Fantasia in do maggiore per pianoforte, op. 15, D. 760 "Wanderer-Fantasie"


Musica: Franz Schubert (1797 - 1828)
  1. Allegro con fuoco ma non troppo (do maggiore)
  2. Adagio (mi maggiore)
  3. Presto (la bemolle maggiore)
  4. Allegro (do maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Novembre 1822
Edizione: Cappi & Diabelli, Vienna, 1823
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Wanderer-Phantasie (anche in questo caso il titolo non è di Schubert) fu composta nel novembre 1822, poco dopo la Sinfonia Incompiuta, e pubblicata l'anno seguente. Ce ne da notizia il compositore in una lettera del 7 dicembre 1822 scritta a Spaun con l'invio di tre Lieder dell'op. 13, in cui è detto fra l'altro: «ho finito di scrivere una Fantasia per pianoforte solo, che sta per essere pubblicata con la dedica ad un certo signore molto ricco». Il ricco signore era Emanuel Karl, conte di Liebenberg, proprietario terriero, già allievo di pianoforte del famoso compositore concertista austriaco di origine boema Johann Nepomuk Hummel (1778-1837). Si tratta di un lavoro ad ampio respiro e articolato in quattro movimenti come una grande Sonata per pianoforte, con la differenza che essi sono interdipendenti e collegati idealmente all'Adagio, nel cui tema intensamente espressivo si delinea testualmente la melodia che accompagna le parole del Lied schubertiano Der Wanderer (Il viandante) e inizia così: "Die Sonne dünkt mich hier so kalt" (Il sole qui mi sembra così freddo). Una melodia carica di malinconia byroniana e di quella Stimmung di struggente sensibilità romantica, che piacque al pubblico sin dal primo momento, quando nel maggio del 1821 venne pubblicato il Lied. Non era la prima volta che Schubert utilizzava temi tratti dai suoi Lieder, come si può riscontrare nel secondo movimento del Quartetto in re minore opera postuma D. 810 ("Der Tod und das Mädchen"), nel quarto movimento del Quintetto in la maggiore D. 667 ("Die Forelle") e nell'Introduzione e Variazioni in mi minore per flauto e pianoforte D. 802 ("Trockne Blumen", dal ciclo Die schöne Müllerin).

La Wanderer-Phantasie ha un carattere ciclico, anticipando la forma della Sonata franckiana, e contiene una robustezza e uno slancio pianistico anche virtuosistico, in omaggio allo stile di Hummel. Certo il momento più intenso sotto il profilo estetico è l'Adagio centrale, in cui il canto purissimo schubertiano si espande con straordinaria tensione emotiva, così da assurgere a sigla stilistica di un autore e di un'epoca. Il primo movimento (Allegro con fuoco ma non troppo) ha un andamento tempestoso indicato dall'ondoso cromatismo del primo tema, anche se ciò non esclude un'atmosfera più distesa e tranquilla nel secondo tema. Il terzo movimento (Presto) è uno Scherzo di squisita eleganza, non privo di passaggi brillanti e fantasiosi. Il finale (Allegro) riprende e riassume sinteticamente gli stessi temi già ascoltati in una specie di travolgente sviluppo fugato di indubbio effetto sonoro. La Wanderer-Phantasie fu molto studiata e apprezzata da Liszt che nel 1851 la rielaborò in una versione per pianoforte e orchestra, tesa ad evidenziare gli aspetti tipici del pianismo romantico. Non per nulla questa composizione schubertiana per la sua difficoltà tecnica e interpretativa è sempre stata uno degli approdi più ambiziosi per quei pianisti che sono entrati a far parte dell'empireo del concertismo internazionale.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1822 - l'anno che vide la nascita dell"«Incompiuta» - Schubert portò a termine un'unica composizione strumentale di grande importanza; è in una lettera del 7 dicembre che egli nomina per la prima volta all'amico Spaun una Fantasia per pianoforte «dedicata ad un certo signore molto ricco»; tale dedicatario - Emanuel Karl von Liebenberg, proprietario terriero e dilettante di musica - era stato allievo di Johann Nepomuk Hummel, il paladino di una nuova scuola pianistica brillante e concettualmente disimpegnata, perfettamente aderente alle richieste del pubblico dell'età del Biedermeier.

Ecco dunque che la Fantasia in do maggiore è stata sovente considerata dagli studiosi - Alfred Einstein in testa - come un brano in cui l'autore fa ampie concessioni ad una brillantezza tecnica di stampo hummelliano (appunto per compiacere il danaroso committente), un brano quindi eccentrico rispetto ai più autentici, intimistici contenuti del pianismo schubertiano.

Tale valutazione appare agli esegeti più moderni non solo decisamente riduttiva ma anche fondamentalmente erronea; certo la «Wanderer-Fantasie» è la composizione tecnicamente più impegnativa fra quelle destinate da Schubert al pianoforte, segnata da un virtuosismo trascendentale. Però il virtuosismo di Schubert pianista non concertista, non è finalizzato alla concreta ricerca degli effetti più appariscenti per conquistare il pubblico; esso si qualifica invece, secondo le suggestive parole di Piero Rattalino, come «un esempio di delirante immaginazione sonora che fantastica di effetti possibili sul pianoforte senza tener conto, se non in modo ipotetico, della possibilità di realizzarli». In questa prospettiva la «Wanderer» si riallaccia con perfetta coerenza al rimanente della produzione pianistica schubertiana, avulso dalla realtà della pratica musicale del suo tempo.

Non è questa conciliazione fra virtuosismo e antiesibizionismo l'unico motivo dell'audacia dello spartito. La Fantasia, infatti, è articolata in quattro movimenti che si succedono senza soluzione di continuità (Allegro, Adagio con variazioni, Presto, Finale), e ricalca dunque con buona approssimazione lo schema della sonata classica; essa è però organizzata secondo una logica «ciclica», fondando ogni singolo movimento sulla trasformazione di un materiale tematico di base. Se si aggiunge che l'impianto tonale della composizione ignora la dialettica classica fra tonica, dominante e sottodominante, e preferisce far succedere i quattro movimenti secondo i rapporti (quasi inediti) fra gli intervalli di terza maggiore (do, mi, la bemolle, do), si comprenderà come la concezione formale della «Wanderer» sia del tutto avveniristica; tale apparve ai romantici, che assunsero la Fantasia come punto di partenza per le loro sperimentazioni sulla sonata e sulla forma ciclica.

Fulcro della composizione è il secondo movimento, basato su un frammento del Lied «Der Wanderer» (da cui il titolo apocrifo dell'intero lavoro), composto da Schubert nel 1816, una pagina che esprime splendidamente la poetica schubertiana della solitudine esistenziale ed errabonda. Le cinque variazioni di questo tema non sono costruite rigidamente, ma sono piuttosto delle fantasiose trasformazioni, lontane peregrinazioni dal tema originario, il cui profilo non sempre è riconoscibile. Sul ritmo dattilico del Lied si fondano anche gli altri movimenti, o meglio, le altre sezioni; quasi interamente basata sulle interne germinazioni della stessa idea tematica (il cui profilo ritmico è nettamente scandito) è la prima sezione; questa stessa idea, convertita in movenze di danza, riprende la terza sezione, costruita in forma di Scherzo; e ancora il ritmo dattilico riappare nel Finale, quale soggetto di un possente fugato, prima che una lunga coda esalti la portata «visionaria» del virtuosismo dell'intero spartito.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Gli anni 1822-23, quando fu composta la Wanderer-Fantasie, rappresentano un momento particolarmente fecondo nella breve vita di Schubert: basti pensare, tra tanti capolavori, a due opere quali la Sinfonia in si minore (la celebre «Incompiuta») e il ciclo liederistico Die schöne Müllerin. La genesi di questa grande opera pianistica - come d'altronde di tante altre nella vastissima produzione strumentale schubertiana - ci riporta ancora una volta all'aspetto più crudo e 'quotidiano' dell'attività del musicista: in questa Fantasia erano infatti riposte grandi speranze per quanto riguarda il problema economico, sempre all'ordine del giorno nella vita di Schubert. Il 7 dicembre 1822 il musicista scriveva all'amico Spaun: «ho scritto una Fantasia per pianoforte solo che è anch'essa sul punto di essere pubblicata e che è dedicata a un certo signore molto ricco». Costui, tale Emanuel Karl, era un facoltoso proprietario terriero che aveva studiato pianoforte con Hummel, e in fondo questa Fantasia può essere considerata una sorta di omaggio al celebre virtuoso, depositario e autorità riconosciuta di quello stile brillante ed espressivo al tempo stesso che imperversava in quegli anni a Vienna. Naturalmente, ciò che si muove dietro questa vernice mondana è ben altra cosa, soprattutto per l'efficacia dei contrasti tra figurazioni brillanti e anche drammatiche ed episodi del più intimo lirismo, come l'Adagio centrale, dove il tema generatore viene presentato nella sua forma più prossima al Lied da cui deriva.

Ma la Wanderer-Fantasie, oltre che come un'indiscussa pietra miliare nella storia della musica pianistica, si impone come un'opera del tutto atipica e fortemente sperimentale per vari aspetti. Oltre a quello formale, cui si è accennato, va considerato anche lo schema tonale della composizione, che tende a ribaltare la concezione tradizionale dei rapporti armonici: dall'ordine delle tonalità dei quattro movimenti, infatti (il primo in do maggiore, il secondo in mi maggiore, il terzo in la bemolle, il quarto di nuovo in do maggiore), risulta un'ottava divisa non già secondo le funzioni armoniche tradizionali e privilegiate di 4° e 5° grado, bensì divisa in parti uguali secondo un modulo costituito dall'intervallo di terza maggiore. Nondimeno, un ultimo cenno va fatto anche a proposito delle particolarità di questa Fantasia dal punto di vista dello stile e del linguaggio pianistico. Il pianismo di Schubert, soprattutto nelle prime sonate degli anni intorno al 1817 e in genere un po' in tutti quei lavori dove è più evidente la vernice mondana, è in realtà assai vicino a quello dei vari Hummel, Kalkbrenner, Field, Moscheles, a quel pianismo cioè brillante ma capace al tempo stesso di suadenti coloriture espressive che perfettamente si adattava agli ideali e all'ideologia Biedermeier. Ma è noto che Schubert non fu mai un virtuoso, e anzi le proprie possibilità tecniche non gli consentivano, ad esempio, di dominare completamente lavori come appunto la Wanderer-Fantasie. Il senso di questo 'antivirtuosismo' schubertiano, destinato a farsi sempre più cosciente con il passare degli anni, consiste in un deliberato rifiuto verso tutto ciò che non serva la causa dell'espressione, facendo tendere la ferrigna meccanica del pianoforte, anche attraverso la scoperta autocitazione di motivi liederistici, verso la meta ideale del più espressivo fra tutti gli strumenti: la voce. Una lettera dello stesso Schubert del luglio 1825, a proposito della Sonata op. 42, costituisce, su questo punto, una preziosa testimonianza: «Ciò che mi dette particolare soddisfazione» - scrive Schubert ai genitori - «furono le variazioni della mia nuova Sonata per pianoforte, che io eseguii non senza successo, tanto che qualcuno disse che i tasti diventavano sotto le mie dita voci che cantavano: la qual cosa, se vera, mi darebbe la più grande soddisfazione, soprattutto da quando non posso più tanto sopportare il detestabile pestaggio al quale perfino eccellenti pianisti adesso indulgono, e che non dà piacere né all'orecchio né alla mente». Quindi l'intento deliberatamente virtuosistico (evidente soprattutto nei due movimenti estremi) presente in quest'opera, proveniendo da un nonvirtuoso quale fu Schubert, assume automaticamente un aspetto estradante e di dissociazione; e anzi, come nota Piero Rattalino, «più che di invenzione virtuosistica, di immaginazione virtuosistica, la Wanderer è però un esempio di delirante immaginazione sonora che fantastica di effetti possibili sul pianoforte senza tener conto, se non in modo ipotetico, della possibilità di realizzarli».

Francesco Dilaghi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 22 novembre 1985
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 11 ottobre 1993
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 30 aprile 1988


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Ultimo aggiornamento 30 marzo 2016