Non sono molti i casi di grandi maestri che abbiano consegnato tutto intero il loro messaggio artistico ad uno strumento e ad una forma; soprattutto nel secolo XVIII legato alla produzione su commissione e aperto all'intercambiabilità degli stili e degli organici strumentali. Che Domenico Scarlatti, figlio di Alessandro e cresciuto fra i teatri di Roma e Napoli, abbia sospeso per tempo e per sempre la sua produzione operistica è già una circostanza sorprendente; ma è quasi assillante l'interrogativo che le sue oltre 550 Sonate pongono allo storico moderno per l'uniformità della cornice esterna opposta alla mutevolezza della sostanza interiore. Anche la storia s'è divertita a mescolare le carte, non lasciandoci di tale patrimonio una sola Sonata autografa, cancellando agganci a fatti della vita e dati utili ad un ordinamento cronologico sufficientemente articolato. Le Sonate di Scarlatti sono state quindi per gran tempo considerate come un grande blocco compatto, e ogni Sonata particolare come un mondo in sé concluso e risolto.
Questo stato primordiale della conoscenza scarlattiana è stato superato per merito delle ricerche di Ralph Kirkpatrick che in Domenico Scarlatti, Princeton 1953 (più volte ristampato) ha fornito una nuova catalogazione razionale delle Sonate di Scarlatti che ha sostituito quella tradizionale di Longo.
Sonata K 380. In tonalità di mi maggiore (Andante commodo) è una delle Sonate più giustamente celebri di tutta l'opera scarlattiana. Il motivo del richiamo, della fanfara, così connaturato con tutto lo spettacolo barocco, è qui rivissuto con tocco da miniaturista e trasfigurato in pura poesia.
Giorgio Pestelli
La Sonata K. 380 è senz'altro tra le più famose se non altro per il fatto di essere recentemente assurta al rango di sigla televisiva. Si tratta di un bellissimo Andante dalla struttura tipicamente barocca, e sottilmente imparentato con gli schemi dell'Aria: ma è in effetti uno di quei brani barocchi che per uno strano scherzo del destino sembrano fatti apposta per essere colti come «romantici» dalle nostre orecchie contemporanee, come è accaduto (valga un solo esempio per tutti) con lo strafamoso Adagio di Albinoni. La struttura è rigorosamente solistica, le tecniche di «divisione» della melodia suonano alle nostre orecchie come una sorta di «improvvisazione», mentre le sovrapposizioni di note generate dagli andamenti contrappuntistici possono facilmente essere intese come «arditezze armoniche»: pochi fraintendimenti, e il gioco è fatto. Per questa Sonata di Scarlatti la promozione nella Hit Parade dei brani classici non è ancora avvenuta, ma potrebbe avvenire anche domani. Speriamo di no, comunque, perché su queste basi potrebbe forse giovare alla fama di Scarlatti, ma ben difficilmente alla conoscenza reale della sua musica.
Franco Sgrignoli