così nostalgico risuonò nel bosco il canto,
così nostalgico risuonò nella notte,
attrae i cuori verso il cielo,
con meravigliosa potenza.
Verrà la primavera,
la primavera, la mia amica,
ora dunque mi preparo,
pronto per il cammino.
Je weiter meine Stimme dringt,
Je heller sie mir widerklingt
Von unten.
Quanto più lontano giunge la mìa voce,
tanto più chiara mi ritorna l'eco
dal basso.

(Traduzione di Pietro Soresina)

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 giugno 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 7 novembre 2002


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Ultimo aggiornamento 11 maggio 2015