Sonata in sol maggiore, K 201


Musica: Domenico Scarlatti (1685 - 1757)
Organico: clavicembalo
Guida all'ascolto (nota 1)

In uno dei suoi famosi colloqui con Robert Craft, Stravinskij espresse una volta con arguta ironia la sua scarsissima stima nei confronti della musica italiana del Settecento, arrivando addirittura a definire Vivaldi «un tipo tedioso che componeva la stessa forma un'infinità di volte». L'unico che riusciva a salvarsi almeno in parte dalle staffilate stravinskiane era proprio Scarlatti: «Scarlatti è una faccenda diversa». Ma, aggiungeva subito Stravinskij, «anche lui variò così poco la forma...». E persino Schumann, di solito critico attento e perspicace dei fenomeni musicali sia del suo tempo che del passato, aveva scritto che Scarlatti, in confronto con i maggiori compositori tedeschi, era «come un nano capitato in mezzo ai giganti».

Mitizzato alla sua epoca come uno dei più grandi strumentisti d'Europa, fatto oggetto di una vera e propria «caccia al manoscritto» negli anni immediatamente successivi alla sua morte, il buon Domenico venne in effetti ben presto confinato in quel limbo di «compositori minori» in cui tutto tende a confondersi: il destino che sembrava attenderlo era quello di essere ricordato semplicemente come uno dei «precursori» della forma-sonata, o come uno dei molti che avevano cercato di emancipare la scrittura per strumento a tastiera dalla vecchia tradizione del basso continuo.

Se oggi le cose non stanno così, e se il nome di Scarlatti ha saputo reggere a testa alta il confronto con quelli di Bach e di Händel in occasione delle celebrazioni dell'anno europeo della musica del 1985, lo si deve al lavoro e all'impegno di molte persone: gli studiosi, come Longo, come Kirkpatrick, e molti altri dopo di loro, che hanno analizzato, catalogato e pubblicato il corpus delle composizioni scarlattiane: ma anche, e forse soprattutto, i musicisti, come Horowitz, che hanno inserito le musiche di Scarlatti nel loro repertorio, le hanno incise e suonate in concerto accanto a Liszt e Chopin, presentandole con eguale dignità e dedicando loro altrettanta «attenzione interpretativa».

Dal punto di vista della scrittura tastieristica, la Sonata K. 201 potrebbe addirittura essere scambiata per... Mozart: i passaggi per terze e quelli per terze spezzate, gli accordi della destra giocati alternando alla nota più grave prima la nota centrale e poi quella più acuta (come nel famoso «basso albertino», anche se qui non si tratta di un basso), i veloci accordi staccati all'inizio della seconda sezione. Non è affatto Mozart, comunque, e nemmeno si tratta di una sonata in qualche modo... mozartiana. L'accostamento, però, può risultare ugualmente utile, se ci può aiutare a capire quanto diversa fosse l'arte dei due compositori: l'arte di Mozart, in effetti, sta nelle forme che egli seppe costruire, utilizzando una scrittura tastieristica che era stata elaborata dai suoi predecessori, e rispetto alla quale egli non fu particolarmente inventivo; tutto il contrario per Scarlatti, che si servì invece di una forma più o meno standardizzata (quella della sonata bipartita, che si ritrova più o meno identica in tutte le sue composizioni) per farne il contenitore di continue e mirabolanti «invenzioni» di scrittura.

Franco Sgrignoli


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 72 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 13 aprile 2017